Shantaram
di Gregory Roberts
Ovvero la Bombay di un australiano molto particolare
In quasi 1200 pagine, Gregory Roberts, ex-eroinomane, evaso da un carcere di massima sicurezza dopo una rapina a mano armata e approdato a Bombay nei primi anni Ottanta, vive tutte le esperienze possibili: la vita nello slum e in un villaggio rurale indiano, le serate con la comunità di stranieri più o meno sbandati che come lui hanno trovato rifugio a Bombay, i mesi di durissimo carcere indiano, il lavoro per la mafia indiana a consegnare passaporti falsi in giro per il mondo, la visita a un tetro e lussuso bordello per salvare una ragazza perduta, la ricaduta nel mondo dell'eroina, la sensazione di essere pubblicamente abbracciato da un orso, gli incontri negli hotel a cinque stelle, l'epidemia di colera, fino alla guerra in Afganisthan dalla parte dei mujaheddin contro i russi.
Non che non ne consigli la lettura... anzi. Mi sento di consigliarlo a chiunque. E' un libro che tiene incollati alle pagine, io l'ho divorato. E poi amo i romanzi sovrabbondanti, avventurosi, rocamboleschi. Mi ci sono persa dentro, ho amato e odiato i suoi personaggi, ognuno caratterizzato in modo deciso, se vogliamo addirittura eccessivo, quasi da romanzo d'appendice.
Fatto salvo che per i miei gusti i capolavori sono altri e in quanto a stile c'è in giro chi scrive molto meglio, ho però due riserve fondamentali. La prima è personale e riguarda l'India, la seconda è letteraria e riguarda la narrazione. Ma forse sono la stessa cosa.
1) La personale, l'India. Questo è l'unico libro per cui il fatto di essere stata nei posti descritti, invece di entusiasmarmi e di farmi rivivere quei luoghi, ha appiattito la narrazione. Perché il nostro Greg è comunque un occidentale che, anche se vive nello slum, rimane tale. L'India di Shantaram non parla da sé, non si mostra spontaneamente ma è filtrata dagli occhi di un occidentale. Io, per la prima volta in un libro, l'ho sentita incredibilmente distante.
2) La letteraria, la narrazione. Gregory Roberts parla troppo. Non dico che sia prolisso, dico che invece di fare parlare i personaggi o le situazioni, parla lui.
Ti dice addirittura come interpretare le situazioni, per questo tutte quelle frasette le ho trovate un po' stucchevoli: vorrei essere io, dopo o durante la lettura, a tirare una conclusione sulla vita o sull'amore. Altre volte parla troppo di sé e lo fa semplicemente per giustificarsi.
Ma più che altro sembra non curarsi troppo della famosa regola "show, don't tell", raccontandoti sempre tutto. D'altra parte è obbligato a parlare, perché deve (o vuole) raccontare l'India a chi non la conosce. Lui ti spiega che cosa è il marathi, ti dice che è la lingua ufficiale parlata nel Maharastra, lo stato di cui Bombay è la capitale, che ha una radice linguistica simile all'hindi, ma è parlata come unica lingua soprattutto nelle zone rurali.
Tutto il contrario, per fare un esempio a caso, di Giochi sacri (lo prendo solo perché è ugualmente ambientato a Mumbai e ugualmente lungo), dove non solo non viene mai spiegato cos'è il marathi, ma vengono tranquillamente usate parole marathi. Subito magari non ci capisci niente, ma alla fine hai imparato, inconsciamente, sia cos'è il marathi sia come mandare a quel paese qualcuno in marathi (utilissimo, nella vita...).
Ecco quindi che le due mie riserve coincidono esattamente: in Shantaram ti vuole portare dentro l'India, in Giochi sacri non c'è bisogno, perché, prima che tu lo sappia, ci sei già dentro.
Capisco invece perché è piaciuto ad Aayush: è uno sguardo sull'India di uno straniero. Quante cose capisci di te stesso quando sono gli altri a descriverti. Illuminante.
Quindi, consigliato a tutti, ma agli indiani molto di più.
