In custodia

di Anita Desai

Polvere.
Mulinelli di polvere soffiano fra le pagine di questo bel romanzo di Anita Desai, pubblicato nel 1984 e arrivato nella shortlist del Booker Prize di quell'anno.
Polvere. Nelle strade della grigia e triste città di provincia dove abita Deven, polveroso e grigio insegnante di hindi in un college. Nelle parole di un grande poeta: “prima che il Tempo ci riduca in polvere...”. E, sotto i cartelloni pubblicitari e nei vicoli antichi, anche nella gloriosa Delhi, culla di una cultura ormai in decadenza.

Deven viene arruolato da un amico d’infanzia, direttore di una rivista di poesia urdu, per intervistare  Nur, celebre poeta di Delhi: un'opportunità unica di conoscere la leggenda vivente della poesia urdu, proprio per chi si è dovuto accontentare di insegnare hindi a studenti insofferenti e a sperare inutilmente di veder pubblicata qualche sua poesia.

Ma entrando in casa del poeta, si accorge come le vette elevate della poesia siano un ricordo ormai lontano: Nur, invecchiato, incattivito e scorbutico, vive in balìa di donne volgari e del suo entourage più dedito a mangiare, bere e gozzovigliare che non ai versi sublimi della poesia.

Di fronte ai tentativi di Deven di concludere l’intervista, Nur parla a sproposito, oppure rimane in silenzio, con “le labbra che scoprono le gengive macchiate e i denti marci, come in una maschera di putrefazione”, in una tetra stanza che “puzza di insulti sordidi, di gengive marche, di liquore puro e di troppi anni e di troppa collera impotente”.

Timido e remissivo, già vittima dello sbeffeggio dei suoi studenti e delle imposizioni della moglie, Deven diventerà anche vittima dello stesso poeta e del suo mondo. La lingua che insegna, “un mostro vegetariano” adatto solo ad adoratori di vacche, viene disprezzato e ridicolizzato, rispetto al ben più sostanzioso, sublime e poetico urdu.

Deven tornerà più volte a Delhi e si sentirà sempre più inadeguato, in mezzo a due fuochi, quello di Nur e quello del direttore della rivista, e cercando di concludere qualcosa peggiorerà sempre più la sua tragicomica situazione, fino a che i fuochi si moltiplicheranno: il preside, gli studenti, la moglie.

Arguto, impietoso e delicato, scritto in un tono ironico ed amaro, In custodia ben rappresenta la maestria di Anita Desai nelle descrizioni dei luoghi come negli stati d’animo, con il suo uso preciso e suggestivo delle parole.
Di Anita Desai spesso si loda la grande abilità di cogliere gli stati d’animo dei personaggi femminili. E’ sicuramente vero, ma questo libro dimostra che riesce magnificamente anche a rappresentare quelli maschili. E che forse non sono poi così diversi.

Commenti

  1. Già, hai fatto un'ottima analisi. L'ho letto anni fa ma l'amaro nella bocca mi è rimasto ancora.

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  2. Cara Enikő, anche io l'ho letto anni va, ma il ricordo è vivido.
    E' vero, lascia l'amaro in bocca, fra situazioni esilaranti e momenti di puro sconforto.

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  3. Un bel libro, anche se i capolavori di Anita Desai secondo me sono "Chiara Luce del Giorno" e "Digiunare, Divorare".
    Mi manca da leggere "Baumgartner's Bombay" alias "Notte e Nebbia a Bombay", che anche dicono sia molto bello.

    E' vero, "In Custodia" lascia l'amaro in bocca: si percepisce la frustrazione del protagonista e il decadimento della poesia hurdu che avanza. E' sempre brutto quando una lingua un tempo così ricca di letteratura perde il suo status.

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  4. Chiara Luce del Giorno è uno dei miei libri preferiti (non solo quelli di Anita Desai, oserei dire in generale), non a caso è stato uno dei primi post di questo blog!

