Days and nights in the forest (Aranyer Din Ratri)

di Sunil Gangopadhyay

Il film di Satyajit Ray Days and nights in the forest proiettato la scorsa settimana al River to River è capitato proprio a fagiolo, visto che ho appena finito il bel romanzo da cui è stato tratto.

Days and nights in the forest (Aranyer Din Ratri), scritto in bengali nel 1968 e tradotto solo ora in inglese, è il secondo romanzo di Sunil Gangopadhyay, scrittore e poeta osannatissimo in Bengala ma poco conosciuto da queste parti.

Sunil Gangopadhyay è nato nel 1934 in un villaggio che oggi sta in Bangladesh e vive a Calcutta. Ha iniziato soprattutto come poeta fondando la rivista letteraria Krittibas, ma ha scritto poi anche decine di romanzi, vincendo il Sahitya Akademi Award nel 1985 per il romanzo storico Those days (Sei Samay), e oggi è il presitente della Sahitya Akademi (la rinomata accademia letteraria indiana).

Chi è stato al Salone del Libro di Torino, lo ricorderà a presentare le letterature in lingue indiane e a recitare le sue poesie. Recentemente, un suo racconto è stato tradotto in italiano per l'antologia Aids Sutra.

Days and nights in the forest racconta l'avventura di quattro giovani di Calcutta, negli anni Sessanta, in una delle loro fughe improvvisate e senza meta per scappare per qualche giorno dalla vita borghese e di città.
I quattro amici si ritrovano a scendere alla stazione di Dhalbhumgar, piccolo villaggio rurale abitato da popolazioni tribali, fra Bengala e Bihar, a occupare un bungalow nella foresta e a girovagare per mercati, foreste e negozi di alcolici.

Ma, nonostante il simbolico gesto di buttare via il giornale all'arrivo nel villaggio, è con gli occhiali della cultura cittadina che i quattro protagonisti vedono e giudicano quel mondo tribale, vulnerabile e ferito proprio dalla "civiltà": non possono fare a meno di mangiare le uova a colazione, la bellezza dei tramonti ricorda loro i film occidentali, non sono capaci di cucinare da soli e l'incontro con due ragazze di Calcutta li farà ripiombare nel loro passato.

La foresta sembra essere il posto ideale per sottolineare le svariate contraddizioni sociali: i rapporti con i tribali non sono mai spontanei, sono sempre viziati da un inconsapevole senso di superiorità dei quattro ragazzi, che si manifesta soprattutto nei rapporti con le donne.
Non c'è comunicazione fra il mondo della città e quello della foresta, fra quello dei giovani borghesi e dei tribali e i loro rapporti finiranno sempre in modo spiacevole.

Per i quattro ragazzi, fra le serate alcoliche e le notti buie nella foresta, il viaggio sarà anche un'esplorazione delle proprie paure, dei rimorsi, dei loro aspetti più bui e violenti, simboleggiati nelle piccole ferite che qua e là affiorano come gocce di sangue, fino a misurarsi, ognuno a modo suo, con il rapporto con una delle donne incontrate nella foresta.

Rispetto al film di Satyajit Ray, che illumina i lati bui del romanzo e rende più scanzonati e comici i personaggi, il romanzo è molto più oscuro e ambiguo.

E soprattutto, è modernissimo: se i quattro non sono per niente diversi dai giovani occidentali degli anni Sessanta on the road, non sono neanche troppo diversi -per dirne una- da un gruppo di ragazzi del nostro tempo in vacanza in interail.
Modernissimo, inquieto e vitale.

Commenti

  1. grazie silvia, sembra moolto interessante!

    un caro saluto, cris

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  2. Come sempre, molto interessante. I tuoi post sono piccoli mondi. Un caro saluto a te e a Cris.
    Luminosa giornata a tutti, Clara

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  3. Grazie carissime e una luminosa giornata anche a voi, qui è uno splendore di cielo e di luce invernale!

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  4. Non ho letto il libro ma ho visto il film tante volte. Un dei capolavori di Ray. Grazie per la racconta.

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  5. Il film di Ray è piaciuto molto anche a me, è un po' più allegro del libro.
    Ciao Raj!

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  6. Grazie Silvia, non ho letto il romanzo e perciò la tua spiegazione mi è ancora più preziosa.
    Auguri di feste serene a te e a tutti i lettori.
    Marco

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  7. Grazie Marco, e tanti carissimi auguri anche a te!

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