Le dodici domande

di Vikas Swarup

Ultimamente tutti vengono da me entusiasti a dirmi che hanno visto The millionaire, il film di Danny Boyle ambientato in India. Se ne parla molto e sta indubbiamente avendo un notevole successo. Non posso quindi sottrarmi, anche se, per la verità, ho altre cose (indiane) per la testa.

Quando l’ho visto, qualche settimana fa, The millionaire mi ha preso molto, con le sue riprese incalzanti, con le scene girate sempre di corsa, con la coinvolgente colonna sonora di Rahman. Ma poi nei giorni successivi, ripensandoci, non mi ha lasciato poi così tanto.
Se lo confronto con i film visti al River to River, ho preferito quei film sconosciuti, le cui immagini ancora mi accompagnano.

E sicuramente ho preferito il libro da cui è stato tratto, Le dodici domande, romanzo d’esordio di Vikas Swarup. Un romanzo che sa essere originale e accattivante, che si fa leggere tutto d'un fiato, che sa essere ironico e amaro nelle giuste dosi.

L’idea del libro è proprio quella: un ragazzo viene arrestato dalla polizia per aver riposto correttamente a tutte le domande del quiz televisivo Chi vuol essere milionario: come è possibile che un orfano che non è mai andato a scuola abbia risposto a tutte le domande?

Nel raccontare come invece, per caso e per fortuna, sapeva proprio le risposte a quelle domande, il protagonista svela la sua storia: ogni risposta coincide con un particolare momento della sua vita incerta e avventurosa.

Rispetto al film, le “dodici domande” del film sono diverse, così come è diversa la vita di Jamal (nel libro Ram Mohammad Thomas, un nome per ogni religione), nonostante qualche spunto simile, come lo sfruttamento dei bambini mandati a chiedere l’elemosina o la guida turistica al Taj Mahal.

Il libro si può leggere quindi tranquillamente anche dopo aver guardato il film, senza rovinarsi niente. Rispetto agli spunti cinematografici e all'insistenza sul quiz televisivo, nelle sue pagine vincono invece le storie raccontate, narrate (be’, ovvio, è un libro…): Ram sa le risposte giuste non solo perché le ha vissute, ma anche perché le ha sentite raccontare. Sa della guerra con il Pakistan, dei killer di Mumbai, dei riti vudù di Haiti, perché ha incontrato persone che gli hanno raccontato le loro storie. E sa molte altre cose perché è stato cameriere a casa di un diplomatico australiano e di una stella del cinema, oppure perché ha vissuto nello slum a fianco di un astronomo finito in disgrazia.

Il Ram del libro non è sempre puro e incorruttibile, in mezzo a i tragici eventi che lo circondano: è lui, nel libro, a tenere in mano il revolver, l’amore della sua vita lo conosce in un bordello, sa mentire e rubare quando serve.

Ram però così è molto più umano ed è piacevole averlo come voce narrante di questi dodici pezzi di vita, che portano, in ordine rigorosamente non cronologico, in giro per il subcontinente, che uniscono, con colpi di scena a sorpresa e con ironia, i vari mondi che come un mosaico compongono l’India.

Commenti

  1. Ma come è doppiato il film? Nutro un sacro terrore per il modo in cui rendono in italiano i dialoghi degli indiani. Non ricordo in quale film (uh, la memoria!forse Gandhi?) a un certo punto due alti ranghi dell'esercito pakistano parlano in uno strepitoso inglese oxfordiano, il che nel contesto ha molto senso; ebbene, in italiano è diventata una specie di cantilena impacciata da apprendista kebabi (con tutto il rispetto e l'affetto per la categoria). Per limitare le emissioni di bile aspetto di vedere su dvd i pochissimi film indiani o para-indiani che escono nei circuiti consueti.
    A proposito di film e di passioni urdu, Silvia, credo che ti piacerebbe, se non l'hai già visto, In Custody di Ismail Merchant (l'altra metà di J. Ivory), dal romanzo della Desai. Il colpo di genio cinematografico è che il film è girato a Bhopal (città bellissima e culla di cultura raffinata, a rendere ancora più atroce la tragedia della maledettissima Union Carbide), e le poesie che recitano nel film sono di Faiz Ahmed Faiz, forse il massimo poeta urdu del Novecento (accusato di simpatie marxiste, ha passato quattro anni nelle galere pakistane dopo la Partition... India filorussa e Pakistan filoamericano, così era). E siccome abbiamo già parlato di letteratura e Partizione, ecco una poesia di Faiz scritta all'epoca, nello sconforto dei massacri e delle speranze d'Indipendenza tradite... ma come tutta la grande poesia mi sembra che possiamo farla nostra in ogni momento. Barbarie della traduzione: trascrivo incipit per dare un'idea della musicalità sopraffina dei versi.

