Crepuscolo a Delhi e la sua storia


Provo ora a raccontare qualcosa della storia che sta dietro a Crepuscolo a Delhi di Ahmed Ali.
La faccenda è complessa e attingo a piene mani (cioè scopiazzo come al solito) dall'introduzione dell'autore scritta nel 1993, più di 50 anni dopo la prima pubblicazione, e dalla postfazione di Vincenzo Mingiardi, autore della mirabile traduzione e curatore dell'edizione italiana.

Intanto, due parole su Ahmed Ali. Nato nel 1910 a Delhi, fondò nel 1932 lo All India Progressive Writers's Movement insieme ad altri scrittori, fra cui Raja Rao e Mulk Raj Anand. Il movimento si proponeva di occuparsi delle questioni fondamentali (fame, povertà, arretratezza) per promuovere la trasformazione sociale di cui l'India aveva bisogno. Nel 1947, quando arrivò l'indipendenza e il subcontinente fu diviso in due, Ahmed Ali si trovava in Cina e gli fu negato il ritorno in patria, in quanto musulmano. Visse così da esule in Pakistan per il resto della sua vita.

Nell'introduzione Ahmed Ali sottolinea come la storia coloniale in Asia sia stata principalmente una lotta contro il nemico musulmano: al momento dell'arrivo degli inglesi, infatti, in India erano i musulmani a governare. Ma Ali ricorda anche che questo scontro ha radici più lontane che affondano dell'epocale lotta fra occidente cristiano e oriente islamico. Un nemico da "civilizzare", ovvero occidentalizzare, come "dovere morale" dell'Inghilterra.
D'altra parte, non mancava un'ambiguità fra la modernità propugnata dagli inglesi e quella auspicata dagli scrittori progressisti, schierati contro i dominatori britannici.

E' in questo contesto di ricerca di un'identità, che Ali scelse di scrivere Crepuscolo a Delhi in inglese, invece che nella sua lingua, l'urdu, perché la sua "ricerca aveva trovato una direzione, l'India aveva riscoperto la sua causa perduta e questa causa meritava un pubblico più ampio".
Quello che riusciva ad arrivare a Londra, infatti, aveva una certa risonanza e i nuovi scrittori indiani che scrivevano in inglese erano visti come ambasciatori del subcontinente in Inghilterra.
Scelta politica, dunque, prima che artistica o letteraria. Scelta dura, immagino, per chi come lui non aveva intenzione di sottomettersi ai dominatori britannici.

Crepuscolo a Delhi visse, proprio come il suo autore, una vita da esule. Paradossalmente fu considerato sovversivo in Inghilterra e reazionario dagli scrittori indiani: da una parte, troppo critico nei confronti dell'impero inglese, dall'altra troppo indulgente verso quel mondo arretrato e classista contro cui gli scrittori progressisti si battevano. Nonostante il successo ottenuto dopo la pubblicazione, la storia di Crepuscolo a Delhi dopo l'indipendenza si divide fra la censura indiana e quella pakistana: un romanzo che parla della Delhi musulmana è poco gradito dall'una e dall'altra parte del confine.

E quello che resta invece alla fine di tutta questa storia, come dice Ali, è una Delhi promiscua che balbetta lingue straniere, senza più identità, senza quelle mura di cinta che proteggevano il suo mondo. Ma restano anche, aggiungo io, la testimonianza, la ricerca e le parole magiche di questo romanzo, che nonostante tutto è sopravvissuto, lui sì, al Tempo e al Fato.


Commenti

  1. Molto interessante, è anche complesso. la partizione è stata un evento che ha cambiato completemente la vita di milioni di persone. ci sono stati così tanti libri, film su questo con diversi punti di vista. E l'ironia è che è difficile per la prossima generazione di indiani, come me, di immaginare come deve essere stato vivere questo momento storico.

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  2. Sì, è vero, in molti libri che ho letto c'è sempre qualche riferimento, anche secondario, alla Partizione.
    Deve essere stato un momento storico veramente doloroso, che ha lasciato segni profondi nelle persone che l'hanno vissuto.
    E' difficile per le nuove generazioni immaginare la storia e gli eventi che hanno subito le generazioni precedenti.

