I bambini di Tagore


Visto che si parlava di Tagore e che sono in vena poetica, eccomi a scrivere un'altra poesia.
Nell'andarla a cercare, ho riesumato dall'oblio il libro a 3900 lire della Newton & Compton, sopravvissuto ai fumi dell'adolescenza prima e a innumerevoli traslochi poi.

Già che c'ero, ho anche riletto l'introduzione di Alessandro Bausani, "Tagore visto da un non-tagoriano", di cui avevo del tutto dimenticato l'esistenza. Invece di prodigarsi a lodare il poeta premio Nobel indiano, Bausani evidenzia il rovescio della medaglia dell'ingenua concezione del mondo di Tagore, di quella sua languida ricerca delle tradizioni rurali, di quella sua fusione induista e un po' panteista con l'Essere. E il rovescio è poi sempre quello, che contrappone al fascino dell'India una realtà dura e dolorosa: la religiosità panteisticheggiante significa anche caste, superstizione e povertà, la meditativa dolcezza è anche sterile rassegnazione, il primitivo socialismo agricolo significa in realtà sfruttamento ed ego
ismo.

Poi Bausani passa al rapporto della poesia di Tagore con il mondo occidentale, di sicuro privilegiato per il fatto che Tagore stesso si sia autotradotto in inglese. Ma privilegiato anche dal fatto che di questa fusione mistica con il creato l'uomo occidentale moderno, abbandonato il monoteismo religioso da una parte e l'attivismo sociale dall'altra, abbia più che mai bisogno. E per questo lo preferisce, ad esempio, a poeti indiani musulmani, trovandoli più vicini alla propria cultura ma anche più scontati.

Alla fine mi ero totalmente convinta anche io: è vero, Tagore è suggestivo, ma ingenuo, esile, quasi infantile. E io sono la solita occidentale che si è subito lasciata abbindolare da tutto questo esotismo.

Poi però ho letto una poesia e tutto quello che Bausani aveva sapientemente scritto nell'introduzione si è dileguato in un istante, la mia convinzione si è sciolta ai primi versi.

Forse è proprio vero che mi faccio abbindolare. Ma Tagore mi rimane irresistibile, non affrontabile razionalmente, inconcepibile come la vita e altrettanto bello e misterioso.

All'inizio avevo pensato di trascrivere tutt'altra poesia. Ma alla fine stasera è questa che mi ha sciolto il cuore, ancora più ingenua, infantile e commovente.
(dal Gitanjali, tradotta da Girolamo Mancuso)

I bambini si incontrano
sulla spiaggia di mondi sconfinati.
Su di loro l’infinito cielo
è silenzioso, l’acqua s'increspa.
Con gridi e salti si incontrano i bambini
sulla spiaggia di mondi sconfinati.
Fanno castelli di sabbia
e giocano con vuote conchiglie.
Con foglie secche intessono barchette
e sorridendo le fanno galleggiare
sull’immensa distesa del mare.
I bambini giocano sulla riva dei mondi.
Non sanno nuotare,
non sanno gettare le reti.
I pescatori si tuffano a pescare
le perle dal fondo del mare,
nelle navi viaggiano i mercanti,
mentre raccolgono i bambini
sassolini che poi gettano via.
Non cercano tesori nascosti,
non sanno gettare le reti.
Il mare si increspa di mille sorrisi,
e la spiaggia dolcemente risuona.
Le onde che portano la morte
cantano ai bambini nenie senza senso,
come fa la madre
quando culla la sua creatura.
Il mare gioca coi bambini,
e la spiaggia dolcemente risuona.
S'incontrano i bambini
sulla riva di mondi sconfinati.
Vaga la tempesta
per il cielo dai molti sentieri,
naufragano navi
nell'acqua dai molti sentieri,
la morte in giro e giocano i bambini.
C'è un grande convegno di bambini
sulla spiaggia di mondi sconfinati.

