Mare di papaveri

di Amitav Ghosh

Tutti nella stessa barca


1838. La guerra dell'oppio alle porte, il colonialismo inglese in India, il commercio con la Cina, la trasformazione delle campagne indiane in distese di papaveri per la produzione d'oppio. Questa la Storia.

Il figlio di una schiava di colore che viene dagli Stati Uniti. Un carrettiere intoccabile, grosso e buono. Una giovane francese orfana che vive in India. Un raja, ingenuo e delicato, decaduto e incarcerato. Un cinese, criminale e oppiomane. Una donna presto vedova che sfugge al suo destino. Un gruppo di lascari, i marinai di tutte le razze possibili dell'Oceano Indiano, con una lingua tutta loro. Queste le storie.

Sembra all'inizio che tutte queste storie scorrano parallele, senza toccarsi mai, se non all'infinito. E invece si incontrano quando l'infinito si materializza in un unico punto, quando si ritrovano tutti nella stessa barca. In senso figurato, in quanto il destino di ognuno dipende da quello di tutti gli altri. In senso letterale, in quanto quel punto di incontro è un veliero, la Ibis, uno di quelli che si aggirano per i mari a commerciare schiavi e oppio per arricchire l'impero inglese.

E in quel punto d'incontro, man mano che la Ibis si allontana dalla terra ferma, si lasciano indietro anche tutte quelle ferme certezze e regole che valevano nella vita a terra, nella vita precedente. Razze, nazionalità caste, lingue e tradizioni diverse si intersecano e si incontrano.

Nonostante la densità di personaggi, di parole e termini in varie lingue diverse, di storie e di dettagli, il romanzo scorre veloce, fluido, come il Gange fra le sponde di papaveri per raggiungere il "Nero Oceano". Ghosh abbonda di parole, precise, ricercate e puntuali, dai termini marinari agli insulti dei marinai, e il linguaggio riesce a suggestionare, senza mai impennarsi, senza mai voler stupire.

Del suo stile ho ritrovato il suo gusto per le descrizioni (bellissima quella dell'oppificio, girone dantesco pieno di dannati che lavorano l'oppio) e la sua accuratezza nella ricerca storica.

Unico difetto (non da poco): è il primo libro di una trilogia. Lo sapevo prima di iniziarlo e pensavo avesse un finale aperto, ma un finale. Invece finisce proprio sul più bello, lasciandoti lì, in sospeso, o meglio, sospeso. Il problema è che Ghosh non ha ancora finito il secondo libro. Dovrò aspettare, sospesa e impaziente.

Commenti

  1. Io proprio non riesco a starti dietro! ma a quale velocità riesci a leggere un libro? Ok, io di tempo non ne ho molto e Giochi Sacri è bello grosso, ma tu veramente mi stupisci.
    La tigre bianca l'avevo visto in libreria già un pò di tempo fa e mi ripromettevo di prenderlo dopo aver finito Chandra (e neppure sapevo che avesse vinto alcunchè). Questo invece non l'ho proprio visto, ma ricordo ancora bene "Il palazzo degli specchi" e so già che anche "Mare di papaveri" finirà sulla wishlist.

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  2. Ho la fortuna/sfortuna di essere una pendolare e quindi di avere un po' di tempo morto per leggere in treno ogni giorno... questo spiega tutto!
    In effetti Mare di papaveri e' uscito da poco e penso di averlo comprato due giorni dopo che sia uscito...
    Come ti sembra Chandra? ... no anzi dimmelo quando l'hai finito!

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  3. Pure io pendolo e leggo in treno, ma sono cronicamente lenta. Per colmo di fortuna/sfortuna, invece pranzo quasi quotidianamente al cafè della Fnac e passo inevitabilmente davanti agli scaffali della letteratura straniera. Oggi "Mare di Papaveri" era in bella vista.
    Chandra.... :)) l'ho comprato in tempi non sospetti, quando ancora non ti avevo incontrato. Ci sto trovando piccole perle qua e là (bellissimo l'intermezzo della storia della madre di Singh e del suo abbandono del Pakistan, bellissimo il continuare del racconto di Gaitonde con Singh, dopo la sua morte nel bunker, evvia così in molti altri punti) e la storia è tale per cui non la si può interrompere. In certi casi comunque mi stanca l'eccessivo uso di parole in Hindi, che, soprattutto quando non c'è traduzione sul glossario è un pò fastidioso.

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  4. In effetti in molti lamentano l'uso delle parole hindi. Io raramente vado a leggerle nel glossario, anche se non le capisco (anche se, a furia di leggere libri indiani, alcune le ho imparate nelle varie letture). Poi pian piano inizio a capire cosa vogliono dire, semplicemente per averle lette un po' di volte in un contesto.
    Anche in Mare di papaveri c'è un forte uso di parole in hindi, bengali o anche in altre lingue.
    A differenza di Giochi sacri, non c'è neanche il glossario, perché Ghosh è contrario e ha "impedito" agli editori di metterlo: secondo lui non importa che il lettore capisca tutto, ma che ci sia un "rumore di fondo, che serve ad altri scopi". E poi vuole in qualche modo dimostrare che non esiste una "lingua pura".
    Io l'ho apprezzato tantissimo, ma capisco che possa dare fastidio.

    Comunque anche Chandra, quando l'ho visto a Mantova, suggeriva di NON leggere il glossario!

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