I fenicotteri di Bombay

di Siddharth Dhanvant Shanghvi

I fenicotteri di Bombay sono fenicotteri perduti che si sono ritrovati in una palude in mezzo a capannoni e relitti industriali, animali bellissimi e fragili che si sono accontantentati di un posto che non era il loro e che hanno solo la libertà, a volte, di alzarsi in volo. 

Sono anche i protagonisti di questo romanzo, personaggi persi nelle loro vicende umane. Tutti geniali e malinconici.


Il protagonista è un giovane fotografo che appena arrivato a Bombay dalla remota Shimla diventa immediatamente amico di una bellissima star di Bollywood e di un giovane pianista di successo, omosessuale, che ha deciso di abbandonare la sua carriera.
Scusate la volgarità (e poi è una frase assolutamente in tono con il romanzo), ma appena l'ho raccontato al mio compagno, mi ha detto: "Sì, e poi magari gliela dà anche la prima che incontra per strada". Ecco, in effetti, sì, è proprio così. Si tratta di Rhea, un'artista della ceramica che però ha lasciato tutto per un matrimonio d'amore. E con l'andare del tempo e le svolte drammatiche della storia anche il talento del protagonista avrà la sua crisi.
Insomma, una sorta di Tenenbaum indiani, un concentrato di geni e artisti che per qualche motivo si sono persi per strada.

Altra protagonista della storia è la città di Bombay, di cui il nostro protagonista vuole realizzare un ritratto epico, "una musa mostruosa, un po' straga e un po' clown, sempre assurda, spesso incantevole".
In particolare, i personaggi della storia, che si ispira al caso di  Jessica Lall, abitano nel mondo raffinato di Bombay che abita in ville, beve Bellini e pronuncia argute battute da dandy da far invidia a Oscar Wilde (mentre la decantata Bollywood promessa in copertina non si vede).

Il romanzo a mio parere ha molti difetti: troppi stereotipi, troppe banalità, un lessico oscillante fra il linguaggio d'adolescente con allusioni sessuali e frasi d'effetto poetiche (alcune anche ben riuscite, altre del tutto fuori luogo), da giovane autore esuberante che cerca di stupire, per poi virare alla fine nei toni un po' stucchevoli da melodramma amoroso.

Sto dicendo che è una schifezza, anzi, "una sterile cagata senz'anima" (come vengono descritti i libri di uno dei personaggi)?
No... la storia è avvicente e le pagine scorrono. Le emozioni che colano allo stato grezzo dalle pagine coinvolgono.
Alcuni momenti sono effettivamente poetici e alcune delle frasi d'effetto funzionano davvero, fanno pensare, emozionare. Alla fine l'empatia si crea: se non altro perché, fra solitudine e redenzione, tutti sono colpiti dalla perdita e dalla morte. 

In poche parole, sembra il romanzo che potrebbe scrivere uno dei personaggi del libro (e d'altra parte,  la bandella ci racconta che l'autore è vissuto su una casa costruita su un albero a Bombay e che quando studiava a Londra si faceva offrire da bere raccontando leggende indiane...).
Un libro quindi pieno di alti e bassi, come descrive questa recensione di una blogger indiana, che è esattemente quello che penso, parola per parola.  

Commenti

  1. Sempre preziose le tue segnalazioni, Silvia, grazie!

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  2. Silvia, condivido in pieno! Ho amato molto "The last song of dusk" di Sanghvi, penso che sia stato uno dei libri più belli che l'India mi abbia regalato. Quando qualche anno fa ho comprato il suo secondo romanzo, "The lost flamingoes of Bombay" sono rimasta un pochino delusa, nonostante l'abbia letto volentieri. Mancava l'anima a questa storia, mentre l'altra era così vibrante di sentimento e passato, e insomma, anche di Bombay. Ti mando un abbraccio con quattro pappagallini verdi che stamattina mi hanno stupito e meravigliato sul terrazzo. Baci da B'bay

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  3. Ah, qui è uscito *None killed Jessica* a proposito dell'omicidio di Jessica Lall.

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  4. Marco, grazie a te!

    Clara: secondo me qui ha voluto strafare un po', poteva contenere meglio le buone idee che comunque ci sono, senza rivestirle a tutti i costi di frasi costruite e di personaggi autoreferenziali...
    Se ti capita di vederlo, No one killed Jessica, fammi sapere.
    Un abbraccio a te e ai tuoi pappagallini verdi!

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  5. bhè...visto il tipo ...non ci si poteva aspettare molto.
    Che ne dici: può fare il paio con la Dè?

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  6. Sonia, la Dè mi riprometto sempre di leggerla, per curiosità, ma alla fine c'è sempre qualche altro scrittore che le passa davanti e le ruba il posto nelle mie letture... quindi non ti posso dire.
    Però il nostro giovane SDS qui non è malissimo, un po' deludente rispetto alle aspettative (io invece avevo certe aspettative!), ma alla fine in certe cose ci sa fare.

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  7. in verità..se non leggi la Dè non ti perdi niente:)
    certo, anche quella che descrive lei è India (volgare, legata al lusso e al denaro, sfacciata e arrivista), ma non è l'India che amo

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  8. In effetti è per questo che la rimando sempre, ma prima o poi almeno una volta voglio leggere qualcosa per pura curiosità.
    Non posso giudicare senza aver letto, ma direi che "I fenicotteri di Bombay" non è così... trash come l'India della Dé che descrivi!

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  9. Ciao Silvia. Hai letto il nostro Dangerlok? Di Eunice De Souza, poetessa, tradotto dalla Guerzoni. Bombay dal punto di vista di una docente al St Xavier College. Bombay davvero... anche perchè lei vive a Santa Cruz, mentre Shangvi a Londra.

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  10. Ciao Andrea, grazie del consiglio: non ho ancora letto Dangerlok, ma ce l'ho nella pila di libri che devo ancora iniziare a leggere. Spero di farlo presto!
    Un caro saluto

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