Ovvero la Bombay di un australiano molto particolare
Sempre restando a Bombay, non posso non parlare di Shantaram. Non tanto perché lo ritengo un libro indispensabile, ma perché ne parlano tutti i forum di libri e di India, in cui non mancano le recensioni entusiaste e le urla al capolavoro.
Ma soprattutto perché proprio negli ultimi giorni ho ricevuto alcune email di simpatici lettori di questo blog che mi consigliavano di leggerlo (a proposito, grazie a tutti, a tutti quelli che leggono, a tutti quelli che scrivono...).
Shantaram l'ho letto qualche mese fa, su insistenza di Aayush, un amico indiano di Calcutta, che mi ha scritto di averlo trovato illuminante e che mi ha consigliato caldamente di leggerlo prima che ne uscisse il film.
Ma soprattutto perché proprio negli ultimi giorni ho ricevuto alcune email di simpatici lettori di questo blog che mi consigliavano di leggerlo (a proposito, grazie a tutti, a tutti quelli che leggono, a tutti quelli che scrivono...).
Shantaram l'ho letto qualche mese fa, su insistenza di Aayush, un amico indiano di Calcutta, che mi ha scritto di averlo trovato illuminante e che mi ha consigliato caldamente di leggerlo prima che ne uscisse il film.
Non è un romanzo indiano, l'autore è uno scrittore australiano alquanto particolare che descrive in prima persona una parte della sua vita trascorsa a Bombay.
In quasi 1200 pagine, Gregory Roberts, ex-eroinomane, evaso da un carcere di massima sicurezza dopo una rapina a mano armata e approdato a Bombay nei primi anni Ottanta, vive tutte le esperienze possibili: la vita nello slum e in un villaggio rurale indiano, le serate con la comunità di stranieri più o meno sbandati che come lui hanno trovato rifugio a Bombay, i mesi di durissimo carcere indiano, il lavoro per la mafia indiana a consegnare passaporti falsi in giro per il mondo, la visita a un tetro e lussuso bordello per salvare una ragazza perduta, la ricaduta nel mondo dell'eroina, la sensazione di essere pubblicamente abbracciato da un orso, gli incontri negli hotel a cinque stelle, l'epidemia di colera, fino alla guerra in Afganisthan dalla parte dei mujaheddin contro i russi.
In tutto questo, non mancano amore, amicizia, tradimento, sentimenti filiali, sensi di colpa e tentativi di riconciliarsi con il proprio passato. Si sprecano dialoghi a sfondo filosofico e abbondano senza troppo pudore sentenze sulla vita, sull'amore, sulla verità, sul destino, sul bene e sul male. Tanto per capirci, cose così:
"Non sempre la verità ci aiuta ad amare il mondo, ma senza dubbio ci impedisce di odiarlo. L'unico modo di conoscerla è condividerla da cuore a cuore"
Non che non ne consigli la lettura... anzi. Mi sento di consigliarlo a chiunque. E' un libro che tiene incollati alle pagine, io l'ho divorato. E poi amo i romanzi sovrabbondanti, avventurosi, rocamboleschi. Mi ci sono persa dentro, ho amato e odiato i suoi personaggi, ognuno caratterizzato in modo deciso, se vogliamo addirittura eccessivo, quasi da romanzo d'appendice.
Fatto salvo che per i miei gusti i capolavori sono altri e in quanto a stile c'è in giro chi scrive molto meglio, ho però due riserve fondamentali. La prima è personale e riguarda l'India, la seconda è letteraria e riguarda la narrazione. Ma forse sono la stessa cosa.
1) La personale, l'India. Questo è l'unico libro per cui il fatto di essere stata nei posti descritti, invece di entusiasmarmi e di farmi rivivere quei luoghi, ha appiattito la narrazione. Perché il nostro Greg è comunque un occidentale che, anche se vive nello slum, rimane tale. L'India di Shantaram non parla da sé, non si mostra spontaneamente ma è filtrata dagli occhi di un occidentale. Io, per la prima volta in un libro, l'ho sentita incredibilmente distante.
