Crepuscolo a Delhi
di Ahmed Ali
La vecchia Delhi d'altri tempi
Scritto negli anni Trenta da Ahmed Ali, madrelingua urdu, in inglese perché potesse essere letto al di fuori dell’India, Crepuscolo a Delhi ha un certo contenuto politico, come racconta lo stesso autore nell’introduzione descrivendo le traversie che ha avuto la pubblicazione del libro. Di questo vorrei parlare, ma ora, che ho appena chiuso il libro, di questo non posso parlare. Posso solo parlare di Delhi.
Perché la Delhi di questo romanzo non è solo fatta di strade, vicoli, moschee, muri, case. E’ fatta soprattutto di notti stellate, dove le stelle sembrano danzare sulla volta celeste, di aquiloni e piccioni ammaestrati, che di giorno danzano e combattono nello stesso cielo. E’ fatta di canali di scolo, di fetori umidi, di rifiuti ammonticchiati per le strade.
E’ fatta di donne che ricamano abiti nuziali, ben nascoste dalla vista degli uomini, di matrimoni celebrati secondo le tradizioni e di spose con le lacrime agli occhi nascoste dietro a un velo.
E’ fatta di gatti che miagolano per le strade, di sabbiose folate di vento, di caldo torrido e opprimente. Di credenze popolari, di metodi miracolosi, erbe e intrugli per far guarire i malati, di jinn, gli spiriti invisibili che ogni tanto fanno capolino nella vita degli uomini.
E’ fatta di musica, quella degli azaan, i richiami alla preghiera dai minareti delle moschee, quella delle litanie cantate dai mendicanti per le strade, quella delle poesie che accompagnano la vita quotidiana. Di discussioni sugli esperimenti di alchimia e di diatribe su chi sia il migliore poeta urdu.
E’ la vecchia Delhi del 1911, che sta stancamente vivendo il suo crepuscolo, per giungere in fine alla notte di questo mondo arretrato e poetico, a una notte “che ricopre gli imperi del mondo con il suo manto di tenebra e desolazione”.
E’ una Delhi totalmente diversa da quella che ho visto io, fra il traffico delle strade e i cartelloni pubblicitari, con un accompagnatore indù e uno sikh che non si facevano mancare ogni possibile occasione per parlarmi male dei musulmani. E’ stato dolce e doloroso abitare per qualche giorno in quest’altra Delhi a me sconosciuta e persa nel tempo, una Delhi musulmana, memore ancora della grandezza moghul, ma vittima dello scorrere della storia, con il dominio inglese e l’arrivo di una nuova “modernità”. E’ stato dolce e doloroso assaporarne la decadenza.
Eppure quello scorrere della storia rimane sullo sfondo, si insinua in modo sottile e impalpabile nella famiglia di Mir Nihal, che abbandona i suoi piccioni ammaestrati, che acconsente che il sangue della sua famiglia venga contaminato dal matrimonio del figlio, che assiste alla sfilata per l’incoronazione del viceré straniero senza più ribellione e dignità, che pian piano declina anche fisicamente, come tutto il suo mondo, vittima del Tempo e del Fato.
Perché la Delhi di questo romanzo non è solo fatta di strade, vicoli, moschee, muri, case. E’ fatta soprattutto di notti stellate, dove le stelle sembrano danzare sulla volta celeste, di aquiloni e piccioni ammaestrati, che di giorno danzano e combattono nello stesso cielo. E’ fatta di canali di scolo, di fetori umidi, di rifiuti ammonticchiati per le strade.
E’ fatta di donne che ricamano abiti nuziali, ben nascoste dalla vista degli uomini, di matrimoni celebrati secondo le tradizioni e di spose con le lacrime agli occhi nascoste dietro a un velo.
E’ fatta di gatti che miagolano per le strade, di sabbiose folate di vento, di caldo torrido e opprimente. Di credenze popolari, di metodi miracolosi, erbe e intrugli per far guarire i malati, di jinn, gli spiriti invisibili che ogni tanto fanno capolino nella vita degli uomini.
