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Visualizzazione dei post da 2008

Regalo marathi

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E' il primo regalo natalizio di quest'anno, con qualche giorno di anticipo. Raj ha gentilmente scritto di me e ha tradotto, in inglese e in marathi, un mio post nel suo blog e in un sito marathi . Raj è madrelingua marathi e ha vissuto in Italia, quindi parla benissimo l'italiano. L'idea che queste mie parole nate un po' per caso siano tradotte in una lingua indiana, per di più quella di Bombay a cui tanto sono legata, mi commuove (ebbene sì, ultimamente mi commuovo parecchio...); vedere le eleganti lettere marathi, insieme svolazzanzi e ordinate, mi riporta mentalmente in quei luoghi. E poi la traduzione dall'italiano al marathi, solo per far sapere che c'è qualcuno dall'altra parte del mondo che ama l'India, è uno splendido regalo inaspettato. Grazie, Raj.

Innamoramento urdu

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Andrò ora a parlare (o straparlare) di qualcosa che non so. Potrei quindi dire delle stupidaggini. E' che mi sono innamorata. E quando ci si innamora, si dicono delle stupidaggini. Quando ci si innamora, poi, non si capisce niente. Si ascoltano le parole dell'amato che parla, si pende dalle sue labbra, senza capire niente di quello che dice: quello che conta è il suono della voce, il luccichio degli occhi, le vertigini alle tempie. Ma vengo subito al punto. L'urdu. La poesia urdu. Le ghazal in urdu, poesie d'amore malinconiche, struggenti e profondamente musicali. Tutto quello che sapevo dell'urdu finora lo sapevo (ma guarda un po') dai libri letti, ma solo di riflesso. Lingua nazionale del Pakistan e una delle lingue ufficiali dell'India, penso di averla incontrata per la prima volta nel Ragazzo giusto di Seth, dove Maan Kapoor, giovane follemente innamorato di una cantante musulmana decide, per conquistarla e stare con lei, di studiare l'urd

River to river: ecco i film!

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Presa dall'entusiasmo delle giornate fiorentine al River to River, mi sono accorta ora di non aver nominato neanche un solo titolo dei film che ho visto... Sono un disastro, ma ora cerco di rimediare. Lascio da parte i cortometraggi e i film d'animazione, che sono stati comunque una piacevole sorpresa, e attacco con Super 30 , un documentario che racconta la storia di un insegnante di matematica del Bihar, uno degli stati più arretrati dell'India, che prepara gratuitamente gli studenti più poveri all'esame di ammissione per entrare all'Indian Institute of Technology, l'università indiana più ambita: solo i migliori 30 saranno ammessi. Ma la sua vita non è facile: non è visto di buon occhio dalle scuole private, visto che in genere 28 o 29 dei trenta selezionati sono suoi allievi. Amal è invece la storia di un onesto guidatore di autorisciò di Delhi, uno di quelli (più unici che rari) che non inganna sul prezzo, che dà le tre rupie di resto e che è pronto ad

Di ritorno dal River to River

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Sono partita sabato mattina per Firenze, su un treno paurosamente in ritardo e con l'ultimo numero di Internazionale in mano, che aveva in copertina gli attentati di Mumbai. Gli articoli non erano confortanti: si parlava di una possibile guerra fra India e Pakistan, delle violenze come strumento di rivendicazione in una società intrinsecamente violenta, del futuro incerto di un paese ferito al cuore. Ma domenica sera, stesso treno in direzione opposta, sono tornata piena di buon umore. Per i film visti al River to river , festival fiorentino di cinema indiano, che mi hanno portato per qualche ora in India, e per essere stata in ottima compagnia. Soprattutto è stato trovarsi attorno a un tavolo di un ristorante indiano insieme con dieci persone, che mai si erano incontrate prima, unite solo dall'interesse per l'India e da quell'arcano filo che attraverso link, post, blog, forum, motori di ricerca, richeste di amicizia su Facebook e altre diavolerie informatich