2) La letteraria, la narrazione. Gregory Roberts parla troppo. Non dico che sia prolisso, dico che invece di fare parlare i personaggi o le situazioni, parla lui.
Ti dice addirittura come interpretare le situazioni, per questo tutte quelle frasette le ho trovate un po' stucchevoli: vorrei essere io, dopo o durante la lettura, a tirare una conclusione sulla vita o sull'amore. Altre volte parla troppo di sé e lo fa semplicemente per giustificarsi.
Ma più che altro sembra non curarsi troppo della famosa regola "show, don't tell", raccontandoti sempre tutto. D'altra parte è obbligato a parlare, perché deve (o vuole) raccontare l'India a chi non la conosce. Lui ti spiega che cosa è il marathi, ti dice che è la lingua ufficiale parlata nel Maharastra, lo stato di cui Bombay è la capitale, che ha una radice linguistica simile all'hindi, ma è parlata come unica lingua soprattutto nelle zone rurali.
Tutto il contrario, per fare un esempio a caso, di Giochi sacri (lo prendo solo perché è ugualmente ambientato a Mumbai e ugualmente lungo), dove non solo non viene mai spiegato cos'è il marathi, ma vengono tranquillamente usate parole marathi. Subito magari non ci capisci niente, ma alla fine hai imparato, inconsciamente, sia cos'è il marathi sia come mandare a quel paese qualcuno in marathi (utilissimo, nella vita...).
Ecco quindi che le due mie riserve coincidono esattamente: in Shantaram ti vuole portare dentro l'India, in Giochi sacri non c'è bisogno, perché, prima che tu lo sappia, ci sei già dentro.
Capisco invece perché è piaciuto ad Aayush: è uno sguardo sull'India di uno straniero. Quante cose capisci di te stesso quando sono gli altri a descriverti. Illuminante.
Quindi, consigliato a tutti, ma agli indiani molto di più.
E' indubbiamente vero quello che dici, e cioè che l'India qui è descritta da un occidentale e quindi è filtrata dai suoi occhi e dalle sue impressioni. A me è piaciuto molto lo stesso. Mi è piaciuto perchè, invece, certe mie impressioni collimavano talmente da impressionarmi. Mi piaceva la scoperta fatta un pò alla volta di un mondo così diverso dal nostro, il come era stata vissuta, i segni indelebili che lasciava, nel suo intimo, cambiandolo. Ovvio: l'autore sta raccontando se stesso, non l'India. Ma forse c'è molta "India" nello scoprire se stessi. Per il prolisso, sì, forse certe parti sono lunghe. Francamente non mi importa molto di come funziona un mitra, però nel complesso, certe lungaggini in certi momenti le ho apprezzate. Amo i libri che non corrono troppo :)
RispondiEliminaAh, le frasi stucchevoli... Il libro è in buona parte autobiografico. Parto dunque dal presupposto di un uomo che ha vissuto in maniera violenta, che ha fatto molti errori nella sua vita e che non ha mai imparato cosa vuol dire "bene". Credo che lungo il percorso che l'India lo costringe a fare dentro di sè, lui abbia in certo qual modo avuto delle improvvise consapevolezze, dei momenti di un passaggio interiore che in qualche modo doveva sottolineare. Quelle frasi per me erano questo, dei traguardi a cui lui arrivava e che in qualche modo doveva rendere espliciti, perchè erano le sue conquiste.
RispondiEliminaho comprato Shantaram appena uscito, perché era lunghissimo e perché parlava dell'India. Non l'ho mai considerato un romanzo, ma un'autobiografia. E come tale mi è piaciuto, per le stesse ragioni che diceva Luisa e cioè perché mi ha fatto guardare l'India come l'avrei potuta guardare io e per il suo percorso interiore.
