The storyteller's tale

di Omair Ahmad

Siamo a Delhi nel diciottesimo secolo, quando la città viene invasa e devastata dagli eserciti afghani di Ahmad Shah Abdali.

Ma mentre la guerra imperversa con distruzione e morte, c'è un duello più sottile, una battaglia più raffinata che viene condotta con armi più affilate.

È la battaglia del raccontare storie.
In questa piacevole novella di Omair Ahmad, infatti, saper raccontare una storia significa avere un'occasione di riscatto. 

La cornice narrativa è quella di un Narratore, di un Cantastorie (lo Storyteller del titolo), che non ha altro nome se non quello dato dal suo particolare mestiere: il cantastorie, appunto. 

Un mestiere che gli permette di sbarcare il lunario a Delhi, di certo senza arricchirsi: tutto quello che possiede sono "le sue storie, la sua libertà e, di fronte, una strada da percorrere".
E anche una piccola casa, che però viene distrutta dalla furia del saccheggio degli invasori, così che non gli rimane altra scelta se non quella di scappare, di fretta, su un cavallo rubato.

Sarà accolto da una Begum, una signora in una haveli fuori città, una donna intelligente, pensierosa, gentile, e profondamente inquieta. 

È nel suo palazzo, ovvero a casa del nemico, in quanto il marito della Begum fa parte di chi sta devastando la sua città, che il Cantastorie sarà invitato a raccontare una storia per intrattenere la Begum.

La prima storia del nostro Cantastorie è un racconto molto amaro e cupo, che parla di una madre, di un figlio e un lupo, in cui si intrecciano tradimento, amore fraterno e aspettative tradite. 
A questo racconto la Begum risponde con una storia più complessa, di due fratelli, figli di un re di una terra lontana con destini molto diversi e sempre intrecciati fra loro.

È così che inizia il vero e proprio duello: nelle storie successive, il Narratore e la Begum riprenderanno la storia precedente, la rovesceranno andando a espandere una piega della storia, una zona d'ombra  o la prospettiva di un personaggio minore, inventando un sottointeso o un segreto che ribalta le motivazioni interiori dei personaggi. 

Il nostro Narratore deve essere molto prudente e trovare un equilibrio: vorrebbe dire, con le sue storie, quanto è crudele l'invasore della sua città, ma non può tradire l'ospitalità della Begum.
La Begum a sua volta vorrebbe parlare della sua inquietudine e del suo bisogno d'amore.

Così le varie storie parlano di violenza, angoscia, fedeltà, amicizia, tradimento e perdita.
Riflettono lo stato d'animo di chi le racconta, i suoi pensieri, sempre sapendo leggere fra le righe: alla fine siamo noi lettori che dobbiamo trovarci un filo, un senso.

Omair Ahmad, conosciuto soprattutto per il suo romanzo Jimmy the Terrorist, è uno scrittore indiano che purtroppo non è stato ancora tradotto in italiano. 

Anche questo Storyteller's tale non è mai stato pubblicato in italiano, ma, grazie a una prosa leggera e piacevole, si legge velocemente nelle sue 120 pagine in un paio d'ore (e io consiglierei un'unica sessione di lettura, per non perdersi i riferimenti fra le varie storie). 

In questa novella Omair Ahmad ci parla soprattutto del potere delle storie e dell'immaginazione, soprattutto in un periodo buio e in un'epoca di terrore.
È una riflessione sul raccontare storie: sul loro potere, sul loro rapporto con la realtà e con il nostro modo di interpretarla, ma soprattutto con la libertà.

Siamo liberi fino a che possiamo immaginare e raccontare le nostre storie, la nostra storia.
Come il nostro Cantastorie che "non possedeva nulla, o meglio, aveva solo la sua libertà".


Omair Ahmad, The Storyteller's Tale, Penguin India, 2009
120 pagg.

Commenti

  1. Non ci credo. L'ho preso a dicembre, al festival di Goa, e lo leggerò presto. Sto facendo una pausa dagli indiani & co. dopo aver letto il bellissimo "In the light of what we know". Bello ma dolorosamente intenso, denso. Te lo porterò, spero.
    Sì, libri che andrebbero tradotti. Io sto provando a proporne qualcuno, chissà.
    Comunque per staccare sto leggendo Arto Paasilinna, spassoso, grandioso.
    Un saluto dalla rovente-roventissima B'bay

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    Risposte
    1. Credici, credici... io e te siamo legate da un filo sottile che passa attraverso le parole indiane di cantastorie del diciottesimo secolo, che passa per Bombay, per Goa e per l'Emilia Romagna.

      Interessante "In the light of what we know", leggerò sicuramente!
      Spero che le tue proposte di traduzione vadano a buon fine, speriamo davvero!

      Anche io sto facendo una piccola pausa dagli indiani: mi sto mettendo a pari qui sul blog con le letture dell'ultimo mese, ma ora sono un attimo tornata nelle storie partigiane di Calvino e Fenoglio.

      A presto e un abbraccio!

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