Umrao Jan Ada
di Mirza Mohammad Hadi Ruswa
È evidente che non sono una grande esperta di ordini on-line. Solo dopo aver letto la traduzione inglese dall’urdu di David Matthews ordinata su amazon (un libro dall'inconfondibile odore di India), mi sono accorta che avrei, forse, potuto aggiudicarmi quella italiana, cioè questa:
M. M. H. Ruswa, La cortigiana Umrao Jan Ada (romanzo indiano), traduzione dalla lingua urdu e cura di Daniela Bredi, L'Harmattan Italia, 2001
Ma la verità è che non ho saputo resistere al primo titolo apparso e l'ho subito ordinato. È stato principalmente il film di Muzaffar Ali con Rekha, del 1981, a spingermi a leggere questo romanzo, ma anche il fatto che, in quasi ogni dove, Umrao Jan Ada, scritto da Mirza Mohammad Hadi Ruswa (1857-1931) e pubblicato intorno al 1900, viene battezzato come "il primo vero romanzo urdu".
Non potevo certo rischiare di perderlo. Amo i primi romanzi di una lingua, solidissimi e forse un po' ingenui, ai nostri occhi disincantati di oggi, ma del tutto incantevoli.
Ed è stato incantevole seguire le vicende di Umrao, la protagonista del romanzo, ed entrare in un mondo perduto, poetico e crudele. Rapita da bambina e venduta a un raffinato bordello d'alta classe di Lucknow, Umrao entra a far parte del mondo delle cortigiane, non semplici prostitute, ma coltissime poetesse e cantanti che padroneggiano la letteratura persiana, scrivono incantevoli versi e intrattengono i clienti danzando, cantando ghazal e recitando poesie.
Quello che più affascina, è proprio l'atmosfera poetica che pervade il romanzo, il continuo mettere in versi tutti gli aspetti della vita, anche il vizio e la disillusione, la disgrazia e l'insoddisfazione.
Oltre al suono dei distici, sono i vari clienti a segnare il ritmo della vita di Umrao, non presenze passeggere, ma compagni di lunghe relazioni esclusive: sinceramente innamorati, stupidi, giocherelloni, Nawab, banditi e compagni di scuola. E accanto a quello dei clienti scorre un mondo tutto femminile, in cui abitano la protettrice, le mogli dei clienti, le amiche e colleghe cortigiane, le donne rispettabili che sentono la musica delle cortigiane in occasione di feste e ricorrenze di famiglia.
Ed entrando in questo mondo, con la sua metrica e i suoi valori, si prende anche confidenza con i suoi oggetti quotidiani: la scatola di paan e il narghilè sempre a portata di mano, i gioielli da mettere ai polsi, al naso e sulla testa, i fogliettini arrotolati a cui si affidano ghazal e messaggi segreti, le sputacchiere, le lampade, i tappeti, gli specchi, i palanchini.
È il narratore a raccogliere la storia di Umrao, che racconta ignara la sua vita a lui e a un amico, dopo un incontro di poesia.
Più realista, meno romantico e melodrammatico del film, dove l'amore per il Sultan Nawab riempiva gran parte della storia, il romanzo descrive soprattutto come Umrao acquisti la consapevolezza di sé, l'indipendenza economica, la fama poetica, senza innamorarsi o cedere, costretta a vivere fra le pieghe della storia dell’Ottocento indiano e l'ambiguità di una società patriarcale in decadenza che ammirava e disprezzava allo stesso tempo le cortigiane. Perché la vita di Umrao è diametralmente opposta rispetto a quella rispettabile e sicura delle donne sposate che vivevano fra le mura domestiche secondo i dettami del marito, senza accesso all’arte, alla cultura e a una vita sociale.
Ed è così che ci troviamo a seguire la sua storia, dura e difficile ma piena di vita, fino ai suoi ultimi versi:
Il giorno della morte è vicino forse, o vita,
la mia natura si è ben saziata di te.