La morte di Vishnu

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di Manil Suri Nelle sue pagine sono riecheggiate le notizie degli attentati a Mumbai dei giorni scorsi. Se non ci fossero stati, probabilmente l'avrei letto in modo diverso, con più attenzione alla speranza e meno ai conflitti. Ma l'ho letto così. E forse mi è piaciuto per questo, per il suo saper trattare questi conflitti con il senso della quotidianetà, con le parole dei sogni e della fantasia, per il suo saper far riecheggiare i miti e le leggende dell'induismo nel realismo della vita quotidiana.  Con La morte di Vishnu , viviamo per 24 ore in un caseggiato di Bombay. Un microcosmo simbolo di una città enorme e contraddittoria. Ai suoi piani, abitanti diversi: due famiglie indù in lotta fra di loro, perse nelle meschinità quotidiane fatte di litigi sui presunti furti di pochi cucchiai di ghee , di cisterne dell'acqua, di partite di carte con la (presunta) meglio società. Una famiglia musulmana, con un marito indeciso fra razionalismo e desiderio mistico di illum

Parole per Mumbai

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In questi giorni di attentati a Mumbai si è tanto parlato di India che a me invece sono mancate le parole. Ho provato a cercarle, fra gli articoli dei giornali, fra i blog indiani, fra le email di chi, da laggiù, mi ha scritto. Non ho trovato parole da fare mie. Eppure ce n'erano tante, di parole. A volte forse troppe, e inevitabilmente confuse. Le ho cercate fra i miei ricordi, fra le strade di Mumbai della mia memoria. Fra i miei diari di viaggio di un anno fa. Le ho cercate ancora di più nel libro che sto leggendo in questi giorni, La morte di Vishnu di Manil Suri, ambientato proprio in un caseggiato di Mumbai, dove convivono famiglie di religioni diverse. E dove ogni scusa è buona per ribadire che io sono musulmano e tu indù, dove ogni scusa è buona per sfociare in un conflitto. Le ho cercate, elemosinandole dai libri, dalle interviste, dai video, dai racconti dei giornalisti. Non ne ho trovate. Non ce n'è, almeno per me. Come non ce n'è ogni volta che simili

River to river: chi viene?

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Il weekend del 6 e 7 dicembre sarò a Firenze al River to River , festival di cinema indiano. Non vedo l'ora di andarci per due motivi: 1. per cercare di rimediare in qualche modo alla mia abissale ignoranza riguardo al cinema indiano; 2. per incontrare alcune persone che ho conosciuto virtualmente tramite questo blog o tramite email e che, come per magia, si ritrovano tutte a Firenze per il festival. Al momento, il secondo motivo sta superando ampiamente il primo. Non avrei mai immaginato che tutto questo scrivere potesse avere un riscontro reale, non avrei mai immaginato di uscire dalla tastiera e dallo schermo. Non che non creda nel potere di internet, anzi, il mio legame con l'India e con la letteratura indiana è nato proprio da un'email (prima o poi mi devo decidere a raccontare per filo e per segno questa storia, ma ci vorrebbe un romanzo...). Però non avrei mai immaginato di conoscere persone con questo mio stesso interesse e di poterle incontrare, tutte ins

I figli della mezzanotte sullo schermo

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Ho or ora appreso che il mio romanzo preferito, I figli della mezzanotte , diventerà un film, o almeno così è nelle intenzioni del suo autore e di Deepa Mehta, la regista indo-canadese della trilogia Earth, Fire, Water . Complice una cena fra i due a Toronto. Rushdie parteciperà alla sceneggiatura (mi sembra il minimo) e anche come interprete (l'andrò a vedere solo per questo motivo). Comunque fino al 2010 non se ne parla. Non ho la più pallida idea di come un romanzo così complesso, lungo, intricato, sovrabbondante e suggestivo possa essere reso sullo schermo. Di fronte a questa obiezione Deepa Mehta ha sottolineato che anche dalle mille pagine di Guerra e pace è stato tratto un film. Il ragionamento in effetti non fa una piega. Ma a me, che mi sono persa fra le 600 pagine dei Figli della mezzanotte , che ci ho fantasticato, sofferto, amato, sognato fino in fondo all'anima, il dubbio resta.