E’ fatta di musica, quella degli azaan, i richiami alla preghiera dai minareti delle moschee, quella delle litanie cantate dai mendicanti per le strade, quella delle poesie che accompagnano la vita quotidiana. Di discussioni sugli esperimenti di alchimia e di diatribe su chi sia il migliore poeta urdu.
E’ la vecchia Delhi del 1911, che sta stancamente vivendo il suo crepuscolo, per giungere in fine alla notte di questo mondo arretrato e poetico, a una notte “che ricopre gli imperi del mondo con il suo manto di tenebra e desolazione”.
E’ una Delhi totalmente diversa da quella che ho visto io, fra il traffico delle strade e i cartelloni pubblicitari, con un accompagnatore indù e uno sikh che non si facevano mancare ogni possibile occasione per parlarmi male dei musulmani. E’ stato dolce e doloroso abitare per qualche giorno in quest’altra Delhi a me sconosciuta e persa nel tempo, una Delhi musulmana, memore ancora della grandezza moghul, ma vittima dello scorrere della storia, con il dominio inglese e l’arrivo di una nuova “modernità”. E’ stato dolce e doloroso assaporarne la decadenza.
Eppure quello scorrere della storia rimane sullo sfondo, si insinua in modo sottile e impalpabile nella famiglia di Mir Nihal, che abbandona i suoi piccioni ammaestrati, che acconsente che il sangue della sua famiglia venga contaminato dal matrimonio del figlio, che assiste alla sfilata per l’incoronazione del viceré straniero senza più ribellione e dignità, che pian piano declina anche fisicamente, come tutto il suo mondo, vittima del Tempo e del Fato.
Beh, con gli accompagnatori giusti -- o se non altro meno prevenuti -- è ancora possibile assaporare quel gusto... vagare beati per Ballimaran, visitare la casa di Ghalib, arrivare alla Fatehpuri Masjid in fondo a Chandni Chowk, mangiare i dolcetti più buoni (o comunque ai primi posti in classifica) di Delhi nella pasticceria di fianco all'ingresso della moschea secentesca, proseguire per Lal Kuan, e imboccare addirittura il Pandit Kucha, che ti porta al limite estremo della vecchia cinta muraria (distrutta dagli inglesi). Volendo al ritorno, verso il crepuscolo, ci si può intrufolare in qualche cantuccio appartato, e ammirare le gare fra gli stormi di piccioni guidati a suon di urla fra una terrazza e l'altra, o accontentarsi di guardare gli aquiloni nel cielo malva-turchese-indaco.
RispondiEliminaGrazie della recensione!
Delhi l'ho visitata con un accompagnatore di eccezione: il libro di Khushwant Singh dedicato alla citta, che ama talmente tanto da farmene innamorare al primo sguardo. Inseguendo gli episodi del libro, mi sono persa fra i vicoletti musulmani intorno alla Jama Masjid, entrando nelle madrasse e in ogni piccola stradina. Ho riposato a lungo intorno alla tomba del santo Sufi Nizamuddin e l'ho trovato un luogo magico. Insomma, mi avevano detto che Delhi era orribile, invece è stato amore a prima vista. Comunque la lista dei libri che vorrei poter leggere, si allunga sempre più. Finirà che dovrò smettere di venirti a trovare. :D
RispondiEliminaIn effetti ho fatto qualche giro di quelli che voi riportate, ma certo l'accompagnatore (un soldato che da lì a poco sarebbe partito per il Kashmir...) non era tanto favorevole all'atmosfera musulmana. Non riporto che cosa mi ha detto di fronte alla Jama Masjid...
RispondiEliminaBeh, tanto prima o poi ci devo tornare.
In compenso la visita ai templi me la sono goduta!
Anche a me è piaciuto molto Delhi, ma l'ho letto in ritardo, solo dopo la mia visita a Delhi.