RispondiEliminaSe invece dovessi giudicarlo come romanzo la penserei esattamente come te. E pensa che proprio ieri mentre stavo finendo (purtroppo!) Giochi sacri (bellissimo! grazie per la passione con cui ne hai parlato!) mi sono ricordata di Shantaram e ho pensato che parlavano dello stesso mondo ma in modo completamente diverso e che il modo di Vikram Chandra è certamente migliore.
ciao, cris
Grazie dei vostri commenti!
RispondiEliminaIn realtà Shantaram anche a me è piaciuto, lo ritengo però molto sopravvalutato, soprattutto nel caso lo si legga come un romanzo e non come un'autobiografia (e forse sta qui tutta la differenza, e in effetti devo ammettere che le autobiografie, come genere, non mi piacciono più di tanto e quindi io finisco a leggere tutto come un romanzo...).
Concordo sul cammino interiore che evolve con lo scoprire l'India a poco a poco.
Ma penso che mi sarebbe piaciuto molto di più se non fossi mai stata in India e soprattutto a Bombay. Le ragioni per cui l'ho trovato distante sono quindi tutte molto personali.
Perché, Luisa, anche per me in certe parti c'è stato questo collimare di impressioni ed esperienze.
Per esempio, all'inizio, quando parla del suo arrivo a Bombay o quando va per la prima volta nello slum, io avevo scritto quasi le stesse cose sul mio "taccuino di viaggio". Quindi da una parte mi ci sono ritrovata, dall'altra però non ci ho trovato niente di nuovo, potevo essere io che parlavo dell'India.
Altre volte invece ho avuto una sensazione di straniamento. Per esempio per quanto riguarda il Leopold: quando ci sono stata, mi è sembrato un ghetto di turisti occidentali con la Lonely Planet in mano, che dopo essere stata fra le baroccopoli nella zona nord di Bombay, mi ha messo molta tristezza (forse negli anni ottanta era diverso, ma a me è venuta in mente l'immagine di quando c'ero stata).
Per le frasette, in generale non mi piacciono, in nessun libro, anche se sono d'accordissimo che per lui qui sono quasi delle rivelazioni, delle conquiste, per di più in una vita così violenta e travagliata. Da una parte però non mi sembrano particolarmente profonde (e chi ti credi di essere... direte!), dall'altra è una questione di come io leggo i libri. Mi piace avere delle porte aperte, dei significati sovrabbondanti, in cui posso scegliere cosa pensare, anche se non è la stessa cosa che ha pensato l'autore, in cui interpretare i personaggi o le vicende.
Con questo libro questa libertà di scelta non l'ho trovata. Lui ti descrive tutto fino al minimo dettaglio, ma non per darti più significati possibili, per aprirti delle porte (come spesso invece fa Chandra), ma per dirti tutto ciò che devi sapere e che devi capire, chiudendo al resto.
Per forza, direte, parla di sé, sa lui cosa ha pensato e fatto. Certo. Ma non posso fare a meno di fantasticarci su e di cercare spazi aperti, anche perché d'altro canto la trama così avventurosa e particolare si presterebbe molto.
Forse la mia valutazione non del tutto positiva (ma ripeto, mi è piaciuto!) deriva anche dal fatto che l'ho letto poco dopo Giochi Sacri, dove invece tutto è sempre aperto e sovrabbondante.
A proposito, Cristina, mi fa piacere che tu l'abbia letto e che ti sia piaciuto!
Mah, Silvia anch'io credo che i punti principali siano questi due: primo lui è un occidentale che sta cercando di descrivere un mondo completamente diverso dal suo e a lui, fino a quel momento sconosciuto.
RispondiEliminaSecondo, tu , avendo avuto la fortuna di "vivere" l'India e in particolare Mumbai, non puoi fare a meno di fare paragoni con le tue emozioni, le tue esperienze, il tuo vissuto personale...e dal tuo punto di vista tutto quello che lui racconta in modo così sovrabbondante è un pò...non so come dire...vuoto? Non so se mi sono espressa bene...
Comunque anche a me è piaciuto molto, certo anch'io non lo considero un capolavoro. Però lo consiglerei tranquillamente.
Un abbraccio. Serena
Cara Serena, sì, è esattamente come dici tu.