Lo specchio si fa verde a primavera

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di Selina Sen Prima di iniziarlo a leggere, di questo libro mi avevano suggestionato il titolo (preso in prestito da una poesia) e la quarta di copertina che parlava dell'ambientazione a Delhi durante le sommosse anti-sikh del 1984. Storicamente, le sommosse seguirono all'assasinio di Indira Gandhi, uccisa da due delle sue guardie del corpo sikh, che vendicavano la strage di Amritsar (confesso che ho una certa simpatia nei confronti dei sikh, nata da un fantastico incontro in India...). Mi suggestionava anche l'idea della storia di una famiglia di esuli bengalesi, scappati dal loro amato Bengala dopo la Partizione. Sono partita quindi con l'idea di un romanzo storico o vagamente tale. Non è così e devo ammettere che questa storia mi ha un po' deluso. La vicenda è incentrata su una famiglia di quattro donne: la nonna Dida, energica e comprensiva, le due sorelle Sonali e Chhobi, una tutta timida, l'altra tutta esuberante, e la madre, tutta vedova e malinconi

Il tappeto rosso

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Storie di Bangalore di Lavanya Sankaran In questi racconti ambientati a Bangalore, capitale del sof tware mondiale, Silicon Valley dell'India e mecca indiana dei lavori hi-tech, si respira aria di party alla moda, di software, di copywriting, di informatica, di inglese con accento e slang americani, di consulenza finanziaria, di automobili nuove e luccicanti e di lavoro per (e, idealmente, come) gli americani. C'è chi arriva da tutta l'India per lavorare nella nuova e moderna Bangalore. Ma accanto al nuovo che avanza è rimasta però anche l'India tradizionale, quella delle case fatiscenti, dei bramini che rispettano le regole castali, dei matrimoni combinati, delle madri, degli autisti dei nuovi ricchi, degli anziani vicini di casa. Di chi a Bangalore ci è nato, prima di internet e dei computer, di chi non ha mandato curriculum e fatto corsi di ingegneria informatica per approdarvi. L'aspetto più interessante di questi racconti è proprio il contras

Eredi della sconfitta

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di Kiran Desai Kiran Desai l'ho conosciuta (letterariamente) in Inghilterra nel 2002, in una libreri a dove ho trovato, appena pubblicato, il suo primo romanzo La mia nuova vita sugli alberi . Il libretto non era un capolavoro, ma era simpatico e carino e ne avevo proposto una recensione a un sito su cui scrivevo, ma la titolare del sito mi aveva risposto che era un'autrice troppo sconosciuta e quindi non valeva la pena recensirla. Se avesse saputo che avrebbe vinto il Booker Prize pochi anni dopo, forse l'avrebbe recensita con molto piacere (l'ho sempre detto, dovrei fare la talent scout, ma nessuno mi considera...). Poi l'ho conosciuta al festival di Mantova (di persona), ma l'ho vista subito dopo Vikram Chandra e, poverina, non ha retto neanche lontanamente il paragone con il mio idolo letterario. L'ho poi rincontrata a Shanghai (questa volta di nuovo letterariamente), in una libreria internazionale dove cercavo disperatamente un libro per affr

La Tigre Bianca, letto da Roberto

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Non sono ancora riuscita a entrare in possesso della Tigre Bianca di Aravind Adiga. Però ho ricevuto un'email, scritta a caldo subito dopo la lettura, da Roberto , un caro amico "di penna" con cui condivido il folle amore per l'India, che è stato più veloce di me a leggere il libro e più bravo a scriverne. Mi ha terribilmente invogliato a leggerlo. Eccola qui. Carissima Silvia, ho appena finito di leggere La Tigre Bianca. E' un libro duro, per stomachi forti, che effettivamente avvince quelli, come noi, che conoscono i luoghi dove si svolgono i fatti del romanzo e che hanno vissuto le stesse esperienze a Bangalore o a Delhi. L'endemica sporcizia, le fogne a cielo aperto, le baraccopoli, e tutte le altre cose che ormai associamo all'India come cose scontate, naturali e folcloristiche; però non ci si può rassegnare anche alla corruzione dei politici e della polizia e se ne rende conto il protagonista del libro, la Tigre bianca. Colpevole di un

