Circostanze incendiarie

di Amitav Ghosh

L'ho inziato immediatamente dopo l'incontro di Amitav Ghosh al festival di Mantova (se il festival della letteratura era banalmente un'operazione di marketing, devo dire che ha funzionato alla perfezione).

17 reportage che spaziano fra il Tibet, le isole Andamane dopo lo tsunami, l'Egitto, la Cambogia, la Birmania, New York, il confine fra Pakistan e India, lo Sri Lanka, Calcutta.

Alcuni si possono leggere, in inglese, anche sul sito di Ghosh. Più che reportage sono in realtà un misto di note di viaggio e di riflessioni personali, di ritratti e di resoconti narrativi, dove le microstorie e i personaggi anonimi riescono, meglio di mille analisi storiche e politiche, a spiegare una geografia umana che non sempre coincide con quella disegnata sugli atlanti.

Le circostanze incendiarie del titolo, ovvero i focolai di violenza che stanno forgiando il mondo, sono il filo conduttore di questa raccolta di saggi scritti in momenti diversi. In particolare, ricorre spesso la riflessione su come uno scrittore possa parlare della violenza senza diventarne complice, senza concedersi allo spettacolo che la violenza può offrire.

Questa riflessione diventa esplicita nei Fantasmi della signora Gandhi, in cui Ghosh racconta della sua esperienza diretta durante i disordini anti-sikh a Delhi del 1984 e della sua difficoltà a scrivere di quei giorni (il saggio è del 1995).
La chiave che infine Ghosh riesce a trovare è quella di descrivere "sia la violenza sia l'opposizione consapevole e civile alla violenza", perché "il fatto è che la più comune reazione alla violenza è di ripugnanza, e che un gran numero di persone, in tutto il mondo, cerca di opporvisi in tutti i modi possibili".

Il filo conduttore di tutte queste piccole e grandi storie diventa allora l'imperativo di raccontare, per resistere alla violenza e per non arrendersi "nella battaglia contro il silenzio".
Imperativo che non è solo quello di un autore che fa della scrittura la sua professione, ma anche di altri, di chi gli chiede di scrivere di lui dopo la sua morte, di chi, profugo, vuole carta e penna per scrivere il suo nome e cognome e non essere cancellato dalla memoria, di chi trova nell'arte e nella danza un motivo di rinascita, di tutti quelli che intervista, di tutti quelli che prima di lui hanno scritto altri romanzi, riflessioni, lettere e poesie.
Perché c'è anche tanta letteratura in questo libro, e il mio taccuino si è riempito di molti titoli di libri che ora dovrò leggere, in questa virtuosa catena di Sant'Antonio in cui ogni libro che leggo ne chiama almeno altri dieci.

E anche se Ghosh scrive che le mappe che servivano per immaginare il futuro sono ormai perse per sempre, rimane la speranza che qualche piccola mappa, provvisoria e isolata, si possa ancora costruire: la protoganista, come spesso negli scritti di Ghosh, anche in questi reportage è ancora una volta la memoria.

Commenti

  1. un testo fondamentale per chi cerca di capire la geopolitica a est. Questo testo è tra i miei preferiti di Gosh

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  2. Sì, Sonia nepalese, in questi saggi ha raggiunto "un perfetto equilibrio" fra analisi geopolitica e narrazione.

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  3. Ho letto questo libro subito dopo Il palazzo degli specchi e mi ha colpito moltissimo come nelle due narrazioni non ci sia una sostanziale differenza stilistica. In entrambi si avverte il gusto di raccontare e comunicare delle esperienze.

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  4. è vero, si legge come se fosse un romanzo.
    Così come Il palazzo degli specchi è anche un modo di parlare di storia e politica calate nella vita delle persone.

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  5. Da leggere insomma..:-)
    Gosh è proprio bravo.

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  6. Grazie Silvia per questa bellissima recensione. Non ho ancora letto il libro di Gosh ma ora, vista la tua opinione, lo farò.
    ciao :-)
    Marco

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