L'ufficio postale (Dak Ghar)
di Rabindranath Tagore
"O della morte": scrive il lettore misterioso che mi ha preceduto nella lettura di questo dramma teatrale, scritto da Tagore in bengali nel 1912.
Ho trovato i suoi appunti, lievi e scritti a matita in una elegante grafia, su un libercolo usato del 1992 che avevo comprato per mille lire da una bancarella genovese prima ancora che sapessi che cosa fosse l'India (questo in effetti ancora lo ignoro).
Il lettore in realtà ha scritto un nome e un cognome sulla prima pagina: Carlo Dapelo - googlando escono fuori un magistrato e un agente immobiliare, chissà - e ha segnato refusi, sottolineato parole e frasi, commentato ("molto bello!", "metempsicosi?", "la morte!"), annotato con citazioni di altri mondi ("la scienza del mondo è stoltezza, San Paolo").
Ho ripreso in mano questo libretto ispirata dalle notizie che mi arrivano da Calcutta sui 150 anni dalla nascita di Tagore, che gli amici bengalesi si accingono a festeggiare con molti eventi, soprattutto teatrali.
L'ufficio postale (Dak Ghar in bengali) è forse una delle opere teatrali di Tagore più famose al di fuori dell'India.
E' la storia in due atti di Amal, un bambino malato costretto a stare chiuso in casa, ma attratto verso quel mondo meraviglioso che sta al di fuori della sua finestra, assetato di quella conoscenza che non si apprende sui libri ma direttamente dal libro del mondo.
E' la storia in due atti di Amal, un bambino malato costretto a stare chiuso in casa, ma attratto verso quel mondo meraviglioso che sta al di fuori della sua finestra, assetato di quella conoscenza che non si apprende sui libri ma direttamente dal libro del mondo.
Dak Ghar venne prodotto per la prima volta in inglese da Yeats (la sua introduzione al dramma si può leggere qui, mentre l'intera traduzione in inglese è qui) e si è intrecciato a drammatici eventi della storia europea.
Nel 1940 la traduzione in francese di André Gide venne letta alla radio la notte prima dell'occupazione nazista di Parigi e nel 1942 Janusz Korczak scelse di rappresentarlo nel suo orfanotrofio nel ghetto di Varsavia, poco prima della deportazione di tutti i bambini.
Nel 1940 la traduzione in francese di André Gide venne letta alla radio la notte prima dell'occupazione nazista di Parigi e nel 1942 Janusz Korczak scelse di rappresentarlo nel suo orfanotrofio nel ghetto di Varsavia, poco prima della deportazione di tutti i bambini.
In tutte le interpretazioni che ho letto si discute nei dettagli se Dakghar parli della vita o della morte, e quindi se la morte è giustificata dalla vita oppure viceversa.
Amal, a seconda delle interpretazioni, è simbolo dell'umanità insoddisfatta, dell'India colonizzata, della fusione con la natura, della libertà spirituale, dell'essere umano che trova nella morte l'inizio di una nuova vita oppure lo spegnimento di tutti i sogni.
Amal, a seconda delle interpretazioni, è simbolo dell'umanità insoddisfatta, dell'India colonizzata, della fusione con la natura, della libertà spirituale, dell'essere umano che trova nella morte l'inizio di una nuova vita oppure lo spegnimento di tutti i sogni.
Ecco, io penso che vi si possono trovare simboli a volontà e che quindi sia aperto a ogni possibile interpretazione. Ma per me l'anima del dramma sta nell'amore ingenuo e ottimista che Amal ha verso la vita, senza paura e senza pregiudizi, fertile di immaginazione.
- Anche io girerò in cerca di un lavoro.
- E fa il caso che cerchi e non trovi. Allora...
- Non sarebbe divertente? Andrei ancora più lontano!
Oppure:
- Ricordati che non devi parlare a sconosciuti.
- Ma mi piace tanto parlare con gente che non conosco!
- E se ti porteranno via?
- Sarebbe una fortuna! Però qui nessuno mi porta via.
Non so dire se sia un inno alla vita o un inno alla morte, a tutte e due o al loro stretto legame.