RispondiEliminaA tratti mi è sembrato un po' "vuoto" e sono sicura che tutto dipende dalle mie emozioni indiane.
Comunque devo ammettere che mi ha appassionato molto durante la lettura.
A presto!
Confermo sul Leopold!!! :))) Tutti turisti con la LP in mano, ma non ho idea di come potesse essere un tempo, nè sono mai andata a controllare cosa ci fosse ai piani superiori!
RispondiEliminaIn compenso aveva ragione sui camerieri scorbutici. :)
scorbutici è dir poco!
RispondiEliminaCiao,
RispondiEliminaeccomi qui, reduce dalla lettura di questo libro, con le braccia anchilosate a causa del peso delle quasi 1200 pagine. Certo ho poco da lamentarmi in confronto a quello che ha passato Gregory "Lin" per scriverlo... però lui è un duro mentre io ho una vita così normale.
Nel complesso il romanzo mi è piaciuto (tra autobiografia e romanzo propendo decisamente per "la seconda che hai detto!"), si faceva leggere e a volte mi incuriosiva.
Però non nascondo di aver provato fastidio, da un lato per il suo continuo ribadire "io sono un duro" e dall'altro per la sicurezza che mostra nell'interpretare i propri sentimenti e ciò che accadeva. Oltretutto la storia non permetteva minimamente di immedesimarmi nel personaggio o in qualche situazione, sicchè le atmosfere che ho vissuto in viaggio non ho potuto ritrovarle nel libro. Penso che in fondo sia questo che cerco sempre in un libro ambientato in India. Ciò detto, sottoscrivo decisamente le tue riserve.
Salam Angelo
PS: un'ultima cosa, sono andato nel sito del libro, ho visto le foto di Gregory: sembra proprio un duro!
Caro Angelo,
RispondiEliminaormai è passato più di un anno e mezzo da quando l'ho letto e quindi ho ora uno sguardo più distaccato.
Il nostro Greg è sicuramente un duro! In realtà io e le mie colleghe lo abbiamo soprannominato "il tamarrone" e le foto che hai visto confermano probabilmente questa sensazione!
Ripensandoci ora, penso che Shantaram possa essere letto come un gran bel romanzone di avventura e in questo senso penso che sia una bella lettura.
Il fastidio che ancora provo a ripensarci è il tentativo di trasformare una bella storia (bella tanto più perché vissuta realmente) in un insegnamento per i lettori.
La filosofia (un po' da quattro soldi) che ogni tanto aleggia per il libro, nonostante sia piaciuta a molti lettori, io l'ho trovata molto fastidiosa...
Penso che in generale possa anche essere positivo il fatto di non ritrovarcisi in un romanzo ambientato in India: a volte si incontrano situazioni nei libri con cui difficilmente verremmo a contatto nella realtà.
In questo senso alcune delle cose descritte le ho trovate interessanti, ma è vero che rimangono filtrate dalla sua interpretazione e dalla sua persona (fra l'altro, succede veramente di tutto, anche i morti che "risorgono"!).
Il fatto che nello scrivere sia un po' autocelebrativo in effetti rende il tutto un po' estraniante.
Penso che lui sia proprio un personaggio fuori dal comune e d'altra parte sia i difetti sia i pregi del libro derivano poi dal fatto che la sua personalità sia così "importante", egocentrica.
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RispondiEliminaSono un po' discorde sia da quanto scritto nella recensione sia da quanto letto nei commenti.
RispondiEliminaMi sembra di riscontrare un atteggiamento un po' snob nel descrivere il libro, forse già esistente nell'approccio alla lettura?
Roberts è sicuramente un tamarrone come scrive Silvia e la filosofia descritta è un po' spicciola, ma Shantaram è davvero un bel libro. Pur non essendo certo alta letteratura, ha la grandissima capacità di coinvolgere molti tipi diversi di lettori: dagli appassionati dell'India (quelli magari appunto un po' più critici), a quelli che magari leggono un libro all'anno.