Commenti

  1. Le poesie di Tagore sono comunque incantevoli, la sua concezione del mondo non è poi così ingenua, e pazienza se la sua opera tende a ignorare il "lato oscuro" (caste, povertà, sfruttamento ecc) della realtà indiana ... Bausani forse dimentica che erano tempi di nazionalismo nascente e crescente, e una certa idealizzazione dell'India tradizionale serviva a ricomporre l'immagine di uno specchio frantumato dalle martellate coloniali (come è evidente nel tradizionalismo gandhiano fatto di arcolai, dhoti, celibato ecc).
    Di sicuro il successo di Tagore in Occidente (oltre che all'esotismo all'epoca molto in voga, e perché no al suo aspetto carismatico: sembra l'incarnazione oleografica del saggio orientale!) è dovuto alla sua riconoscibilità: è un mondo letterario che in sostanza non è molto lontano da quello dei poeti romantici inglesi, ma per l'appunto condito da una gradevole speziatura orientale e misticheggiante. Quello che proprio mi sfugge è come Bausani possa dire che i poeti indiani "musulmani" (se così si possono definire) sono più vicini alla cultura occidentale, e quindi per essa più scontati: credo fosse evidente a lui in primis la distanza siderale (per argomenti trattati, giochi linguistici autoreferenziali, uso sovrabbondante d'iperboli, metafore ecc, riferimenti eruditi e uso strutturale di sofisticatissime griglie metriche) fra la cultura poetica urdu e quella occidentale novecentesca. Insomma, io credo sia vero il contrario: il successo di Tagore è dovuto al fatto di essere decisamente nel solco e nel gusto della produzione occidentale dell'epoca, rispetto alla ben più marcata alterità dei grandi poeti urdu. E a questo punto un bel machissenefrega: godiamoci l'incanto delle liriche di Tagore, lo sfavillio dei poeti urdu, e pure le considerazioni del Bausani, che qui mi sembrano un po' discutibili, ma esprimono comunque una riflessione critica stimolante.

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  2. ....insomma....bellissima poesia Silvia!Grazie.

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  3. Giri,
    forse ho fatto un sunto eccessivo delle venti pagine di Bausani per farle stare in 20 righe...
    Lui fa un discorso articolato, che io ho del tutto omesso, in cui appunto ricollega anche questa ripresa delle tradizioni nel contesto del movimento gandhiano e in generale delle varie componenti culturali dell'India di quegli anni (inglesi, musulmani, indù). Ma vuole ricordare anche il rovescio della medaglia di questi aspetti.

    Per quanto riguarda la lontanza delle misticheggianti poesie di Tagore dall'Occidente, Bausani dice che questa lontananza è del tutto filosofica, del "rapporto con l'essere". Non che manchi anche la parte più mistico-panteistica nella cultuta occidentale, ma Bausani dice che è l'altra che ha preso il sopravvento. Mentre, come dici anche tu, dal punto di vista stilistico Tagore è molto più vicino alle forme letterarie occidentali.
    La commistione delle due cose (stile orecchiabile su una visione filosofica in un certo senso sconosciuta, o abbandonata, e quindi affascinante) rende più interessante Tagore rispetto per esempio a Iqbal.
    Poi quando dice Occidente Bausani si riferisce "all'uomo colto occidentale", ma secondo me dovrebbe dire almeno coltissimo, se non erudito (ognuno ha i suoi standard di cultura e immagino che i suoi fossero altissimi...).

    Comunque lui si autodefinisce un "non-tagoriano" e in un certo senso mi sembra parteggi per i poeti urdu...

    Alla fine, tutto questo discorso non ha cambiato di una virgola il mio apprezzamento delle poesie. Però l'ho trovato utile per altre cose, e sicuramente l'ho apprezzato più di una introduzione di lodi entusiaste e acritiche al poeta.

    Ma, giusto, godiamoci le poesie, che tanto, per fortuna, sono quelle le parole che ci rimarranno.

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  4. Oh, mi fa piacere (sono molto orgoglioso) di avere intuito una parte del discorso di Bausani senza avere letto l'introduzione. Di sicuro Alessandro il Grande parteggia per i poeti urdu, e ancor più per i suoi amati persiani, ma direi che in questo caso il suo metro di paragone sia Iqbal (Iqbal vs Tagore!), anche perché Ghalib & C (soprattutto Bedil oppure Mir Dard, per esempio) mica scherzavano in quanto visione filosofico-trascendentale lontana dall'Occidente non meno che dall'esteriorità dell'islamismo esteriore, modernizzato e politicizzato che ahimé ancora oggi prospera... se pensi alla ghalibiana goccia di rugiada che apprende dal raggio di sole l'arte dell'annientamento... il milieu filosofico dei poeti urdu classici era sostanzialmente ibn-arabiano, perciò improntato a una metafisica trascendentale -- in sostanza non lontana dal Vedanta -- che l'Occidente ha diligentemente rimosso, a parte Eckart e gli altri renani (che peraltro non erano tanto ben voluti neanche ai loro tempi). Anche se il mio adorato Giacomo Lubrano, forse... pensandoci in effetti ha un vago sapore urdueggiante, pur essendo un gesuita secentesco, ma il barocco napoletano e l'India settecentesca, tutto sommato potrebbero... Arghhh! Stop, mi fermo e chiedo scusa!
    Ma viva anche Iqbal, che forse meriterebbe un posterellino...