So che la commozione è profonda, intensa. Come scrive il mio commentatore nell'ultima pagina: "molto bello, sublime e profondo nella sua apparente semplicità".
So che la commozione è profonda, intensa. Come scrive il mio commentatore nell'ultima pagina: "molto bello, sublime e profondo nella sua apparente semplicità".
Esattamente ciò che ha scritto a questo proposito anche Anita Desai: "Apparentemente il dramma è semplice come una goccia di rugiada, ma in realtà è profondo come l'oceano."
Ciao cara, non conoscevo quest'opera. grazie.
RispondiEliminaSarebbe bello se questo Carlo Dapelo leggesse il tuo post.
In bocca al lupo.
A presto
Sonia
In effetti il teatro di Tagore purtroppo non è molto famoso in Italia...
RispondiEliminaChissà se il messaggio nella bottiglia raggiungerà la sponda del nostro Carlo!
Però è molto bello che la bottiglia con questo messaggio sia arrivato nelle mie mani....Sono commossa per le parole profonde che hai impresso in questo post, grazie!
RispondiEliminaUn abbraccio, ciao!
Cara Miriam, sono molto contenta che da qualche parte la mia bottiglia sia arrivata, ti ringrazio per averla presa fra le tue mani!
RispondiEliminaho da poco scoperto il tuo blog, e mi sto a poco a poco aggiornando sulla letteratura indiana, incrociata, per caso , nelle mie disordinate letture(e sono stata lieta di notare come hai parlato di libri da me letti, e sono curiosa di sapere cosa penserò di libri che incontrerò grazie a quello che hai scritto tu).
RispondiEliminacercherò anche questo libro, grazie mille per il consiglio.
saluta i tuoi amici in bengala. festeggerò con loro, pur restando qui.
Ciao cc e benvenuta!
RispondiEliminaMi fa piacere che in qualche modo, grazie a qualche libro, ci siamo incrociate!
Che cosa hai letto, che cosa ti è piaciuto?
Anche io festeggio con i miei amici bengalesi, per ora da qui.
A presto!
mi ricordo che il mio professore di storia dell'arte diceva che la semplicità è SEMPRE un punto di arrivo (non di partenza!).
RispondiEliminaSembra molto bello, e affascinante pensare al lettore genovese che legge e annota senza sapere di noi -da questo spazio nella rete- che lo osserviamo a distanza di anni.
D'accordissimo sulla semplicità come punto d'arrivo, che richiede un enorme lavoro per essere raggiunta!
RispondiEliminaL'edizione del libro è del 1992 - sono quasi passati vent'anni! Metafora del fatto che ogni cosa che facciamo, prima o poi, lascia un suo segno?
Che meraviglia: la vita, la morte, la semplicità dell'arte come punto d'arrivo...
RispondiEliminaPurtroppo non ho mai letto niente di Tagore: mi riprometto sempre di farlo!
A me piacciono i libri usati, anche se non ci sono commenti lasciati da utenti precendenti. Mi ricordano che i libri, se potessero anche registrare le emozioni e le sensazioni provate tra le loro pagine ingiallite, sarebbero i ricettacoli di tutte le emozioni umane.
Stefania, per me Tagore è sempre stato, ed è ancora, proprio una meraviglia.
RispondiEliminaA proposito di libri usati come ricettacolo di emozioni, conosci il progetto "Libri in prestito"?
http://librinprestito.splinder.com/
(vedi anche su FB)
Funziona che tu prendi dei libri in prestito (tramite spedizione postale) e ci scrivi sopra un po' quello che vuoi, in modo che chi lo legge dopo ritrova gli scarabocchi, gli appunti, le note e le emozioni dei lettori precedenti.
Non ho mai provato perché gli orari degli uffici postali non corrispondono con i miei, ma l'idea è fantastica!
ciao Silvia, ti ho dato un premio virtuale, se vuoi leggere vai a vedere su Italian Masala, e se ti va puoi continuare la catena...
RispondiEliminabaci :-)
@Silvia: veramente bella come iniziativa. Magari lo provo una volta!
RispondiElimina@Elisa: grazie mille, troppo gentile (e scusa il ritardo). Ora vado a vedere come si gioca!
RispondiElimina@Stefania: se poi provi fammi sapere!