The immigrant

di Manju Kapur

Diciamo la verità: la trama non brilla certo di originalità.
In poche parole: anni Settanta, matrimonio combinato (e desiderato) fra una ragazza indiana ormai oltre l'età da marito e un NRI (Non Resident Indian) che fa il dentista in Canada, con annessa descrizione delle difficoltà indiane di integrazione in "Occidente" e di relazione coniugale.

Bisogna però ammettere che i personaggi e le situazioni sono portati avanti con una certa maestria dall'autrice, capace di descrivere con mano sicura emozioni e sensazioni nei dettagli, in ogni piega, a ogni scalo dell'aereo che porta la protagonista in Canada o in ogni giornata passata in casa ad aspettare il marito.

The immigrant è il quarto e (per il momento) ultimo romanzo di Manju Kapur, non ancora tradotto in italiano, ma presente nelle sezioni di libri in lingua inglese di molte librerie. Dell'autrice, di cui in italiano è stato tradotto il suo primo romanzo Figlie difficili, in genere sono molto apprezzate le descrizioni dei sentimenti delle donne della middle class indiana, che si trovano spesso a vivere non facili situazioni familiari e matrimoniali.

In The immigrant la scena si sposta dalle famiglie dell'India del nord alla cittadina nordamericana di Halifax, dove Nina, la nostra "immigrata", si trasferisce per costruirsi una nuova vita di felicità coniugale.

Il marito Ananda, arrivato in Canada anni prima di lei, è ormai (quasi) totalmente occidentalizzato e cerca di trasformare in questo senso anche lei, che però troverà difficoltà nell'adeguarsi a cibo, vestiti e modi di pensare occidentali.
Alla fine, tutto si concentra sulle problematiche sessuali della coppia, mescolate con un tocco di femminismo: le sue (di lui) disfunzioni sembrano diventare il motivo centrale di tutta la sua (di lei, ma poi anche di lui) insoddisfazione.

A essere sincera, questo aspetto mi ha a dir poco annoiata, così come ho trovato il ripetuto contrasto fra l'Occidente individualista e l'India tradizionale un po' troppo banale, senza quella grazia e la sottile abilità nel descrivere la vita dell'immigrato, per esempio e per non fare nomi, di Jhumpa Lahiri.

Quello che invece mi ha dato più soddisfazione nella lettura è stato proprio notare come una scrittice indiana (cosmopolita, ma molto indiana e residente a Delhi) descrive il nostro Occidente - dove in realtà "l'Occidente" è identificato con una piccola città di provincia canadese - con anche tutti gli stereotipi del caso: un passaggio in Canada, con l'Occidente nello specchio dell'India.

Commenti

  1. A me "Figlie Difficili" non ha preso particolarmente, sebbene ci siano tematiche che mi interessano. Non so se sia lo stile di Manju Kapur a non entusiasmarmi o se sia qualcos'altro che non riesco a definire.
    Ci sono ovviamente cose in "Figlie Difficli" degne di essere analizzate, perché è un romanzo di "cose non dette", se capisci cosa intendo.

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  2. Neanche a me lo stile ha entusiasmato più di tanto, e in questo caso neanche la storia, anche se si vede che è una scrittice che scrive con mano sicura.
    Per il momento comunque l'entusiasmo non è abbastanza per leggere un altro della Kapur...

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