M. M. H. Ruswa, La cortigiana Umrao Jan Ada (romanzo indiano), traduzione dalla lingua urdu e cura di Daniela Bredi, L'Harmattan Italia, 2001
Ma la verità è che non ho saputo resistere al primo titolo apparso e l'ho subito ordinato. È stato principalmente il film di Muzaffar Ali con Rekha, del 1981, a spingermi a leggere questo romanzo, ma anche il fatto che, in quasi ogni dove, Umrao Jan Ada, scritto da Mirza Mohammad Hadi Ruswa (1857-1931) e pubblicato intorno al 1900, viene battezzato come "il primo vero romanzo urdu".
Non potevo certo rischiare di perderlo. Amo i primi romanzi di una lingua, solidissimi e forse un po' ingenui, ai nostri occhi disincantati di oggi, ma del tutto incantevoli.
Ed è stato incantevole seguire le vicende di Umrao, la protagonista del romanzo, ed entrare in un mondo perduto, poetico e crudele. Rapita da bambina e venduta a un raffinato bordello d'alta classe di Lucknow, Umrao entra a far parte del mondo delle cortigiane, non semplici prostitute, ma coltissime poetesse e cantanti che padroneggiano la letteratura persiana, scrivono incantevoli versi e intrattengono i clienti danzando, cantando ghazal e recitando poesie.
Quello che più affascina, è proprio l'atmosfera poetica che pervade il romanzo, il continuo mettere in versi tutti gli aspetti della vita, anche il vizio e la disillusione, la disgrazia e l'insoddisfazione.
Oltre al suono dei distici, sono i vari clienti a segnare il ritmo della vita di Umrao, non presenze passeggere, ma compagni di lunghe relazioni esclusive: sinceramente innamorati, stupidi, giocherelloni, Nawab, banditi e compagni di scuola. E accanto a quello dei clienti scorre un mondo tutto femminile, in cui abitano la protettrice, le mogli dei clienti, le amiche e colleghe cortigiane, le donne rispettabili che sentono la musica delle cortigiane in occasione di feste e ricorrenze di famiglia.
Ed entrando in questo mondo, con la sua metrica e i suoi valori, si prende anche confidenza con i suoi oggetti quotidiani: la scatola di paan e il narghilè sempre a portata di mano, i gioielli da mettere ai polsi, al naso e sulla testa, i fogliettini arrotolati a cui si affidano ghazal e messaggi segreti, le sputacchiere, le lampade, i tappeti, gli specchi, i palanchini.
È il narratore a raccogliere la storia di Umrao, che racconta ignara la sua vita a lui e a un amico, dopo un incontro di poesia.
Più realista, meno romantico e melodrammatico del film, dove l'amore per il Sultan Nawab riempiva gran parte della storia, il romanzo descrive soprattutto come Umrao acquisti la consapevolezza di sé, l'indipendenza economica, la fama poetica, senza innamorarsi o cedere, costretta a vivere fra le pieghe della storia dell’Ottocento indiano e l'ambiguità di una società patriarcale in decadenza che ammirava e disprezzava allo stesso tempo le cortigiane. Perché la vita di Umrao è diametralmente opposta rispetto a quella rispettabile e sicura delle donne sposate che vivevano fra le mura domestiche secondo i dettami del marito, senza accesso all’arte, alla cultura e a una vita sociale.
Ed è così che ci troviamo a seguire la sua storia, dura e difficile ma piena di vita, fino ai suoi ultimi versi:
Il giorno della morte è vicino forse, o vita,
la mia natura si è ben saziata di te.
Beh, non esageriamo! Dipendeva essenzialmente dalla classe sociale -- insomma, dai soldoni, ma non solo -- più che dal matrimonio in sé: le spose rispettabili e danarose avevano modo di dedicarsi all'arte, alla cultura e anche a una vita sociale (al femminile) fra le mura domestiche (e le mura domestiche, grazie alle infinite reti di parentele, potevano avere un'estensione molto ampia, da una città all'altra), con un'enorme quantità di tempo libero per dedicarsi a letture e studi, e alla pratica delle discipline più svariate, anche con eccellenti maestri. Certo non lo facevano davanti a nababbi ingrifati, e certo le etere godevano di un'autonomia e di un potere inusitato per l'epoca... ma rimanendo nell'ambito culturale delle "rispettabili donne maritate", bisognerebbe tener conto dell'ampia gamma sociale che andava (e va) dalla sposa del villaggio alla raffinata begam che viveva in città come Delhi o Lucknow (o Bhopal, Allahabad, Calcutta ecc)... per non parlare delle nobili di corte... Insomma, forse il topos bella cortigiana colta-autonoma-raffinata versus moglie incolta-segregata-negletta è stato un po' gonfiato proprio in virtù del suo appeal romantico-letterario. Fermo restando che per le vaste masse meno abbienti -- vale a dire la stragrande maggioranza della popolazone -- era assolutamente vero (anche se, diciamolo, in questo caso l'impossibilità di "fruizione culturale" era abbastanza paritaria, visto che i mariti squattrinati di certo non potevano frequentare i sofà delle Umrao Jan).