Mare di parole

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Non è un mistero che a me piacciono i libri linguisticamente densi, con tante parole, anche in lingue diverse, anche difficili, anche ricercate o inusuali, anche con il rischio del sovrabbondante, del barocco. Linearità e semplicità non fanno per me, almeno nelle letture di piacere. In questo senso Mare di papaveri mi ha soddisfatto parecchio. La prima cosa che avevo letto non appena l'ho comprato è la nota dei traduttori (che è alla fine del libro... ciò la dice lunga su come io legga i libri). In questa nota i traduttori (Anna Nadotti e Norman Gobetti) dicono che tradurre questo romanzo di Ghosh è stata una vera e propria sfida, perché ogni personaggio parla un inglese diverso, contaminato ora dal bengali, l'hindi e l'urdu, ora dal bhojpuri, ora dal cinese, ora dal francese, ora dal lascari, ora dal zubben , "la sfavillante lingua d'Oriente, solo una spruzzatina di parole negre mescolate con un po' di oscenità". Quando ho letto questo, volev

Mare di papaveri

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di Amitav Ghosh Tutti nella stessa barca 1838. La guerra dell'oppio alle porte, il colonialismo inglese in India, il commercio con la Cina, la trasformazione delle campagne indiane in distese di papaveri per la produzione d'oppio. Questa la Storia. Il figlio di una schiava di colore che viene dagli Stati Uniti. Un carrettiere intoccabile, grosso e buono. Una giovane francese orfana che vive in India. Un raja, ingenuo e delicato, decaduto e incarcerato. Un cinese, criminale e oppiomane. Una donna presto vedova che sfugge al suo destino. Un gruppo di lascari, i marinai di tutte le razze possibili dell'Oceano Indiano, con una lingua tutta loro. Queste le storie. Sembra all'inizio che tutte queste storie scorrano parallele, senza toccarsi mai, se non all'infinito. E invece si incontrano quando l'infinito si materializza in un unico punto, quando si ritrovano tutti nella stessa barca. In senso figurato, in quanto il destino di ognuno dipende da quello di

Quarto o quinto?

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Ovvero il quasi-indiano innominato Ho cercato un po' di notizie in rete e sui giornali su Aravind Adiga e La tigre bianca , vincitore del Booker Prize 2008, nell'attesa di leggerlo. Più o meno i commenti sono simili: romanzo caustico dal tono sarcastico, che mette a nudo lo sviluppo economico indiano, basato su ingiustizie ed empietà e intrinsecamente marcio: c'è chi sta nel fango (i più) e chi nel lusso (i meno) e chi sta nel lusso ci sta grazie a corruzione dilagante, omicidi e via dicendo. La cosa divertente da notare però è che, nell'annunciare la vittoria di Adiga, alcuni parlano di quarto vincitore indiano, altri di quinto, come dicevo poco fa . Alcuni precisano: quinto se si parla di "of Indian origin", quarto se di parla di "Indian-born". In questo conto il protagonista implicito è Naipaul , l'unità in più o in meno, non "Indian-born" ma sicuramente "of Indian origin". E' indiano Naipaul? In India

Il Booker Prize e l'India

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Aravind Adiga è il quinto indiano a vincere il Booker Prize. Secondo The Hindu il quarto, perché non considera indiano Naipaul (poi premio Nobel nel 2001), che lo ha vinto nel 1971 con In uno stato libero. Rushdie lo ha vinto nel 1981 con I figli della mezzanotte , Arundhati Roy nel 1997 con Il Dio delle Piccole Cose . Nel 2006 Kiran Desai con Eredi della sconfitta . Con Arundhati Roy , Adiga condivide il fatto di averlo vinto con il suo primo libro, da esordiente assoluto. Altri indiani però hanno popolato negli anni la "shortlist" dei candidati al premio, senza vincerlo. Rohiton Mistry per ben due volte negli anni Novanta, con Un lungo viaggio e Un perfetto equilibrio (entrambi stupendi romanzi, che lo avrebbero meritato). Anita Desai per tre volte, però il premio è poi entrato in famiglia tramite la figlia Kiran.  Nel 2007 Indra Sinha con Animal's people . Di Mare di papaveri di Ghosh ho già detto . Anche Rushdie è finito per tre volte fra i candi

