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Visualizzazione dei post da settembre, 2008

The Story of my Experiments with Truth

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di Mohandas K. Ga ndhi La mia autobiografia preferita Proprio ieri ho risposto a un commento su Shantaram dicendo che non mi piacciono le autobiografie. Bene, mi contraddico subito. Dopo aver rivisto alcune scene del film su Gandhi, ho ripreso fra le mani la sua autobiografia, letta un bel po' di anni fa, e ho riassaporato il gusto delle sue parole. Il titolo italiano è " La mia vita per la libertà ", ma Gandhi aveva invece scritto una cosa profondamente diversa: " La storia dei miei esperimenti con la Verità ". Tutto un'altra cosa, considerando che per Gandhi la Verità era Dio. Gandhi la scrisse in gujarati, la sua lingua madre, negli anni Venti del Novecento, raccontando della sua infanzia, dei suoi studi in Inghilterra, della sua attività in Sud Africa e poi in India. Più che il racconto della sua attività politica e delle sue battaglie civili, quello che mi aveva impressionato erano proprio i suoi esperimenti con la Verità. In ques

Gandhi, il film

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Ovvero come tirarsi su di morale Venerdì sera sono arrivata a casa dal lavoro che ero un po' depressa. Ognuno ha i suoi metodi per sconfiggere la depressione di queste nostre vite insapori che paiono sfuggirci di mano, di questi anni insoddisfatti che viviamo senza motivazione o senza motivo. Per esempio certe mie amiche vanno a fare shopping. Dicono che sputtanarsi dei soldi in vestiti sia un efficace rimedio contro l'insondabile tristezza cosmica. Io che piuttosto di fare shopping preferirei ricevere delle martellate in testa (e che sono anche un po' tirchia viste le origini genovesi), ho elaborato un altro metodo: guardare Gandhi (il film ). Allora, appena arrivata a casa, ho messo nel lettore dvd il disco dorato e mi sono rivista le mie scene preferite. " Per questa causa io sono disposto a morire, però... non c'è nessuna causa per la quale io sia disposto a uccidere ", dice Ben Kingsley nei panni del giovane Gandhi in Sud Africa. "

Shantaram

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di Gregory Roberts Ovvero la Bombay di un australiano molto particolare Sempre restando a Bombay, non posso non parlare di Shantaram . Non tanto perché lo ritengo un libro indispensabile, ma perché ne parlano tutti i forum di libri e di India, in cui non mancano le recensioni entusiaste e le urla al capolavoro. Ma soprattutto perché proprio negli ultimi giorni ho ricevuto alcune email di simpatici lettori di questo blog che mi consigliavano di leggerlo (a proposito, grazie a tutti, a tutti quelli che leggono, a tutti quelli che scrivono...). Shantaram l'ho letto qualche mese fa, su insistenza di Aayush , un amico indiano di Calcutta, che mi ha scritto di averlo trovato illuminante e che mi ha consigliato caldamente di leggerlo prima che ne uscisse il film . Non è un romanzo indiano, l'autore è uno scrittore australiano alquanto particolare che descrive in prima persona una parte della sua vita trascorsa a Bombay. In quasi 1200 pagine, Gregory Roberts, ex-eroinomane

Due libri sugli slum (e quindi su Mumbai)

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Ovvero "il pianeta delle città ombra" Quando ero in procinto di partire per Bombay, mi ero un po' documentata sul fenomeno degli slum. Fenomeno mondiale, che accomuna gran parte dei paesi in via di sviluppo. Anche qui, volendo, i numeri si sprecherebbero. Metà della popolazione mondiale vive nelle città. Un miliardo di persone nel mondo vive negli slum. Entro il 2020 quest'ultima cifra sarà almeno raddoppiata. L'India è il paese al mondo con più abitanti negli slum. Due libri mi erano serviti per capire questi numeri e dare loro una dimensione umana: Il pianeta degli slum e Città ombra . Due saggi, non dico appassionanti ma sicuramente interessanti, che analizzano i vari aspetti di queste "città ombra" dalle dimensioni sempre più impressionanti. Entrambi parlano degli slum di tutto il mondo, ma si riferiscono a Mumbai come caso emblematico. Nel Pianeta degli slum , Mike Davis , sociologo e urbanista americano, presenta uno scenario preoccupante. Percorr

Nessun dio in vista... che parli hindi

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Ovvero non scrivo quello che penso Visto che ho appena finito di parlare di Nessun dio in vista , ripesco questo articolo sui nuovi scrittori indiani, pubblicato sulla Repubblica delle Donne in aprile, che parla anche di Altaf Tyrewala. In breve, descrive i nuovi scrittori indiani in lingua inglese, i nipoti della mezzanotte , trentenni globalizzati con curriculum internazionale, che hanno vissuto a New York, che bloggano 24 ore su 24, ascoltano rock underground e fanno zapping sulla tv satellitare. Il tutto mi sembra un po' esagerato. O quantomeno generalizzante. Però mi sono sembrati interessanti alcuni passaggi a proposito dello scrivere in inglese invece che nelle lingue regionali. In uno di questi si accenna a quello di cui parlavo qualche post fa : l'ambiguità di far parlare i personaggi di un romanzo in una lingua che non parlerebbero mai (cioè in inglese), proprio quando la loro lingua "naturale" sarebbe la lingua madre dell'autore. Altaf Tyrewala dice:

Nessun dio in vista

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di Altaf Tyrewala ( qui un articolo di The Hindu su di lui) Ovvero Bombay che si guarda allo specchio, di fretta, camminando, senza fermarsi Ancora un libro su Bombay. La copertina dell'edizione italiana è rosa, con un dipinto di una locandina di un film di Bollywood, Devdas , e una donna in sari che passa imbronciata davanti. Un po' harmony, un po' kitsch, molto bollywoodiano. Fra il pop e lo stereotipo (fra l'altro, mi piace molto). La copertina indiana è nera, con mani disperate che si alzano al cielo. Sembra un volantino degli anni Ottanta di Amnesty International, con le mani di desaparesidos o di vittime di tortura. Rosa e nero. A seconda che nella Bombay dei molteplici personaggi di questo romanzo ci si viva oppure no. Rosa e nero. A seconda del colore della pelle, come direbbe il mio amico Prem che ama scherzare sulle nostre diversità di colore (perché, sia chiaro, la pelle occidentale non è bianca: è rosa). Rosa e nero. Bombay e Mumbai. Non due nomi diversi

Maximum city - Bombay la città degli eccessi

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di Suketu Mehta Ovvero: tutto su Bombay Strabiliare con i numeri è facile, quando si parla di India: con un miliardo e trecento milioni di abitanti e con le sue grandi contraddizioni, è facile fare il gioco dei primati mondiali. L'India è sede sia del maggior numero di ingegneri informatici del mondo, sia del maggior numero di persone che vive sotto la soglia di povertà (per esempio, alcuni "numeri che parlano" sono qui , nel blog di Fabio Lucheroni). Ed è giusto, giustissimo farlo, per dare una proporzione alle cose, per capire l'ordine di grandezza di cui stiamo parlando, e anche per farci capire quanto siano secondari e marginali, a livello mondiale, i nostri piccoli problemi quotidiani, le nostre questioni di vita o di morte. Questo gioco dei numeri funziona poi ancora meglio con Bombay, una delle città più popolose al mondo, in cui ogni giorno affluiscono migliaia di persone da tutta l'India, in cui, con i suoi quattordici milioni di abitanti (nel 2006, nel f