Anche la mia lista dei libri è infinita... ma è sempre bene tenerle belle lunghe, queste liste!
Ho visitato delhi qualche volte e non me è piacuto tanto quello che visto, contaminazione, traffico. Ma mi piace delhi più per la storia. E anche perchè è la città dove abitava Ghalib.
RispondiEliminaEcco, ci vorrebbe anche una bella recensione di Delhi di K. Singh, che favolosa traduzione... hihihi...
RispondiEliminaNon mancherà (prima o poi) la recensione di Delhi con relative lodi alla traduzione magistrale, che rende perfettamente tutte le sfumature di una lingua e di una città, un po' come la lodevole traduzione di Crepuscolo a Delhi, peraltro...
RispondiEliminaMa suvvia... avvampo! Comunque mi sembra un'ottima idea visitare Delhi seguendo il K.Singh... E' possibile anche seguire le rotte di Ahmed Ali, ma più impegnativo. Un buon campo base vicino alla città vecchia -- a portata di risciò a pedali -- è Darya Ganj anziché la solita Pahar Ganj, il trappolone per turisti. Quartiere librario per eccellenza, piccole/medie case editrici, bookshop... e grande mercatino dei libri usati la domenica. Parchi a due passi, città vecchia a due passi, pochi alberghetti scalcagnati... e prima di raggiungere Turkman Gate, leggendario portale di accesso ai vicoletti angusti impiccionati e aquilonati, il mitico Delhite, uno dei cinema storici della capitale. Cosa si vuole di più?
RispondiEliminaLa prossima volta proverò a seguire le rotte di Ali (tanto ho la cartina!), cosa potrei mai volere di più?
RispondiEliminaIn questo gioni sono finita invece in una Delhi totalmente diversa, quella della Tigre bianca. A metà fra chi dorme per strada e sputacchia paan e i luccicanti shopping mall di Gurgaon da raggiungere in macchina con l'aria condizionata!
Brava Silvia, mi hai ricordato questo libro che mi era tanto piaciuto. Avevo pensato tempo fa di parlarne nel mio blog proprio per questo contrasto tra la vecchia Delhi musulmana e la modernità occidentale che preme. Ma poi mi è passato di mente. Grazie e baci, cris
RispondiEliminaCara Cristina, mi fa molto piacere che lo abbia letto anche tu.
RispondiEliminaSo che ti interessano questi temi (il contrasto fra mondo tradizionale e modernità), infatti pensavo proprio che a te sarebbe particolarmente piaciuto.
Ho trovato un altro post sul Delhi, un po diverso, immagino.
RispondiEliminahttp://jaiarjun.blogspot.com/2009/01/thoughts-on-oye-lucky-lucky-oye.html
Grazie per il link.
RispondiEliminaE' anche un bel blog e mi è venuta voglia di vedere il film!
Straordinario questo ritratto di una società al tramonto. Old Delhi è li, quasi tridimensionale davanti a te, il vocio, il fruscio, il silenzio, il volo dei piccioni ... riesci a sentirne anche gli odori. Sono stato a Delhi diversi anni fà, e Old Delhi è stato il primo contatto in assoluto con l' India, ancora ricordo (eravamo atterrati da qualche ora) il percorso dal "red fort" alla "jama masjid" ... certo dopo aver letto questo romanzo credo sia ora di ritornarci ed assaporarla meglio ... vedremo fra qualche anno ho in programma il Punjab..
RispondiEliminaIl capitolo sull' incoronazione del re britannico con le riflessioni di Mir Nihal sulla presenza degli inglesi in India è veramente emozionante.
Graziano, è vero, qui la vecchia Delhi è tridimensionale e forse anche di più, sono presenti anche tutte quelle dimensioni più sottili, come gli odori, la musica, la temperatura e la dimensione degli stati d'animo di chi aggira per le sue vie.
RispondiEliminaAnche per me Delhi è stata la prima città indiana in cui ho messo piede!