    Anche Notte e nebbia mi è piaciuto molto: è bellissimo come descrive il senso di estraniazione del protagonista, in una Bombay straniera anche dopo tanti anni: te lo consiglio sicuramente.

    E mi è anche piaciuto molto Fuoco sulla montagna, inquietante e profondo.
    Digiunare, divorare (che bello il titolo inglese!) è pure un capolavoro.

    Insomma... se non si fosse capito, mi piace molto Anita Desai! Molti dei suoi romanzi li ho letti molto tempo prima di andare in India, molti anni fa, e sono tutti rimasti nel cuore.

    Per la poesia urdu, non diamola per spacciata! Anche se la Desai descrive la decadenza di un mondo legato alla poesia urdu, penso che ogni cosa sopravviva in altre forme e altri modi (dalle canzoni nei film di Bollywood ai poeti pakistani...)

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  5. Quello che mi ha colpito di questo romanzo è come in effetti Deven (che tra l'altro è induista) sia sì un perdente legato romanticamente a un mondo che sta scomparendo, e tuttavia abbia delle responsabilità in questa decadenza.
    Se lui non fosse così snob da non voler imparare a usare il registratore o se non fosse così prevenuto da non voler leggere i versi della moglie di Nur probabilmente potrebbe rendere un servizio alla poesia che ama.
    La Desai è stata senza dubbio brava a dipingere un mondo maschile, ma certo non è tenera con gli uomini. Pensate anche a Siddiqui!

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  6. SUPPLEMENTO: già che ci siamo: qualcuno ha un'idea di come si possa interpretare il titolo?

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  7. Alessandro,
    sono d'accordo che Deven ha le sue belle responsabilità, della decadenza poetica ma anche della sua stessa vita condotta in modo così triste.
    Di fatto, è sempre inetto di fronte alle situazioni. Non direi che è proprio snob (un po' sì, ma non ha l'atteggiamento di uno che guarda le cose dall'alto in basso), piuttosto che, anche per le cose che gli stanno a cuore, non riesce a fare quel minimo sforzo per prendere in mano la situazione.

    Eh già, la Desai non è molto tenera con gli uomini, ma d'altra parte neanche con le donne (le moglie di Deven è antipatica, per non parlare delle donne di Nur...).
    Mi viene in mente anche un altro romanzo più "maschile", Notte e nebbia a Bombay, dove forse è un po' più tenera con Hugo Baumgartner, ma alla fine anche nei suoi confronti riesce ad essere impietosa.

    So che a molti la Desai non piace proprio perché viene giudicata troppo fredda nei confronti dei suoi personaggi (e in generale abbastanza cupa), eppure secondo me la sua forza sta proprio nell'essere sempre imparziale e di riuscire così a descrivere così minuziosamente gli stati d'animo.
    Ma qui mi sto dilungando...

    Il titolo.
    C'è il pezzo in cui Deven immagina di diventare il custode di Nur e della sua poesia.
    "He had imagined that he was taking Nur's poetry into safe custody, and not realized that if he was to be custodian of Nur's genius, then Nur would become his custodian and place him in custody too. This alliance could be considered an unendurable burden - or else a shining honor"
    Ma poi alla fine è lui che viene preso "in custodia", o meglio "in ostaggio" da lui e dal suo mondo.
    Allo stesso modo la poesia avrebbe bisogno di essere custodita, ma può diventare lei stessa il tuo custode, che ti permette di semplificarti la vita (e quindi di non affrontarla) perché fa da filtro, "allontana le cose insopportabili".
    Voi cosa dite?

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  8. Anche a me piace molto Anita Desai, nonostante i suoi libri siano così cupi. Tra l'altro devo dire che lei come persona non è per niente cupa, l'ho vista 2 o 3 volte quando è venuta a Venezia e le ho anche parlato (molto brevemente) una volta. Emanava un'aura di serenità che non avevo mai percepito in nessun'altra persona.

