Black ice (Kalo Barof)

di Mahmudul Haque

Parlare della Partizione senza parlarne

Siamo subito trasportati dalle prime pagine, immediate, piacevoli e vivide, nel mondo dell'infanzia del protagonista. Un mondo dove il protagonista si succhia il pollice, si innamora di una ragazza che parla ai pesci e agli uccelli, non vuole andare a scuola, interagisce con i personaggi del vicinato: una vecchia a cui rubare la frutta, la madre credulona, gli amici dei genitori visti con la fantasia di un bambino.

Ma presto capiamo che ora niente è più come prima. 
Capiamo che è il nostro protagonista che sta scrivendo della sua infanzia, sollecitato da un amico, e che a ogni capitolo dedicato all'infanzia ne seguirà uno ambientato nel presente. 

In questo intervallarsi di presente e passato, seguiamo così la storia di Abdul Khaleq, prima un bambino vivace e simpatico in un sobborgo di Calcutta, ora un insegnante in un college decadente in un villaggio di provincia del Bangladesh, un uomo poco espansivo, con una moglie esigente che vede male la sua indole contemplativa di scrittore e un solo amico, un medico, con cui parlare.

Sono due mondi molto diversi dal punto di vista emotivo: complesso e pieno di relazioni quello dell'infanzia, ridotto all'osso quello del presente (gli unici personaggi sono la moglie e il medico), in una atmosfera di alienazione, fatta di scuola, casa, studio dell'amico medico e poco altro.
Allo stesso modo anche lo stile è diverso: pieno di immagini il passato, molto più astratto e con molti dialoghi il presente. 

In mezzo a questi due mondi si insinua una cicatrice invisibile e silenziosa, eppure profonda e dolorosa, una ferita dell'anima che non si può ricucire.
Una ferita che provoca dolore, ma mai rabbia o amarezza. 


 
Si può dire che il tema del romanzo sia la Partizione del 1947, ma è incredibile quanto poco se ne parli rispetto ad altri romanzi che ne descrivono i massacri, o anche solo la paura, le perdite o le tensioni. 

Che cosa è esattamente successo a metter fine all'infanzia felice di Abdul non lo sappiamo fino alla fine, fino a una gita in barca lungo il fiume con la moglie che diventa una rivelazione, forse una possibile salvezza. Ma non un ritorno, ormai impossibile.

Everything becomes a story one day. Louhojong, Louhojong! For the first time in his life, that cry had pierced his ears in the deep of the night. Beside him stood Moni Bhaijaan, in his pocket a ribbon, on the ribbon the fragrance of hair, in the fragrance such sorrow, in the sorrow so much love, in the love so much of their childhood.  

Di Mahmudul Haque (1941-2008) potete leggere qui, nel post sulla letteratura del Bangladesh
Aggiungo che anche lui, come il protagonista del libro, appartiene alla generazione che ha dovuto cambiate identità più volte: nato indiano, è poi dovuto rinascere pakistano (orientale) e poi bangladese. 

Mahmudul Haque ha scritto Kalo Barof in bengalese nel 1977: il romanzo è presto diventato un classico in Bangladesh ed è stato tradotto in inglese solo recentemente, da Mahmud Rahman (purtroppo non esistono traduzioni in italiano!).

A me ha coinvolto e commosso, e come al solito mi ha portato a desiderare di leggere altri bellissimi romanzi come questo, veri e propri tesori provenienti dall'universo delle lingue del subcontinente.  

 
Mahmudul Haque, Black ice, Harper Collins India, 2012
Titolo originale: Kalo Barof
Traduzione in inglese dal bengali di Mahmud Rahman 

Commenti

  1. Che bel post Silvia!
    Mi piacerebbe leggerlo il libro, perché anch'io sento l'esigenza sempre più forte di letteratura autentica, e Black Ice sembra proprio appartenere a questa categoria.

    Grazie, cris

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  2. Direi proprio di sì!
    Se vuoi la prossima volta che ci vediamo (in cui non potrò assolutamente mancare), te lo porto!

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  3. Magari, grazie!
    Certo che è assurdo che non venga tradotto. Con tutte le banalità che girano...

    Ora mi leggo il tuo post sulla letteratura del Bangladesh.
    A presto

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  4. Ha atteso a lungo prima di farsi tradurre in inglese, mi sa che sarà difficile vederlo anche in italiano... Però è davvero molto bello.
    A presto, un abbraccio!

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