La pattuglia dei bambini

di Deepa Anappara

Potremmo dire che La pattuglia dei bambini segue la scia dei romanzi degli ultimi 15 anni ambientati nelle baraccopoli delle metropoli indiane e pakistane. Tipo Le dodici domande (da cui ricorderete è stato tratto il film The Millionaire), Giochi sacri, Shantaram, Belle per sempre, La bambina che non poteva sognare e chi più ne ha più ne metta. 

Di queste tematiche ricorrenti ne avevamo parlato già 10 anni fa (aiuto!), e nel frattempo si sono aggiunti altri titoli, anche se forse a livello internazionale c'è stato un calo di interesse (anche perché nella versione ufficiale delle magnifiche sorti e progressive dell'India oggi non ci crede più nessuno e quindi - forse - non c'è neanche più un mito da sfatare da parte degli scrittori).

Detto ciò, La pattuglia dei bambini come ambientazione ricorda molto il Millionaire: giovanissimi protagonisti che vivono in un basti (in una baraccopoli) e che sono segnati da ogni tipo tragedia, eppure reagiscono con grinta e allegria. 

Ho iniziato la lettura quindi con un minimo di perplessità, unita al fatto che le narrazioni che riguardano bambini a volte mi sembrano eccessivamente costruite. 

Ma mi sono subito ricreduta: nella voce del protagonista di nove anni ho ritrovato subito la stessa vivacità dei bambini, così svegli, spavaldi e genuini, che ho incontrato negli anni in cui ho fatto volontariato negli slum di Bombay. 

In una generica città indiana, in mezzo a uno smog che nasconde le stelle in cielo e a volte anche le persone a pochi metri di distanza nelle tentacolari stradine del basti, si susseguono le avventure di Jai, un bambino di nove anni che ci racconta in prima persona le sue avventure da improvvisato detective per cercare le tracce di un compagno di scuola scomparso. 

Le sparizioni nel basti proseguono e sono i bambini a riparare alle mancanze degli adulti con soluzioni ingenue e ispirate ai programmi tv su crimini e polizia. Ma alla fine le loro idee non sono peggiori di quelle degli adulti.

D'altra parte non c'è nessun'altra soluzione credibile da parte degli adulti, della polizia, della politica, della religione e della società. Tutti inconcludenti. 

Nel seguire Jai che, insieme a due amici, fa le sue ricerche investigative fra le linee della metropolitana, il bazar, il bordello, la discarica e le baracche degli scomparsi, incontriamo anche molti problemi sociali che sembrano emergere spontaneamente dalla storia: alcolismo, abbandono scolastico, lavoro minorile, bambini schiavizzati o drogati di colla. 

E a cui si aggiunge la questione delle minoranze musulmane che vivono nel basti, accusate di ogni possibile nefandezza e capro espiatorio di ogni problema.

La storia procede con un tono allegro e un ritmo avvincente, in una narrazione vivida, smagliante e ironica con un'atmosfera che è molto più simile a quella della copertina originale che non a quella italiana. 


A farci calare nella quotidianità del basti, poi, non sono lunghe descrizioni, ma piccoli dettagli che puntellano la narrazione e che con una sola immagine fanno capire un intero mondo: una capra che si aggira per il basti e mangia la carta di un pacchetto di patatine, le madri che cucinano piatti tradizionali alternati con i noodle Maggi oppure frasi come questa (che è l'incipit del libro):

"Guardo la nostra casa a testa in giù e conto cinque fori sul soffitto di lamiera. Potrebbero essere di più, ma non riesco a vederli perché fuori il nero dello smog ha cancellato le stelle in cielo."

Nella vicenda di Jai, troviamo anche una componente magica che accompagna la storia, a margine, senza interferire, e che racconta dei djin e dei fantasmi che si aggirano per le vie della città, che aprono altri drammatici squarci sulla vita del basti. 

Fino ad arrivare alla conclusione, che ci riporta alla tragica realtà, dura e dolorosa, quella che parla dei 180 bambini al giorno che in India scompaiono senza lasciare traccia.

Nell'evolversi della vicenda, cresciamo anche noi insieme ai protagonisti, che si ritrovano presto catapultati verso l'età adulta senza quasi accorgersene, mentre noi veniamo inondati dalla commozione di fronte a una situazione dolorosa e incomprensibile. 

Prima di esordire con questo romanzoDeepa Anappara ha lavorato come giornalista a Mumbai e Delhi. I suoi reportage sulla povertà e sulle vite dei bambini nelle baraccopoli hanno ispirato la scrittura della Pattuglia dei bambini.

Possiamo dire che, in effetti, su questo mondo c'è ancora molto da dire. 


Deepa Anappara,  La pattuglia dei bambini, Einaudi 2020
Traduzione di Monica Pareschi
392 pagg.,  19 

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