    Io di urdu non so niente (scusate, prima ho messo un'acca di troppo nella parola)ma sono contenta di sapere che la poesia urdu non è spacciata, almeno in Pakistan. Una cosa che mi ha colpito è che il decadimento di cui parla la Desai è quello della poesia urdu in India, come se ci fosse un muro, un confine invalicabile tra India e Pakistan che non ci fa vedere che cose e se c'è qualcosa oltreconfine che vale la pena di essere valorizzato poeticamente.

    Sono d'accordo con voi riguardo a Deven: è un totale inetto, non riesce mai ad imporsi. E' succube di tutti: di Nur, del suo amico Murad e persino della moglie (non riesce a ribellarsi ad un matrimonio senza amore voluto dalla sua famiglia). Io ho interpretato così il titolo, "In custody", cioè letteralmente tenuto in custodia, imprigionato. Deven non ha nessuna via di scampo (o non la vuole trovare perché è terribilmente passivo). L'idea che la poesia debba essere "custodita", poi, è bellissima.

    Un'altra cosa su cui mi piacerebbe sentire il vostro parere è l'idea che Deven e Nur rappresentino uno la religione induista (contemplativa e per alcuni versi incline alla sottomissione) e l'altro quella islamica (Nur è spesso egoista e sfruttatore). L'ho letto in un saggio e mi ha colpito, perché pensandoci un po' ha fondamento. Naturalmente sono esagerazioni, nonché critiche profonde (forse anche sarcastiche) delle due religioni principali del paese. D'altronde Anita Desai ha un occhipo un po' più oggettivo degli altri essendo lei per metà europea (la madre era tedesca).

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  9. Che bello, hai incontrato Anita Desai! Che cosa ha detto?

    Penso che il confine invalicabile che dici, fra India e Pakistan, per la Desai (e non solo) sia anche in India, un confine fra induisti che parlano hindi e musulmani che parlano urdu: anche la lingua ha assunto connotati comunalisti, oltre a quelli già evidentemente politici o nazionalisti.

    Se proprio non sai che fare, ti può forse interessare questo, che parla proprio della questione linguistica in "In custodia".
    Lì viene riportata una intervista in cui la Desai dice proprio che l'urdu in India morirà perché, dopo la partizione, si stanno estinguendo le scuole dove viene insegnato l'urdu. Non so come sia ad oggi la situazione...

    E' interessante quello che dici sugli atteggiamenti dei due protagonisti dovuti alle loro religioni di appartenenza: che saggio è?
    Quando l'ho letto, io non ho minimamente pensato a un induismo remissivo e un islam aggressivo nei due personaggi, o per lo meno non solo, perché se consideriamo tutti gli altri personaggi dei due mondi contrapposti non è così, ma è chiaro che i due rappresentano due mondi diventati reciprocamente ostili.
    lI tentativo di Deven (che prevedeva una collaborazione fra i due mondi) infatti fallisce miseramente, non solo grazie ai caratteri non proprio adatti alla cooperazione dei due personaggi, ma anche grazie a un'ostilità dei due ambienti da cui vengono: per gli amici di Nur, Deven è un superstizioso adoratore di vacche che nulla può capire di poesia urdu, per il direttore del college Deven è un traditore che invece di dedicarsi all'hindi perde tempo con quella roba per musulmani che è l'urdu.
    Già all'inizio del libro, quando descrive la città di Deven, parla della linea immaginaria che divide le due comunità.

    Ah, io non l'ho ancora visto, ma di questo romanzo è stato fatto un film (sempre "In custody"): voi l'avete visto?

