Due anni, otto mesi e ventotto notti

di Salman Rushdie

Già dall'inizio si riconosce lontano un miglio che è un romanzo di Rushdie: la storia che si mescola con la magia, con tante belle digressioni e con una fantasia degna di un cantastorie.

Facendo il conto, 2 anni, 8 mesi e 28 notti sono esattamente 1001 notti. 
Le mille e una notte: questo romanzo parla delle 1001 notti che cambiarono il mondo e lo fa con il tono delle novelle raccontate da Sharazad ogni notte al suo sovrano.
E chi ha letto il capolavoro di Rushdie, ricorderà anche che 1001 è un numero caro a Rushdie: sono mille e uno anche tutti i figli della mezzanotte



Nelle prime pagine incontriamo Averroè, il filosofo arabo del XII secolo conosciuto come Ibn Rushd al di fuori dell'Occidente, alle prese con un contenzioso con il rivale Al-Gazhali, che gli costò l'esilio a Cordova.
La forza della ragione come strumento per conoscere il mondo in cui confidava Averroè si scontra con il totalitarismo della fede, di cui è fautore Al-Gazhali: è già subito chiaro, conoscendo la storia di Rushdie, dove si vuole andare a parare. 

Ma come ci si arriva è molto meno lineare.  
Ibn Rushd (il cognome di Salman Rushdie fu scelto dal padre proprio in omaggio al grande filosofo) ha una relazione con la principessa Dunia, travestita da orfana ed esule, venuta dal regno dei jinn, spiriti soprannaturali magici e capricciosi che vivono nella loro Fairyland e che talvolta incrociano la loro strada con quella degli umani. 

La progenie di Averroè e Dunia si diffonderà nel mondo attraverso le generazioni, caratterizzata dalle orecchie senza lobi e da una certa eccentricità. 

Fra i suoi rappresentanti, conosciamo presto Geronimo, un giardiniere di origine indiana che vive a New York e che nella vita si occupa di "coltivare il proprio giardino", come diceva Voltaire, nel modo migliore possibile. 
La sua storia ha quindi profonde radici nel passato ma, arrivando a oggi, le radici di Geronimo non ci sono più: a poco a poco Geronimo si solleva dal suolo e levita a qualche centimetro da terra. 

È una delle tante "anomalie" che succedono nel romanzo: eventi soprannaturali raccontati come se fossero normali e soprattutto con grande spasso e ironia. 

Nel raccontare tutta queste serie di eventi magici, il nostro cantastorie mescola riferimenti eruditi della filosofia medioevale o della storia moderna con elementi pop del nostro tempo. 
Ci si perde alla caccia di citazioni, che abbondano in ogni pagina, e in certe pagine, in ogni riga.
Ma se non si colgono tutte poco importa, la storia procede spassosa e veloce. 

Nella descrizione di queste anomalie, ci ritroviamo fra disegnatori di graphic novel, filosofi nichilisti, sindache progressiste, immigrati indiani o personaggi inventati con chiari riferimenti a quelli reali.

È in questo senso un libro sovrappopolato, pieno di personaggi e di eventi.
Io adoro i libri ricchi di personaggi (basti pensare, solo nel caso di Rushdie, alla ricchezza dei Figli della mezzanotte o dei Versi satanici), ma alla fine qui tutte queste comparse restano solo delle macchiette e non riescono a portare al romanzo un loro vero contributo.
  
Geronimo è il personaggio principale e quello per cui proviamo più simpatia, staccato dal suolo e dalla sua patria (l'India), immaginaria o non.
Ma non riesce a tenere insieme, da solo, tutti gli altri, a cui viene concesso poco spazio e poche interazioni, come se fossero un elenco di stranezze da mostrare, un bestiario medioevale di personaggi in cerca di autore. 

La voce narrativa è quella di imprecisati narratori che vivono fra mille anni e descrivono gli eventi, a noi contemporanei, dalla loro prospettiva di civiltà futura, perfetta e illuminata.
Anche se non sempre questa voce in realtà prevale, non riusciamo a sentire la narrazione vicina a noi. 

Quando poi inizierà "la guerra dei mondi" che vedrà contrapposti i fautori della ragione contro quelli dell'oscurantismo, con i jinn schierati da entrambe le parti, nelle sue descrizioni Rushdie risulterà troppo didascalico.

Che i cattivi siano quelli che non vogliono la libertà, i diritti umani, l'istruzione e l'emancipazione femminile è chiaro fin da subito, e ribadirlo troppo spesso rende la metafora meno libera e il romanzo meno letterario. 
Così come i troppi riferimenti all'attualità lo rendono meno universale di quello che potrebbe essere. 

Alcune recensioni hanno criticato proprio l'idea in sé di questa "guerra dei mondi" in quanto troppo superficiale: il mondo è più complesso di questa descrizione "buoni contro cattivi". 
Secondo me, invece, è azzeccata. Alla fine, è una trasfigurazione letteraria.
Due anni, otto mesi e ventotto notti non è un saggio, ma un libro fortemente ironico, se non proprio satirico, e la lotta fra i due schieramenti è un'allegoria del mondo sempre più polarizzato in cui viviamo. 

Un altro piccolo dubbio, invece. Alla fine compare un'idea bellissima sui sogni, che non svelerò per non rovinare il finale, che mi ha commosso, e la commozione non è un sentimento tipico di questo libro.
L'idea fa il paio con la pagina iniziala con il disegno di Goya del sonno della ragione che genera mostri. Ho pensato e ripensato se questa fosse un aspetto che possa far rileggere il tutto sotto un'ottica diversa, ma non ne sono venuta a capo. 
Per il momento, ho deciso che è una bellissima idea venuta in mente alla fine, ma che avrebbe potuto essere sviluppata molto meglio per tutto il libro. 

Detto ciò, è un libro che ho divorato, che mi ha divertito e che mi ha fatto pensare, sempre con ammirazione per l'immaginazione straordinaria di Rushdie e per come riesca a far sospendere l'incredulità di fronte a spiriti magici, supereroi indiani, neonate con poteri speciali e molto altro.

Il realismo magico di Rushdie è qui molto più magico che realistico: talvolta sembra di leggere un fumetto, talvolta un fantasy, talvolta semplicemente il suo romanzo più divertente.


Salman Rushdie, Due anni, otto mesi e ventotto notti, Mondadori 2015 
Traduzione di Lorenzo Flabbi 
288 pp., € 22,00 

Commenti

  1. Spesso si scambia l'ironia per qualcos'altro. Rushdie può essere tutto tranne che superficiale. Grazie per quest'ennesima bella recensione.

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    1. Eh, già.
      Difficile trovare chi capisce l'ironia. Ancora più difficile chi poi l'apprezza anche.

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