L'Isola dei fucili

di Amitav Ghosh

L'ultimo libro di Amitav Ghosh, L'Isola dei fucili, è la continuazione reale e ideale del romanzo Il paese delle maree del 2004.
Reale, in quanto i personaggi sono proprio gli stessi, fotografati anni dopo la vicenda descritta nel Paese delle maree. Ideale perché è la storia parte dai cambiamenti avvenuti nelle Sundarban, l'enorme ecosistema alla foce del Gange che si sviluppa in un labirinto di corsi d'acqua, isole, canali e foreste di mangrovie.
(Non preoccupatevi però: anche se non avete letto il Paese delle maree, potete tranquillamente leggere L'Isola dei fucili senza che vi manchino dei pezzi.)

Ma il nuovo romanzo è soprattutto il seguito ideale della Grande cecità, il saggio del 2016 in cui Ghosh rimprovera alla cultura di non saper parlare dei cambiamenti climatici e di non essere stata capace di costruire un immaginario forte su questo tema (anche se, a distanza di tre anni, l'immaginario è già molto cambiato).

Nell'Isola dei fucili Ghosh raccoglie la sfida da lui stesso lanciata e decide di incentrare tutta la vicenda sulla questione dei cambiamenti climatici.
A mio parere, anche troppo.


La storia è avvincente e avventurosa, e si snoda fra social network e antiche leggende bengalesi per costruire un romanzo picaresco e movimentato.
Seguiamo le avventure del protagonista Deen, un librario antiquario di origini bengalesi che vive a New York e che, durante una visita ai parenti di Calcutta, si trova coinvolto in una storia più grande di lui: sulle orme di un'antica storia del folklore bengalese finirà fra il fango e le mangrovie delle Sundarban in cerca di un tempio misterioso, e lì conoscerà Piya, la protagonista del Paese delle maree, e il giovane Tipu (il figlio di Fokir, sempre per chi ha letto Il Paese delle maree).

Le svolte della trama lo porteranno prima a Los Angeles e poi a Venezia fra gli immigrati bengalesi che sostengono l'economia della Laguna. 

Ma purtroppo la trama è davvero troppo veloce nell'accumulare posti e vicende in funzione del messaggio finale: in 300 pagine si concentrano i disastri ambientali del Bangladesh, gli incendi in California, le alluvioni a Venezia, la condizione dei migranti, Salvini e gli sbarchi dei barconi in Italia, oltre a tifoni e mostri marini.
Insomma, un po' rimpiango le paginate di descrizioni delle battaglie navali e degli oppifici della Trilogia dell'Oppio.

Talvolta i dialoghi sono didascalici e innaturali, con spiegazioni molto funzionali a veicolare il messaggio di Ghosh ma meno a costruire dei personaggi credibili con un proprio spessore. 

La storia è piena zeppa di coincidenze, alcune un po' forzate e implausibili. Se è vero che spesso la vita è meno verosimile della letteratura, qui sembra però che ogni aspetto del romanzo sia costruito in funzione del messaggio che Ghosh vuole dare al mondo, sacrificando personaggi e narrazione.

Finora quello che più ho ammirato dei romanzi di Ghosh (e li ho letti tutti) è il perfetto equilibrio fra invenzione narrativa e ricerca scientifica: Ghosh è uno scrittore ricercatore, che unisce all'empatia per i personaggi una dettagliata analisi storica, antropologica, sociale e linguistica.
E' vero che cambiamenti climatici e flussi migratori sono problemi globali di inderogabile urgenza, ma qui Ghosh sembra aver messo da parte la sua vena poetica e narrativa ed essersi fatto prendere la mano dall'analisi del nuovo mondo contemporaneo di questo nostro Antropocene.

Alla fine L'Isola dei fucili è un libro leggibile, piacevole e anche commovente.
Ma io sinceramente dall'autore delle Linee d'ombra mi aspettavo qualcosa di più.  


Amitav Ghosh, L'Isola dei fuciliNeri Pozza 2019
Traduzione di Anna Nadotti e Norman Gobetti
320 pagg., 18 € 




Commenti

  1. Cara Silvia,
    in effetti so di diversi lettori che sono rimasti perplessi da questo ultimo romanzo. Credo tuttavia che si debba riconoscere che questo è il più sperimentale dei suoi libri (un po' come il Cromosoma Calcutta, che infatti è il suo libro meno amato); rispondendo alla difficoltà di descrivere la contemporaneità con gli strumenti del realismo, Ghosh abbandona il genere che con cui ha avuto più successo per avventurarsi ad esplorare quello che lui chiama uncanny, l'inspiegabile il non razionalizzabile. Il risultato è una storia poco credibile perché non si basa sui meccanismi della verosimiglianza tipici della narrativa realista (giustamente scrivi che è il proseguimento della Grande cecità) ma cerca di rispecchiare lo sbigottimento di fronte a un mondo che sempre di più appare incontrollabile. Credo che questo romanzo vada letto bilanciandosi tra una lettura realista e una metaforica, senza però lasciarsi prendere troppo dall'una o dall'altra. Poi, ovviamente, si può continuare a preferire Il paese delle maree.
    Un caro saluto

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  2. Caro Alessandro,
    devo dire che a me Cromosoma Calcutta è piaciuto molto, anche nel suo lasciarti sbigottito di fronte a una storia che spesso sembra sfuggire alla comprensione del lettore.
    Poi io non sono per il realismo a tutti i costi, anzi, amo molto i libri che introducono elementi magici e inspiegabili. Paradossalmente avrei preferito molti più elementi fantastici: qui a me le coincidenze sono sembrate usate più per far tornare la trama e fare incontrare i personaggi che non per suggerire di trovarsi di fronte a un mondo che non si riesce più a controllare.
    Forse leggendolo non mi sono messa nel punto giusto dell'equilibrio fra il metaforico e il realismo di cui parli.
    Ora, non vorrei essere esagerare, perché alla fine il libro non mi è dispiaciuto del tutto, ma a tratti mi è sembrato di leggere uno di quei romanzi per ragazzi con un fine educativo, in cui si mettono tutte le tematiche possibili per far passare un messaggio.
    Hai scritto qualche articolo sull'Isola dei fucili? Mi piacerebbe molto leggerlo per approfondire!
    Un caro saluto

    RispondiElimina

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