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  10. Il film realizzato da Merchant, con la sceneggiatura della stessa Desai è molto bello. Cambiano parecchie cose nell'ambientazione (invece di Delhi abbiamo Bhopal), ma i personaggi sono decisamente convincenti e l'interpretazione di custodia cambia rispetto al libro: nel film Nur chiede a Deven di custodire i suoi versi. Tra l'altro il film (prodotto dalla BBC) è in Hindi/Urdu e non in inglese. Chi conosce la lingua mi ha detto che è una scelta azzeccatissima, perché si vede proprio conme la differenza nel parlato tra le due lingue sia trascurabile. Chi sa l'hindi capisce l'urdu e viceversa. La grossa differenza tra le due lingue è nell'alfabeto, che a suo tempo è stato imposto all'hindi proprio per questioni nazionalistiche. C'è stato addirittura un momento in cui gli insegnanti a scuola erano obbligati a correggere gli "errori" degli studenti che avrebbero usato espressioni urdu (le più comuni) nella lingua parlata. Insomma la differenza è stata costruita a tavolino. Deven ha ragione a rimpiangere l'urdu come lingua poetica perché come tale ha una tradizione che l'hindi non ha.

    L'idea di un Deven esponente dell'induismo opposto all'aggressività musulmana in effetti non mi convince molto, la religione non mi pare un fondamento dell'identità in questo caso.

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  11. Grazie Alessandro, è da un po' che mi interessa vederlo (cioè da quando ho letto il libro), ora vedo di fare lo sforzo di trovare due ore tutte di fila per guardarlo... il fatto che sia in urdu/hindi poi mi sembra di fondamentale importanza!

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  12. Anita Desai era in conversazione con la figlia Kiran, che all'epoca non aveva ancora vinto il Booker Prize e che quindi pochi in sala conoscevano. Oltre a presentare il libro della Kiran, hanno parlato del loro rapporto con la scrittura, in particolare mi ricordo che hanno riso del fatto che alle volte scrivevano entrambe nella stessa casa, ma in due stanze diverse, una di fronte alla finestra per avere più ispirazione (Kiran) e l'altra di fronte alla parete bianca per non avere distrazioni (Anita).
    In un'altro incontro sempre a Venezia invece ha parlato delle migrazioni citando più volte il protagonista di "Baumgartner's Bombay" e dello scrivere in una lingua che non è quella materna. Ha citato una frase molto bella di Nabokov: "I think like a genius, I write like a distinguished author and I speak like I child" e poi ha detto c'è un certo disagio in India nello scegliere l'inglese quando si scrive, ma che lei ha deciso di "let languages flow, pass through me". E' un'immagine molto bella, questo lasciare che le lingue (l'inglese, l'hindi, il bengali del padre e il tedesco della madre, forse anche l'urdu) le passino attraverso e la influenzino.

    Ora non mi ricordo qual'era il saggio che parlava dell'opposizione induismo-Islam nel romanzo, però ho trovato questo commento al libro scritto da un professore universitario francese, tale Jacques Coulardeau che ne parla: "The book makes us feel the opposition between these two worlds, cultures, visions of life from beginning to end. The Urdu poet often expresses the Islamic vision of life, a place where you must suffer to atone for your sins. The Hindi philosophy is also expressed with a strong stress on the good things you must do in your life for your merit to be as high as possible when death and rebirth come by. This leads to two attitudes towards the world and other people. On one side a dominant and exploitative attitude. On the other side a contemplative and submissive attitude. The two are perfectly represented in Murad, the editor, and Nur, the poet, both Moslem on one side, and Deven on the other side." Per leggere tutto il commento ecco il link
    http://www.amazon.co.uk/product-reviews/0099428490/ref=cm_cr_dp_all_summary?ie=UTF8&showViewpoints=1&sortBy=bySubmissionDateDescending

    Ora non mi resta che guardare il film (se lo trovo). Beati quelli che capiscono l'hindi e l'urdu, arriveranno a delle sfumature che noi leggendo i sottotitoli non capiremo mai.

    PS: Silvia, hai una memoria molto migliore della mia. Ti ricordi sfumature e dettagli che io ho completamente dimenticato. Sono proprio pessima a ricordarmi i libri che ho letto.

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  13. Ebbene, complimenti al Coulardeau: era dai tempi del Raj che non si leggevano teorie così grottesche, semplificative e anche razzistoidi sulle due religioni in questione. Ci sarebbe materia per un Edward Said... Santa pazienza!