RispondiEliminaE ci sarebbe anche l'antesignano "The dancing Girl", scritto in persiano a fine Settecento, tradotto in urdu nell'Ottocento, e ritradotto in inglese dalla Hyder nel Novecento!
RispondiEliminaIn realtà si parla unicamente di classi sociali “alte”, che sono le uniche che compaiono nel romanzo: le “altre” donne (quelle maritate e rispettabili) nel romanzo sono quasi unicamente le mogli dei nababbi o le mogli dei vari clienti, mentre le classi sociali più basse non sono neanche prese in considerazione!
RispondiEliminaImmagino che la situazione sia stata ben più sfumata di quella descritta nel romanzo e anche le donne sposate avessero possibilità di scambi sociali e di avere maestri, ma Ruswa dà invece moltissima enfasi al contrasto fra donna maritata/cortigiana, soprattutto a livello culturale, sicuramente amplificato a scopo romantico-letterario e messo in bocca a Umrao, che nel racconto della sua vita sottolinea spesso questa distinzione.
Si torna ripetutamente sul fatto che, nella vita, Umrao avesse solo due possibilità (fra cui non poteva certo scegliere, è stato il destino a scegliere per lei, e il destino è un tema ricorrente in questo romanzo): sposarsi o fare la cortigiana, due stili di vita contrapposti e inconciliabili. Facendo la cortigiana si è aggiudicata cultura, poesia e libertà.
Ruswa addirittura mette la moglie del Sultan (che, per uno scherzo del destino, avrebbe potuto essere al posto di Umrao e viceversa) in una casa bellissima, una reggia, ma isolatissima, da cui lei praticamente non può mai uscire perché in mezzo al nulla, in cui è anche difficile ricevere ospiti. Una prigione dorata (anche il bordello, inizialmente, ma da lì si può uscire, si può scappare, ci si può trasferire in altre città, affittare stanze, servitori e musicisti e vivere come “libera professionista”). E infatti le donne della casa aspettano con grande attesa l'arrivo di Umrao che canti, una delle poche occasioni per loro in cui "succede qualcosa". La moglie del Sultan non vede l’ora di parlare con qualcuno. E’ vero che non sono escluse dall'arte, anzi sono molto felici di ascoltare Umrao, alcune la accompagnano con il sitar mentre lei canta, ma partecipano solo in modo passivo nei loro incontri (esclusivamente femminili) anelati come momento di svago: sono spettatrici, ma non compongono versi, non cantano. Il "vero" mondo poetico, di confronto intellettuale, nel romanzo, è unicamente quello maschile o quello delle cortigiane, non quello delle donne rispettabili, che nel romanzo sono sempre "chiuse in casa", senza praticamente avere mai scambi con nessuno.
Descrive poi le lezioni di letteratura persiana di Umrao e il fatto che, oltre al piacere sessuale, i clienti trovano nelle cortigiane anche stimoli intellettuali e artistici che non trovano nelle loro mogli.
Nel bilancio della sua vita che Umrao fa alla fine nelle ultime pagine, ricorda come lei rispolveri i testi persiani, e legga i giornali “per essere informata su quello che succede nel mondo”, senza essere avvolta e “soffocata” dal velo come le altre donne maritate, a cui comunque prega e augura una felice vita da sposate.
Insomma, non si perde occasione per rimarcare questa distinzione, anche e soprattutto culturale, che immagino sia in gran parte letteraria e non realistica.
Ci dici allora qualcosa sulla ragazza danzante persiana?