    Con un paragone forse azzardato, per gli italiani della mia generazione è difficile rendersi conto che cosa sia stata la seconda guerra mondiale per i nostri nonni.
    Ma è importante tenerne viva la memoria, per capire meglio il presente, per capire meglio da dove veniamo.

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  3. Beh, quando è stato scritto Crepuscolo mancavano ancora dieci anni alla Partizione, ma certo le forze che l'hanno determinata erano già all'opera. All'epoca della Partizione Ahmed Ali lavorava come addetto culturale all'ambasciata indiana a Pechino, e l'ambasciatore gli comunicò la notizia dicendo: "Adesso non crederete mica di tornare in India, vero? Fate pure le valigie per Karachi!" Così Ali fu costretto a lasciare casa e famiglia a Delhi; i suoi cari lo raggiunsero fortunosamente dopo tempo (abbandonando i libri e tutto il resto...).
    Sì, anche se le generazioni ormai sono cambiate è una ferita ancora sanguinante (tanti s'impegnano a farla sanguinare ancora di più) e molto presente nella letteratura indiana moderna, almeno non in quella tutta spezie, polverine colorate e sospiri diasporici. I capolavori mai tradotti in italiano sul dramma fondante del subcontinente sono Tamas di Bhisham Sahni e la raccolta di racconti Mottled Dawn del grande S.H. Manto. Sul fronte storico un libro bellissimo e illuminante, come tutte le opere dell'autore, è "Remembering Partition" di Gyanendra Pandey (Cambridge University Press). Pandey è uno dei massimi e più innovativi storici contemporanei, ed è interessato in particolare ai modi in cui si modella/manipola la storia, anche recentissima, per fini politici o per la costruzione di "identità nazionali" coincidenti con gli interessi del potere dominante. Eh, vorrei tanto che Pandey fosse letto da Rampini, magari il cindiologo ridimensionerebbe certe sue visioni di matrice coloniale -- se non colonialista -- sugli ultimi secoli di storia indiana. Beh, se non altro da quando è scoppiata la crisi mondiale ha abbandonato le camicie smaglianti da kung fu ed è tornato ai completini occidentali!
    Per restare in tema, ma tornando a una piacevolissima narrativa, a me è piaciuta molto un'altra delle mie vittime: "Fratelli di sangue" di M.J. Akbar, storia vera della famiglia dell'autore in Bengala dalle carestie di fine Ottocento agli anni dopo la Partizione... ma chissà, magari se ne può parlare ancora...

    Silvia, la tua frase sui ricordi bellici dei genitori mi ha colpito, il tempo vola: i miei nonni avevano già fatto figli all'inizio della Prima Guerra Mondiale e i miei ricordi della Seconda Guerra arrivano freschi freschi dai genitori. Nelle mie aule alle elementari c'erano manifesti variopinti con bellissimi disegni di vari tipi di bombe e mine, e la raccomandazione di non toccarle nel caso noi fanciullini le avessimo trovate giocando fra i campi; naturalmente il nostro sogno, allettati dalle forme misteriose e dai colori bizzarri, era di trovarle subito e vedere come funzionavano... gli effetti delle guerre durano nel tempo. Però adesso la tecnologia migliora, e con fosforo e metalli arricchiti il lavoro si sbriga più in fretta.

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  4. Oh! Ma che bello! Qualcuno che non ama Rampini! Allora non sono la sola ad avercelo sulle scatole!

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  5. Mi unisco anche io al coro anti-Rampiniano (e in realtà so che non siamo soli...)!

    Che peccato che questi capolavori non vengano tradotti in italiano. Di Manto sopratutto vorrei leggere qualcosa.

    "Fratelli di sangue" è uno degli 800 libri nella mia lista d'attesa...
    Forse il libro che parla della Partizione che (finora) mi è piaciuto di più è stato "Quel treno per il Pakistan" di Khushwant Singh. E prima o poi, toccherà anche a lui, in questo blog...
    Voglio avere più tempo libero per leggere/scrivere!

    Appunto, il tempo vola...
    I segni e le ferite rimangono ma sembra che si voglia dimenticarli sempre più in fretta (e la tecnologia aiuta...)