    Vorrei rassicurare gli astanti sulle condizioni della urdu in India, che è ancora viva e vegeta nonostante le purghe statali e le gufate della Desai, e grazie a Dio non vive solo nei film di bollywood ma anche in mushaira privati e soprattutto pubblici (in teatri gremitissimi: ci fossero presenze così alle nostre letture di poesia!) e in una ricca (come sempre in India) produzione editoriale. Ottimi dipartimenti di urdu non mancano nelle università indiane, specie nelle "culle storiche" della lingua, e sono sempre più frequentati, non solo da musulmani (che, fra l'altro, in Pakistan parlano in stragrande maggioranza panjabi, mentre in India sono largamente sparsi fra tutte le lingue regionali, hindi compresa). Di fatto questa discriminazione communalistico/linguistica oggidì non è particolarmente sentita, e per un motivo o per l'altro l'urdu letteraria esercita ancora una notevole malìa, se non altro per il formidabile repertorio di distici romantici o sapienziali da sfoderare nelle occasioni opportune... e poi c'è tutto l'immaginario sognante di riunioni poetiche, sublimi etere ammaliatrici e ricchi e prodighi nababbi che non lascia indifferente neanche l'hindu più sottomesso e contemplativo dipinto dall'apodittico transalpino.
    Insomma, ancora oggi non è raro che un taxista di Lakhnau -- hindu o musalman -- citi con orgoglio versi sparsi di qualche maestro del passato (a me i tassinari romani non hanno mai citato manco Trilussa, per dire..), ed è difficile trovare un hindofono (a parte la feccia fascistoide tipo shivsena) che non riconosca con sguardo languido la dolcezza lirica della urdu, uscendosene con qualche esempio appropriato.

    Devo dire che la comprensibilità reciproca è molto relativa, e valida a un livello abbastanza semplice - colloquiale e/o cinematografico (insomma, nell'ambito della lingua più o meno franca che un tempo si chiamava hindustani), mentre sul piano letterario (o anche di una conferenza, per esempio) le cose si fanno più complesse, tanto che un bestseller come Fiume di fuoco (bestseller in India e non in Pakistan, a proposito), scritto in urdu, ha avuto la sua brava traduzione in hindi, che resta assolutamente indispensabile a un hindofono. Nella poesia le cose si complicano ulteriormente, perché Ghalib o gli altri grandi poeti urdu risultano di difficile decriptazione (data la ricchezza del lessico che pesca a piene mani da persiano, turco, arabo e lingue indiane) anche agli urdofoni. Tanto per fare un esempio banale: una urdu "pura", anche a livello colloquiale, è comprensibile a un madrelingua hindi non tanto più dello spagnolo per un italiano che ne sia totalmente digiuno.

    Eh… devo dire, Alessandro, che anche nelle nostre università italiane, dove la hindi che s'insegna è quella ufficiale/statale massimamente e artificiosamente sanscritizzata, può capitare che ti guardino storto se ti scappa qualche parolina urdu di uso comune...

    In Custody: a parte la sagacia di ambientare il film a Bhopal -- che non a caso era una sede di raffinata produzione poetica, e nelle zone filmate è di sicuro più fotogenica della Delhi vecchia -- va sotolineata la zampata geniale dell'acutissimo Merchant, che ha usato per tutte le parti poetiche del film i versi del sommo Ahmed Faiz, uno dei più grandi poeti urdu del Novecento (marxista, e per questo finito in galera in Pakistan).

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  14. Stefania, deve essere stato interessante sentire le Desai!
    (comunque secondo me non c'è paragone fra madre e figlia - mille volte meglio la madre, per il momento, almeno!)

    E' in effetti abbastanza inquietante il commento del tipo francese, è chiara una contrapposizione fra due mondi diversi nel romanzo, ma che pure i caratteri dei personaggi sia definiti dalla religione (proprio quando sono così sottilmente e minuziosamente descritti) mi sembra eccessivo.