Sono andata ad ascoltarlo a Torino e vi assicuro che quell'uomo ha carisma e ha la capacità di saper parlare con un pubblico davvero vasto; in sala infatti c'era di tutto: dal freakkettone al nerd!
E' ovvio però che quando certe opere hanno un linguaggio "universale", pur abbracciando un'enorme moltitudine di persone, finiscono per scontentare qualcuno.
Certo che se ci si approccia alla lettura di Shantaram già con l'intento di metterlo un po' sotto esame (magari per capire come mai ha suscitato interesse per l'India più lui di quanto non abbiano fatto romanzi che si ritiene capolavori sottovalutati), non sarà difficile trovarne le pecche, anche perchè sono evidenti! L'autore non ha neanche minimamente tentato di camuffarle.
Secondo me però la grandezza di Shantaram è quella di raccontare una bella storia, spesso fin troppo rocambolesca, ma comunque coinvolgente anche perchè il lettore sa essere ispirata alle vicende personali dell'autore.
Il libro è un mix di tante, a volte troppe cose: un bel masala insomma con istinti bollywoodiani.
Ciao
DUDU
Ciao Dudu,
RispondiEliminagrazie mille per il tuo commento!
Mi sembra che comunque i nostri giudizi non siano così divergenti: Shantaram è una bella letturona in cui perdersi e da divorare, che può far presa su un vasto pubblico (tanto che alla fine lo consiglio a tutti!) con evidenti pecche e qualche esagerazione o ingenuità.
Non penso di averlo voluto mettere sotto esame, o forse sì, dal momento che l'ho letto e poi ho scritto le mie impressioni, ma questo succede in modo totalmente equalitario per tutti i libri di cui parlo in questo blog e quindi la tara dell'esame c'è per ognuno di loro...
Neanche ce l'ho a priori con i best-seller (vedi le mie lodi esagerate a Giochi sacri in questo e altri post, su cui avevo molte più riserve iniziali)!
Come forse ho già detto di qua e di là e mi scuso se sono ripetitiva, la mia riserva fondamentale è che Shantaram ti racconti troppo (non in termini di lunghezza di pagine), ti dica come interpretare la vita o i personaggi, invece di darti in mano i mezzi per farlo, e lasciarti la libertà di farlo.
La cosa bella del libro è la storia, l'avventura che racconta, ma il volerla infarcire di considerazioni filosofiche esplicite mi è sembrato aggiungere uno strato che ha impoverito il romanzo invece di arricchirlo.
Anche io ero a Torino all'incontro del nostro amico e non ho niente da dire sul personaggio, sul suo carisma e sulle sue indiscusse capacità di essere un gran trascinatore di folle.
Ecco, diciamo che con lui ci andrei molto volto volentieri a fare un viaggio (in moto, eh!) o a bere una birra, anche senza essere una fan sfegatata (e "tamarrone", come lo chiamiamo in ufficio, è un termine ormai affettuoso).
Però, degli incontri indiani di Torino quelli che mi hanno dato di più sono stati quello di Indra Sinha che parlava della situazione di Bhopal e quello praticamente deserto delle letterature in lingue indiane, che alla fine mi ha portato a Calcutta e mi ha fatto scoprire capolavori che mi hanno fatto veramente cambiare qualche prospettiva sulla mia vita.
Troppo snob? :-)
Si, ho tredici anni, ma ho amato quel libro. L'ho letto in un mesetto, perché era veramente magnifico e i suoi concetti e pensieri personali erano meravigliosi, molto interessanti. Ora sto facendo la scheda libro da presentare a scuola e faremo anche un progetto su questo: intervisteremo gli extracomunitari della nostra città e scriveremo un libro.
RispondiEliminaINSTAGRAM: _vanny_23
Salve a tutti,
RispondiEliminaQuest'anno ho la maturita' e pensavo di fare la mia tesina su questo libro.
Volevo chiedere se secondo voi ci sono dei collegamenti con fisica o scienze. Per scienze pensavo di parlare delle droghe e come mutano il DNA,ma questo collegamento mi sembra un po' forzato...
Grazie in anticipo