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  6. Scusatemi l'irruzione.
    Non c'entra niente con questo post ma con qualche post più in basso, riguardo musica indo-pakistana, ghazal...

    Vi consiglio questo sito: http://hi4free.com/?p=976

    cominciando col scaricarsi e ascoltare qaulcosa di Rahat Ali Khan, e poi andare avanti con i generi che preferite.

    buon ascolto.

    --
    jaska

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  7. Ciao Jaska e grazie per la tua segnalazione (in questo periodo, sto scaricando qualsiasi cosa...).
    Quindi sei appassionato di musica indo-pakistana?
    Torna fra noi!

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  8. Giri Mandi, una cosa: ma il nostro Ahmed stava a Pechino o a Nanchino? Non che cambi molto ai fini della storia, ma mi ero fatta tutto un viaggio mentale con improbabili paralleli storici basandomi su Nanchino (erano anni caldi anche in Cina, mi chiedevo lui che cosa avesse visto di tutto ciò)!

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  9. Che io sappia a Pechino, all'Ambasciata indiana... e lì ha maturato un grande amore per la poesia cinese, che ha pure tradotto. Non so se fosse molto preso dalle vicende politiche dei vicini, era molto molto abbacchiato per l'ostracismo stolido dimostrato dalla ghenga dei Progressive Writers più fedeli alla linea verso la sua opera. Una volta "partitioned" ha continuato a lavorare come diplomatico per il Pakistan, e di sicuro è stato per un po' di tempo in Marocco.
    Il luogo di scarico più straordinario che conosca per la musica hindustani è quello del "music freak" (così si autodefinisce, per me è un benefattore dell'umanità) Dr Ashfaq Khan su Mediafire: una collezione imponente, con concerti registrati anche in mehfil private dei più illustri artisti del Subcontinente. Personalmente, in quanto anche musicista e amantissimo della materia, ho provato la sensazione di un bambino lasciato libero in un immenso negozio di giocattoli. Ha pure una vastissima sezione di ghazal (con ingenti dosi di Mehdi Hassan e altri grandissimi).
    http://www.mediafire.com/?sharekey=2c219c6849e709688c9e7c56ba37815fda4affcb325a516f

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  10. Ah, ma pensa che sul libro c'è scritto Nanchino (ma mi fido di te!), io mi ero andata a vedere com'era Nanchino in quegli anni, con Mao alle porte...

    Grazie anche per questo link, ormai ho scaricato più roba di quanta mai ne riuscirò a sentire nei prossimi anni, però la mia avidità non ha limiti e quindi non mi fermo.

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  11. Ma può darsi benissimo che fosse Nanchino, la memoria non è fra i miei due pregi (1. preparare chai corroboranti secondo la scuola del nord-ovest; 2. avere inventato il motto "prendere naan per focaccia"): se c'è sul libro devo averlo scritto io, a meno che non sia sulla bandella, e all'epoca ero sicuramente più documentato. In ogni caso non ho mai trovato nulla di Ali che parlasse dei subbugli cinesi, se non quelli causati alla sua vita dall'ambasciatore indiano.
    Dal link del Dottor Ashfaq (che gestisce una "holistic clinic" a Lahore) si può scaricare quanto basta per una vita, considerando anche la qualità dei contenuti.
    Buoni download! Prima o poi cercherò di uploadare qualcosa anch'io... è simpatico e veloce Mediafire (ma l'upload a me risulta terribilmente + lento)

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  12. Pechino o Nanchino che sia, immagino che Ali in quei giorni avesse altre preoccupazioni rispetto alla rivoluzione cinese... ma mi incuriosisce sempre come gli indiani vedono gli altri paesi.

    Allora aspetto fiduciosa i tuoi upload!

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  13. Bella recensione Silvia, ti segnalo su www.bookswebtv.it un'interessante intervista all'autore.

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  14. Ti riferisci all'intervista di Vikas Swarup?
    L'ho vista, quante domande avrei anche io da fargli!
    Io personalmente non ho visto tutta questa durezza nel libro, e' vero che c'e' una disgrazia dopo l'altra, ma il tono sa spesso essere autoironico, leggero, non e' mai accusatorio.

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