    Giri,
    mi chiedevo com'è che non fossi ancora intevenuto, ho pure temuto che fossi gravemente ammalato... :)

    Siamo ben contenti che la poesia urdu sia viva in India!
    Pensi che ci sia stata una situazione di "crisi" dell'urdu negli anni '80 in cui è stato scritto il romanzo (o nei decenni precedenti) e che dopo la situazione sia migliorata?

    Fra gli amici indiani (tutti hindu, e in genere votanti per il Congresso, età suo 35-40 anni), io ho sempre notato un certo comunalismo linguistico, non certo violento o razzista (e non solo linguistico: precisano sempre se una cosa è musulmana o induista, come se ciò definisse la sua identità - ecco com'è che escono certe interpretazioni...), e vedono la poesia urdu come una cosa affascinante, ma o musulmana o pakistana (appunto mi citano il nome di Faiz - precisando che non è indiano - oppure l'ultima canzone bollywoodiana che sanno a memoria, più dei versi di Ghalib!), al di fuori della loro "cultura", del loro mondo.

    Ci diresti mica di qualche poeta urdu indiano contemporaneo?

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  15. Non gravemente malato, ma immerso nell'isocianato di metile dei preparativi per ricordare il venticinquesimo anniversario della tragedia di Bhopal.
    Spot pubblicitario: due dicembre a Parma, auditorium del Conservatorio dalle 18 in avanti, musica, pakora e samosa a sbafo -- fine spot pubblicitario.
    Sì, ho l'impressione che rispetto agli anni '80 la situazione della urdu in India sia migliorata, anche se i problemi rimangono (specie nella didattica di base, non-universitaria), e ognuno ovviamente la vede a suo modo (e, diciamolo, rimpianto e struggimento sono temi portanti della poesia urdu, e c'è una vaga tendenza alla lamentazione se non al piagnisteo..). Comunque resta il fatto che è una lingua vivissima in India e non solo in Pakistan, e in effetti ho trascorso serate incantevoli sentendo snocciolare per ore, da gente comune, versi di poeti assortiti a memoria, il che mi pare un buon indice di salute linguistica.
    Per quanto riguarda i poeti urdu indiani contemporanei la lista sarebbe lunga, ovviamente non sono tradotti, ma qualcuno si può ascoltare o vedere sul web, anche senza capire, per esempio Manzar Bhopali, che ha anche voce melodiosissima; Bashir Badr, pure di Bhopal, Nida Fazli, e tutta una serie di "non-muslim": Krishan Bihari, Gopi Chand Narang, Anand Narain ecc. (o sikh come Mahinder Singh Bedi) E poi i poeti a pienissimo titolo ma conosciuti sopratutto per il cinema come Sahir Ludhianvi o Kaifi Azmi (di quest'ultimo forse si trova anche qualche traduzione), e il loro "erede" Javid Akhtar (la Oxford pubblica traduzioni delle sue bellissime ghazal filmi), o ancora colossi scomparsi da pochi anni come Ali Sardar Jafri...

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  16. Ah, meno male, gravemente impegnato in giuste cause!
    Purtroppo per quel giorno io sarò senza macchina e non so come fare a tornare a casa.

    Grazie mille per tutti questi nomi, che ora mi metto a cercare, peccato che le traduzioni scarseggino, ma comunque meglio sentire la musicalità di queste poesie via web che niente...
    (a proposito di traduzioni dall'urdu, sono ancora lì che aspetto la traduzione in italiano di Ghalib, che doveva uscire circa un anno fa... paziento)

    Ho pensato (ma è un'ipotesi azzardata) che i miei conoscenti non molto propensi all'urdu sono andati a scuola proprio negli anni '80 e forse gli è stata passata proprio questa idea della decadenza linguistica che emerge dal romanzo della Desai.

