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Visualizzazione dei post da febbraio, 2009

Jai ho!

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Sebbene in questi giorni io sia totalmente persa in un altro film, Umrao Jaan (grazie a Serena , mia guru personale per quanto riguarda il cinema indiano, che mi ha gentilmente masterizzato il dvd), e nonostante Umrao Jaan sia tutta un'altra cosa (cioè molto meglio), festeggiamo il grande tripudio agli Oscar e le otto statuette a The millionaire . In particolare, le statuette indiane per la migliore colonna sonora a Rahman , per la migliore canzone, Jai ho , a Rahman e Gulzar e per il miglior missaggio del suono a Resul Pookutty. Jai ho! (Nota spudoratamente personale e quindi del tutto superflua: il fatto che Gulzar abbia vinto un Oscar mi ha completamente scagionato agli occhi degli scettici che ritenevano impossibile guardare una serie televisiva indiana degli anni Ottanta, quella su Ghalib che sto diligentemente guardando. Ora che sanno che il regista di quella serie ha vinto un Oscar è tutto più credibile, anche se resta ancora aperto il dubbio su come un regista

I romantici

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di Pankaj Mishra Pankaj Mishra è forse più famoso per Pollo al burro a Ludhiana , un racconto di viaggio nei villaggi dell'India, o per La tentazione dell'occidente , riflessione sulla modernità che avanza nel subcontinente. Recentemente è anche stato pubblicato La fine della sofferenza , un viaggio nei luoghi e nell'anima del buddhismo. Di lui ho letto alcuni articoli, scritti per il New York Times o per il Guardian , e ultimamente anche per la stampa italiana. I suoi articoli mi piacciono, ma c’è sempre qualcosa che mi sfugge, come se volesse dire qualcosa ma se lo tenesse fra le righe. E’ con lo stesso fare incerto che ho iniziato il suo primo romanzo I romantici (è inutile, alla fine io prediligo sempre la narrativa...). Anche fra queste pagine sono molte le cose trattenute fra le righe, le situazioni sospese, le emozioni irrisolte. Ma è proprio per questo che la storia di Samar mi ha coinvolto, anche se a tratti l'ho avvertita un po' ingenua, esile, o fo

Una sera in prigione

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Non mi piace molto fare dei copia e incolla di poesie o testi e poi lasciarli da soli a vagare per il blog. Non che abbia niente in contrario a chi lo fa, è solo che non mi piace particolarmente farlo. Questa sera però non ho niente di meglio di una poesia da sbattere qui, che descrive perfettamente il mio stato d'animo, la mia condizione. "Sbattere" e "battere". Perché non è proprio un copia e incolla: l'ho battuta lettera per lettera sulla tastiera e così ogni parola è diventata più lunga, ogni lettera più gentile. E' del poeta urdu pakistano Faiz Ahmed Faiz . L'ha scritta nel 1953 mentre era in carcere. Io l'ho rubata da Le letterature del Pakistan di Alessandro Bausani (la traduzione dall'urdu è pure sua), da cui domani mi dovrò separare per riportarlo nella biblioteca in cui è solito abitare. Quindi è anche un po' un modo per dirgli addio. Ma soprattutto è un modo per ricordarmi che anche in prigione si vive e si sogna.