    "Yeh daag daag ujala, yeh shah-gazida sahr…"

    "Quest’alba piagata, quest’aurora ferita. Non è il mattino che attendevamo. Avanzammo nel deserto del cielo, sperando di raggiungere le stelle, nostra meta. Sperammo di giungere alla riva di là dall’immobile fiume della notte, sperammo che il vascello del dolore avrebbe ultimato il suo tragitto. Da dove venne la brezza del primo mattino, e dove andò? Lo ignorano le luci ai bordi della strada. Il fardello della notte non s’è alleviato, giunta non è ancora l’ora del sollievo per occhi e cuore. Avanti! Che ancora la meta non è in vista".

    RispondiElimina
  2. In questo caso non si parla neanche di doppiaggio poco efficace, ma proprio di doppiaggio sbagliato (errori di traduzione)!
    Dopo averlo visto, ho passato un'intera serata a discutere fino a tarda notte con due amici se in una scena fossero gli indù a massacrare i musulmani o viceversa. Siccome i nomi dei bambini protagonisti (e vittime) erano musulmani, i "cattivi" dovevano essere indù (e questa era la mia tesi). Ma hanno tradotto male un pezzo, in cui invece di "ammazziamoli, sono musulmani" dicono "aiuto, arrivano i musulmani" (o qualcosa del genere), quindi si capiva che i "cattivi" fossero musulmani, ribaltando i ruoli...

    Concordo i doppiaggi che distruggono l'originale, io sono per sottotitolare tutto, anche film non indiani, anche quelli doppiati bene: voglio sentire il suono dell'inglese, del francese, del cinese, del nordcoreano (sì, sto seguendo una rassegna di film nordcoreani... per fortuna sottotitolati).
    In Gandhi poi mi era sembrata atroce la stessa voce di Gandhi, il povero Kingsley si era studiato i discorsi di Gandhi per cercare di avere la stessa voce e in italiano sembra la voce dell'annunciatore automatico dei treni della stazione di Modena (che è lo stesso di quella di Parma).

    Non ho visto ancora In custody (la situazione dvd è simile a quella degli mp3: un accumulo insostenibile) e a questo punto mi toccherà vederlo!

    Bellissima e commuovente la poesia di Faiz. In effetti, al di là della Partizione, l'ho già fatta mia: mette in parole questa attesa straziante di qualcosa che non arriva, nonostante gli sforzi e la fatica...

    RispondiElimina
  3. Evviva i sottotitoli!

    Beh, sai, come dimostra la cronaca quotidiana i musulmani di tutto il mondo da 0 a 99 anni di età devono per forza essere terroristi, crudeli, violenti, assetati di sangue, incolti, misogini, antidemocratici, teocratici, settari, tetri e ottusi... per cui un piccolo, insignificante refuso di traduzione è più che comprensibile. Anzi, più che un refuso lo considererei un editing, un'ottimizzazione: "ammazziamoli, sono musulmani" non fila, è incomprensibile (quando mai vengono ammazzati? sono loro che trucidano gli altri, o al massimo se la cercano eleggendo governi terroristici non compatibili con gli standard occidentali); "ammazziamoli, sono musulmani" spezza il flusso narrativo causando la comprensibile perplessità dello spettatore, mentre: "aiuto, arrivano i musulmani!" (io avrei reso più agilmente con "Mamma li turchi!" urlato con accento salentino) è più facilmente comprensibile, plausibile, fluido e stimolante.