Aravind Adiga vince il Booker Prize

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Ieri sera, ultima azione della giornata, ho finito Mare di papaveri di Amitav Ghosh . Girata l'ultima pagina, chiuso il libro, spenta la luce, a nanna. Questa sera, poco fa, penultima azione della giornata (l'ultima è scriverne qui), vado a sbirciare nel sito del Booker Prize per vedere se per caso l'ha vinto proprio Ghosh, candidato al premio con Mare di papaveri. Quel premio che ha consacrato Rushdie e Arundhati Roy sulla scena internazionale. Ovviamente tifavo spudoratamente per Ghosh, non solo perché ho appena finito proprio il suo libro, ma per tutti i suoi libri precedenti, perché lo ammiro come scrittore. E invece il vincitore è lui, Aravind Adiga , giovane scrittore esordiente indiano originario di Madras, con La tigre bianca , un romanzo affascinante, o almeno così sembrerebbe (visto che io non l'ho ancora letto). Sono felice lo stesso, felice che sia nuovamente un indiano a vincere il premio più ambito della letteratura inglese. Sicuramente leggerò presto

The trial of the Mahatma

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di Matampu Kunjukuttan Ovvero l'esperimento venuto male Dicevamo degli esperimenti di Gandhi. Ma anche sua moglie e i suoi figli sono stati oggetti dei suoi esperimenti? E' stato giusto proibire al figlio gli studi in Inghilterra in nome della causa indiana, negandogli proprio ciò che il padre invece aveva avuto? E poi com'è che Gandhi, per diventare il Padre della patria, il padre di milioni di indiani, ha dovuto ripudiare proprio suo figlio? E' con questi interrogativi che The trail of the Mahatma , scritto in lingua malayalam e tradotto in inglese da Yeti Books, una piccola casa editrice indipendente del Kerala, affronta uno degli aspetti più problematici della vita di Gandhi, il rapporto conflittuale con il figlio maggiore Harilal . Su di lui, fra l'altro, è uscito un film proprio quando ero in India, Gandhi, mio padre (ma che per una serie di motivi non ho poi mai visto). Matampu Kunjukuttan, scrittore keralese che scrive solo in malayalam, fa raccontar

Viva i cinesi!

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Lo so. Avevo promesso di parlare della Cina e poi non l'ho più fatto. Ormai è passato più di un mese dal ritorno e io mi sono persa fra Gandhi e Bombay, fra passato e futuro, nei meandri di una sensazione inespressa fra il sogno e il rimpianto. Ho fatto tutto da sola. D'altra parte, mica facile parlare della Cina, millenni di cultura e un miliardo di persone: dovrei aprire un altro blog per raccontare dei posti visti, degli incontri fatti. Ora però mi sembra giunto il momento di parlarne, anche se solo per un breve e limitato contributo. Non voglio raccontare dei monumenti storici, dei musei, dei posti turistici che ho visitato, di cui si troveranno numerosi e migliori racconti in rete. Parlo solo di loro: i cinesi. Parlare di loro si sposa anche benissimo con il ricordo di Gandhi, con il ricordo che tutti gli uomini, in tutto il mondo, sono uguali. Perché invece oggi ce l'hanno tutti con i cinesi, con un sottile e diffuso razzismo anti-cinese: cinesi che sfruttano i