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  5. Giri,
    allora visto che sei nella mente dell'Alessandro, ti cito cosa dice sulla contrapposizione Iqbal-Tagore:
    "è lo storicismo religioso del 'dover essere' (Iqbal) di fronte alla mistica della 'fusione con l'Essere' (Tagore), la linea retta e aperta verso il futuro, di fronte al circolo, al ciclo eterno della maya."
    Per questo gli occidentali preferiscono Tagore a Iqbal, trovandolo (apparentemente) più lontano rispetto alle "idee di Iqbal che ci sembrano (a torto) scontate".

    Comunque la contrapposazione sta anche nella contrapposizione delle due culture di quei decenni (di cui Bausani discute i rapporti con l'occidente), più che nella tradizione urdu precedente.
    Sembra dire (ma questo glielo metto un po' in bocca - in penna - io, magari tu che sei nella sua testa puoi smentire...): ecco, Iqbal e Tagore erano contemporanei ed entrambi meritevoli, ma l'Occidente si è innamorato dell'indù Tagore e non ha considerato il musulmano Iqbal.

    A questo punto, ok, visto che l'occidente non lo ha riconosciuto, posso forse tentare il posterellino. Ma mi limito a trascrivere una poesia (meno male che disprezzavo la trascrizione, fra l'altro potrei trascrivere quella che porta come esempio Bausani, ma non mi piace per niente...). Il resto lo lascio volentieri a te.

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  6. Fatto! Ormai scrivo solo a tuo comando!
    (scherzo, ovviamente mi fa piacere)

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  7. Premetto che amo Tagore e che sono di parte.
    Il mio amore per l'India è nato sui libri, romanzi e poesie.
    E l'India nella mia immaginazione e nel mio cuore era proprio così: rurale, romantica e se vogliamo ingenua.
    Era l'India del monsone, dei campanelli alle caviglie e dei braccialetti di vetro tintinnanti, dei fiumi in piena e dei cieli tempestosi.
    Era l'India magica ed affascinante di Arundhati Roy, della maga delle spezie o del palazzo delle illusioni.
    Non che non avessi affrontato anche letture meno "romantiche" o che non avessi mai sentito parlare dell'India "reale".
    Ma nel mio cuore ingenuo la MIA India era quella: il luogo dell'Anima dove si va a cercare se stessi e dove si trova se stessi.
    Quando il mio sogno è diventato realtà ho scelto di visitare Varanasi come prima tappa.
    Mentre il mio aereo si preparava all'atterraggio io ho pianto di autentica commozione guardando dall'alto i verdi campi e i villaggi...
    Poi però l'impatto con la realtà è stato uno schiaffo in pieno viso.
    E' stato terribile.
    Il mio viaggio è stata una minuziosa ed impietosa opera di distruzione di tutti i miei sogni e di tutte le mie fantasticherie romantiche.
    Per molto tempo, dopo essere tornata a casa, non sono stata in grado di metabolizzare la mia esperienza.
    Solo con il passare dei mesi sono riuscita a conciliare le due Indie: quella reale e quella che vive ancora nel mio cuore.
    Ci sono riuscita con il passare del tempo anche grazie ad un'intervista di Angela Terzani letta in un giornale, in cui anche lei descriveva sensazioni terribilmente simili alle mie.
    E adesso non vedo l'ora di tornare in India, di visitare altri luoghi ed altre regioni, sempre con i libri di Tagore nella valigia e tantissimi sogni ed aspettative nel cuore.

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  8. BaiLing, grazie per il tuo interessantissimo commento!
    Quest'India mitica dell'immaginario è forse, proprio come dici tu, non un paese reale, ma il mondo che tutti noi vorremmo, dove si cerca disincantati se stessi.

    Anche il mio impatto iniziale con l'India è stato molto forte, ma non avevo quell'idea romantica e disincantata, anzi avevo in mente proprio gli aspetti più duri dell'India. E già così, è stato anche per me un forte schiaffo in faccia: una cosa è leggere certe cose, un'altra è trovarsici in mezzo...

    (Il Dio delle Piccole Cose, nonostante sia scritto con parole fatate, per me è stato un viaggio letterario molto vicino all'India più "crudele".)

    Paradossalmente ho trovato poi l'India gentile e umana proprio in fondo a quella reale e dura, ho trovato l'India che ti fa scoprire te stessa non attraverso le spezie e il monsone, ma (anche) attraverso una realtà che va al di fuori della nostra abituale concezione del mondo.

    Ad ogni modo, è chiaro che il contatto con l'India non lascia indifferenti e ti costringe a riflettere e a cambiare un po'.
    E le poesie di Tagore, nel loro essere romantiche e sognanti, rimangono sempre un pezzo dell'anima dell'India, che sia in un villaggio ideale o nella crudeltà della sua vita quotidiana.

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