    Sì! Gandhi doppiato è insopportabile, mentre Kingsley è splendido! Comunque a me il film, per quanto agiografico, piace... come quasi tutti i filmoni! E a proposito, merita moltissimo la sua controparte: Jinnah di Jamil Dehlavi, con Christopher Lee che abbandonati i mantelli vamipreschi è praticamente identico al leader pakistano (interpreterebbe anche un ottimo Ataturk, che in effetti in molte foto sembra uscito dalla cripta di un castello transilvano). Lee la considera la sua migliore interpretazione in assoluto, difficle dargli torto.

    Sì, Faiz è straordinario, anche perché riesce a echeggiare/evocare atmosfere classiche della poesia e dell'arte indiana anche se con un linguaggio e contenuti estremamente moderni, affrontando temi di stringente attualità (per l'epoca) e universalità. Infatti le sue composizioni suonano perfettamente plausibili anche sulla bocca del protagonista di In Custody, in un contesto di mushaira abbastanza tradizionale.
    Per esempio, una delle sottigliezze della poesia sulla Partition è che in qualche modo evoca un'atmosfera e certi canoni che ricordano raga Bhairavi, un raga dell'alba pieno di pathos che tradizionalmente è associato alla separazione dall'amato/a. Questo aggiunge una risonanza in più alla composizione, e in modo puramente allusivo, silenzioso.

    Patatràc! Un altro post tragicamente prolisso... chiedo scusa!

    RispondiElimina
  4. E già... sarebbe stato incomprensibile vedere vittime musulmane (e "mamma li turchi" sarebbe suonato benissimo)! Fra l'altro, alla fine del film uno dei due, che nel frattempo è entrato nella grande famiglia di un potente mafioso, prega rivolto verso la Mecca, quindi stando a questa interpretazione, vuol dire che si sarebbe convertito all'islam (siccome era diventato un criminale...)

    E poi se mai gli indù, se devono ammazzare qualcuno, ammazzano i cristiani (che saranno sì cristiani indiani ma in quanto cristiani sono "roba nostra")... allora sì che ci si preoccupa degli scontri religiosi!

    Il film di Gandhi lo so praticamente a memoria, frase per frase, e con lui ho un rapporto tutto particolare (lo guardo quando sono depressa per tirarmi su), di cui ho pure scritto qui da qualche parte.
    Jinnah vampiresco invece non sono mai riuscita a vederlo per varie vicende.

    Ho letto le altre 3 poesie di Faiz sul libro che tu sai: sono bellissime, dolci e dolorose, come la notte che le pervade.

    RispondiElimina
  5. cara silvia, sono completamente d'accordo con te. qualcosa non mi ha convinto del film (a parte l'errore del doppiaggio, ma sarà un erore?!). mi è sembrato molto ben confezionato e questo mi insospettisce sempre. sarà che leggo molti romanzi ma è difficile che un film mi emozioni davvero, soprattutto un film inglese o americano. (rara eccezione, vero regalo di natale: l'ospite inatteso). e così non vedo l'ora di leggermi Le dodici domande di Vikas Swarup. Grazie del consiglio, cris

    RispondiElimina
  6. cara Cris, anche a me in generale i libri emozionano di piu', riesco a costruirmi le mie storie parallele, i miei ritmi, le mie elucubrazioni molto piu' che nei film. Non sempre, ci sono dei film che ho adorato, ma il linguaggio scritto e' piu' vicino al mio modo di essere.
    (non ho ancora visto l'ospite inatteso...)
    Le dodici domande non e' un libro eccezionale, non e' un capolavoro, ma e' molto piacevole, e' di quelli che "prendono" (se vogliamo, anche lui "ben confezionato"), ma sicuramente un buon libro, piu' autentico del film. Buona lettura!

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Il miracolo della letteratura indiana contemporanea

Una certa ambiguità

Shantaram