Mira e il Mahatma

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di Sudhir Kakar Ovvero un Gandhi diverso, ma sempre vero Sempre a proposito di Gandhi, mi è venuto in mente questo libro, che ho letto quasi un anno fa, su consiglio di un amico indiano che mi prometteva che mi sarei identificata nella protagonista. Non è stato così. Però il libro mi è piaciuto. Mira e il Mahatma . Lei, Mira, è Madleine Slade, una giovane donna inglese che nel 1925 lascia tutto per andare a vivere in India.  Lui, il Mahatma, è Gandhiji o meglio ancora Bapu. Certo, è proprio Gandhi, anche se con questo nome non compare mai nel libro. Meglio Bapu, padre, oppure Gandhiji, dove il ji finale è aggiunto in segno di rispetto. Il romanzo di Sudhir Kakar è la storia dei momenti che Mira e il Mahatma hanno condiviso e dell'intensa relazione umana che hanno avuto durante gli anni delle lotte per l'indipendenza dell'India. Mira, figlia di un capitano inglese, affascinata dalla figura di Gandhi, a un certo punto della sua vita decide di lasciare la sua vita bo

The Story of my Experiments with Truth

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di Mohandas K. Ga ndhi La mia autobiografia preferita Proprio ieri ho risposto a un commento su Shantaram dicendo che non mi piacciono le autobiografie. Bene, mi contraddico subito. Dopo aver rivisto alcune scene del film su Gandhi, ho ripreso fra le mani la sua autobiografia, letta un bel po' di anni fa, e ho riassaporato il gusto delle sue parole. Il titolo italiano è " La mia vita per la libertà ", ma Gandhi aveva invece scritto una cosa profondamente diversa: " La storia dei miei esperimenti con la Verità ". Tutto un'altra cosa, considerando che per Gandhi la Verità era Dio. Gandhi la scrisse in gujarati, la sua lingua madre, negli anni Venti del Novecento, raccontando della sua infanzia, dei suoi studi in Inghilterra, della sua attività in Sud Africa e poi in India. Più che il racconto della sua attività politica e delle sue battaglie civili, quello che mi aveva impressionato erano proprio i suoi esperimenti con la Verità. In ques

Gandhi, il film

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Ovvero come tirarsi su di morale Venerdì sera sono arrivata a casa dal lavoro che ero un po' depressa. Ognuno ha i suoi metodi per sconfiggere la depressione di queste nostre vite insapori che paiono sfuggirci di mano, di questi anni insoddisfatti che viviamo senza motivazione o senza motivo. Per esempio certe mie amiche vanno a fare shopping. Dicono che sputtanarsi dei soldi in vestiti sia un efficace rimedio contro l'insondabile tristezza cosmica. Io che piuttosto di fare shopping preferirei ricevere delle martellate in testa (e che sono anche un po' tirchia viste le origini genovesi), ho elaborato un altro metodo: guardare Gandhi (il film ). Allora, appena arrivata a casa, ho messo nel lettore dvd il disco dorato e mi sono rivista le mie scene preferite. " Per questa causa io sono disposto a morire, però... non c'è nessuna causa per la quale io sia disposto a uccidere ", dice Ben Kingsley nei panni del giovane Gandhi in Sud Africa. "

Shantaram

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di Gregory Roberts Ovvero la Bombay di un australiano molto particolare Sempre restando a Bombay, non posso non parlare di Shantaram . Non tanto perché lo ritengo un libro indispensabile, ma perché ne parlano tutti i forum di libri e di India, in cui non mancano le recensioni entusiaste e le urla al capolavoro. Ma soprattutto perché proprio negli ultimi giorni ho ricevuto alcune email di simpatici lettori di questo blog che mi consigliavano di leggerlo (a proposito, grazie a tutti, a tutti quelli che leggono, a tutti quelli che scrivono...). Shantaram l'ho letto qualche mese fa, su insistenza di Aayush , un amico indiano di Calcutta, che mi ha scritto di averlo trovato illuminante e che mi ha consigliato caldamente di leggerlo prima che ne uscisse il film . Non è un romanzo indiano, l'autore è uno scrittore australiano alquanto particolare che descrive in prima persona una parte della sua vita trascorsa a Bombay. In quasi 1200 pagine, Gregory Roberts, ex-eroinomane

Due libri sugli slum (e quindi su Mumbai)