Eh, sì, un romanzo è un romanzo, e va anche tenuto conto che erano tempi di riformismo sia hindu che musulmano (sponsorizzato dalle università britanniche, obviously, perché la vera way of life per tutto il mondo è quella occidentale, o quanto meno occidentaleggiante), e va anche notato, volendo essere un poco maliziosi, che i maschi scrittori avevano qualche interesse a dare una patina di nobiltà a un mondo che frequentavano con gusto. Comunque sì, le Jan d'alto bordo erano più simili alle geishe giapponesi che alle colleghe occidentali (tradizione che risale al periodo vedico, del resto), e i bordelli erano anche un laboratorio culturale, magari non proprio della migliore qualità, perché ovviamente si privilegiava un certo tipo di produzione poetica/musicale di facile effetto. In qualche modo funzionavano come luoghi di trasmissione culturale, diffondendo, per così dire, una cultura più "alta" verso strati sociali più bassi che difficilmente ne avrebbero fruito in altro modo (questo almeno per città come Delhi e Lucknow). Che le lavoratrici e le tenutarie fossero così libere è pure abbastanza relativo: potevano cambiare città, salvo ritrovarsi sgozzate, avvelenate o sfigurate dal (o dalla) magnaccia di turno, o anche dai clienti che le assoldavano con sontuosi contratti in esclusiva e magari non gradivano il trasloco. Altri problemucci: assuefazione endemica a oppio, alcol e altre prelibatezze locali. Insomma, tutto il mondo è paese... e diciamocelo, la traviata dal cuore d'oro è un archetipo universale! Per la situazione semi-contemporanea (oggidì le cortigiane più apprezzate vengono dall'ex Urss, e al più strimpellano la balalaika) resta quel bel docufilm di Merchant-Ivory, The Courtesans of Bombay...
RispondiEliminaE' per questo che, pur essendo incantevole, il romanzo mi è parso anche un po' ingenuo. Lei scappa con il cliente di turno, e mi ha sorpreso che poi ritorni senza problemi, con lo sguardo compiacente della proprietaria del bordello.
RispondiEliminaAccenna vagamente ai “problemi” che avevano le altre prostitute, ma quasi a sottolineare che, invece, lei se ne è messa in salvo: non è mai diventata dipendente dall'oppio, ma solo dal tabacco, che non è una bella cosa, ma tutto sommato non è così drammatica. Molte cortigiane più anziane, una volta invecchiate sono diventate povere e mendicanti, lei no, si è messa talmente tanti soldi da parte, che vive agiatamente di rendita.
Mentre nel film Umrao sembra più una vittima, nel libro era invece una donna che se l'è cavata nelle difficoltà, rigirandosele a suo favore.
L'idea di nobilitare il mondo delle cortigiane è abbastanza evidente e di parte, ma sta proprio nella descrizione di questo mondo e nel personaggio di Umrao il tutto fascino del romanzone.
(poi, sempre meglio della balalaika...)
Ciao Silvia!
RispondiEliminaera un pò che non capitavo a trovarti e cosa trovo....il libro che sto cercando da un bel pò tradotto in italiano esiste???
Grazie, prossimamente me lo procurerò!
Solo i miei due cents a proposito di UJ con Rekha: a me dal film è passato il fatto che lei non è una vittima, ma che si batte per avere la possibilità di un futuro diverso con la sua poesia, e che è una donna forte. Se ti capita guarda anche UJ con Aishwarya e A.Bachchan: la differenza è nettissima!
Magari ci facciamo un altro aperitivo?? ;-D
Ciao Serena!
RispondiEliminaVedi che le tue azioni hanno ripercussioni karmiche che neanche ti aspetti: mi dai il film e poi trovi il libro...
Nel film gli aspetti "vittimistici" (se così si può dire) sono molto più accentuati rispetto al libro: il rapimento, il matrimonio del sultan, l'umiliazione da parte delle altre donne, il tristissimo ritorno a casa...
Nel libro lei racconta tutto senza pathos e con più distacco, è tutto molto meno lacrimevole (io qualche lacrimuccia vedendo il film me la sono fatta).
Ma fammi poi sapere le tue impressioni se leggi anche il libro.
Ok, cercherò di vedere anche l'altra UJ. Ho anche visto su youtube dei pezzi della versione pakistana del 1972, come per esempio questo: devo assolutamente vederlo...
Per l'aperitivo, volentierissimo!