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  17. Decadenza linguistica, culturale, politica, religiosa, ecc sono stereotipi venefici e contagiosi che risalgono alla (a suo modo geniale, come può essere a suo mdo geniale un berlusconi) opera di condizionamento degli inglesi ai tempi del loro dominio. Le definizioni del Coulardeau di cui sopra, per esempio, sono l'esatto calco degli stereotipi coloniali in materia (hindu succubi e contemplativi, buoni -- con opporutne strigliate britanniche -- da usare come babu nell'amministrazione; musulmani aggressivi e dominatori, e quindi nemico pubblico numero uno da demolire storicamente e culturalmente se non fisicamente). Purtroppo oltre che venefici e contagiosi gli stereotipi sono anche appiccicosi, si tramandano e spesso continuano a sguazzare felici come anolini pronti a essere sorbiti nel brodo contemporaneo (anche se ovviamente e grazie al cielo la storiografia indiana contemporanea ha fatto e sta facendo un'opera fondamentale di revisione profonda del periodo coloniale e dei suoi giochi di prestigio nella descrizione del passato e del presente indiano). Poi se vogliamo ogni lingua e in decadenza, e di sicuro l'italiano di un Leopardi o di un Pascoli era più ricco e sfaccettato di quello contemporaneo, il che non significa che Montale o Pasolini o Sanguineti siano frutto di decadenza linguistica.
    Va detto che le più grandi sperimentazioni e innovazioni linguistiche in campo poetico sono più della hindi che della urdu, forse proprio perché la hindi è meno gravata da un retaggio "ingombrante" come quello dei grandi poeti urdu. In questo senso la urdu è vista (e anche questo è un piccolo ma insidioso stereotipo) come lingua del passato (se vuoi anche luminoso e illustre, ma pur sempre passato), e quindi alla generazione dei tuoi amici che mi dici trenta/quarantenni (e che per questo immagino proiettati verso una certa "modernità indiana") la urdu può suonare come una cultura "antica", espressione di un mondo specificamente musulmano, se non addirittura "straniero" (il Pakistan, dove notoriamente si parla in stragrande maggioranza panjabi). Di certo la propaganda governativa contro l'Arcinemico della porta accanto non aiuta, e dovresti leggere i libri di testo per i bambini delle elementari e delle medie... spaventosi, ai nostri occhi lontani dalla guerra guerreggiata (se non a distanza e per procura): tutto un "Patria per te verso tutto il mio sangue" "la vittoria arrida con il sacrificio dei valorosi martiri alla gloriosa nazione indiana" e compagnia bella, il che certo non crea un clima molto disteso verso la lingua dell'Arcinemico trinariciuto e mestatore.

    Bene, bando alle tristezze: per l'ipnosi audio, anche senza capire il testo non tradotto, ma lasciandosi cullare dalla voce degli autori recitanti, è fondamentale:
    The South Asia Literary Recording Project
    http://www.loc.gov/acq/ovop/delhi/salrp/salrp-home.html

    Sì, c'è anche la malayalam, accidenti! Ma da non perdere -- come minimo -- la Hyder che legge un intero racconto con il suo crepitio suadente (sezione urdu), e la Krishna Sobti che legge ampi estratti delle sue (magnifiche) opere con voce ammaliante, e il suddetto Kaifi Azmi poco prima di morire, che delizia i presenti alla recitazione che secondo tradizione non mancano di esternare sonore approvazioni. Ma sono tutti-tutti bravissimi lettori!

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  18. E' interessante, perché i miei amici sono in realtà molto più interessati al Pakistan (nazione nemica, ma da conoscere ed esplorare) e alla letteratura pakistana (quella contemporanea, nel senso proprio di autori usciti al massimo 2 anni fa, in particolare scrittici femministe pakistane), piuttosto che all'urdu indiano.
    Comunque direi che fra loro c'è proprio questa sensazione o percezione di vecchio e ottocentesco: una lingua da ammirare ma legata a un retaggio che non sa rinnovarsi.

    Grazie per il link, fantastico!
    Ora mi faccio una dose di ascolto di urdu, malayalam e pure tamil.
    Nel caso mi rincoglionisca un po' troppo, c'è sempre anche l'inglese, che è l'unico in cui mi possa cimentare a capir qualcosa.

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