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Ovvero "il pianeta delle città ombra" Quando ero in procinto di partire per Bombay, mi ero un po' documentata sul fenomeno degli slum. Fenomeno mondiale, che accomuna gran parte dei paesi in via di sviluppo. Anche qui, volendo, i numeri si sprecherebbero. Metà della popolazione mondiale vive nelle città. Un miliardo di persone nel mondo vive negli slum. Entro il 2020 quest'ultima cifra sarà almeno raddoppiata. L'India è il paese al mondo con più abitanti negli slum. Due libri mi erano serviti per capire questi numeri e dare loro una dimensione umana: Il pianeta degli slum e Città ombra . Due saggi, non dico appassionanti ma sicuramente interessanti, che analizzano i vari aspetti di queste "città ombra" dalle dimensioni sempre più impressionanti. Entrambi parlano degli slum di tutto il mondo, ma si riferiscono a Mumbai come caso emblematico. Nel Pianeta degli slum , Mike Davis , sociologo e urbanista americano, presenta uno scenario preoccupante. Percorr

Nessun dio in vista... che parli hindi

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Ovvero non scrivo quello che penso Visto che ho appena finito di parlare di Nessun dio in vista , ripesco questo articolo sui nuovi scrittori indiani, pubblicato sulla Repubblica delle Donne in aprile, che parla anche di Altaf Tyrewala. In breve, descrive i nuovi scrittori indiani in lingua inglese, i nipoti della mezzanotte , trentenni globalizzati con curriculum internazionale, che hanno vissuto a New York, che bloggano 24 ore su 24, ascoltano rock underground e fanno zapping sulla tv satellitare. Il tutto mi sembra un po' esagerato. O quantomeno generalizzante. Però mi sono sembrati interessanti alcuni passaggi a proposito dello scrivere in inglese invece che nelle lingue regionali. In uno di questi si accenna a quello di cui parlavo qualche post fa : l'ambiguità di far parlare i personaggi di un romanzo in una lingua che non parlerebbero mai (cioè in inglese), proprio quando la loro lingua "naturale" sarebbe la lingua madre dell'autore. Altaf Tyrewala dice:

Nessun dio in vista

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di Altaf Tyrewala ( qui un articolo di The Hindu su di lui) Ovvero Bombay che si guarda allo specchio, di fretta, camminando, senza fermarsi Ancora un libro su Bombay. La copertina dell'edizione italiana è rosa, con un dipinto di una locandina di un film di Bollywood, Devdas , e una donna in sari che passa imbronciata davanti. Un po' harmony, un po' kitsch, molto bollywoodiano. Fra il pop e lo stereotipo (fra l'altro, mi piace molto). La copertina indiana è nera, con mani disperate che si alzano al cielo. Sembra un volantino degli anni Ottanta di Amnesty International, con le mani di desaparesidos o di vittime di tortura. Rosa e nero. A seconda che nella Bombay dei molteplici personaggi di questo romanzo ci si viva oppure no. Rosa e nero. A seconda del colore della pelle, come direbbe il mio amico Prem che ama scherzare sulle nostre diversità di colore (perché, sia chiaro, la pelle occidentale non è bianca: è rosa). Rosa e nero. Bombay e Mumbai. Non due nomi diversi

Maximum city - Bombay la città degli eccessi

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di Suketu Mehta Ovvero: tutto su Bombay Strabiliare con i numeri è facile, quando si parla di India: con un miliardo e trecento milioni di abitanti e con le sue grandi contraddizioni, è facile fare il gioco dei primati mondiali. L'India è sede sia del maggior numero di ingegneri informatici del mondo, sia del maggior numero di persone che vive sotto la soglia di povertà (per esempio, alcuni "numeri che parlano" sono qui , nel blog di Fabio Lucheroni). Ed è giusto, giustissimo farlo, per dare una proporzione alle cose, per capire l'ordine di grandezza di cui stiamo parlando, e anche per farci capire quanto siano secondari e marginali, a livello mondiale, i nostri piccoli problemi quotidiani, le nostre questioni di vita o di morte. Questo gioco dei numeri funziona poi ancora meglio con Bombay, una delle città più popolose al mondo, in cui ogni giorno affluiscono migliaia di persone da tutta l'India, in cui, con i suoi quattordici milioni di abitanti (nel 2006, nel f