I sei sospetti
Tiene incollati alle pagine, con il suo ritmo veloce come quello di una serie tv, con i suoi toni ironici, le sue situazioni esilaranti, i suoi personaggi bizzarri, con tante micro-idee, tutte geniali, disseminate per le pagine.
I sei sospetti, il secondo libro di Vikas Swarup dopo Le dodici domande (da cui è stato tratto il pluripremiato film The Millionaire), parte da un omicidio per attraversare tutta l'India da nord a sud, dalle baraccopoli ai palazzi dei ministeri, dalle case lussuose delle dive di Bollywood agli squallidi quartieri di periferia di Lucknow.
I sei sospetti del titolo sono i sei protagonisti che ci portano a spasso tra diverse classi sociali, situazioni e mentalità, quasi a rappresentare un'India multipla e mai univoca, in cui tutto si intreccia e si amplifica.
I sei sospetti, il secondo libro di Vikas Swarup dopo Le dodici domande (da cui è stato tratto il pluripremiato film The Millionaire), parte da un omicidio per attraversare tutta l'India da nord a sud, dalle baraccopoli ai palazzi dei ministeri, dalle case lussuose delle dive di Bollywood agli squallidi quartieri di periferia di Lucknow.
I sei sospetti del titolo sono i sei protagonisti che ci portano a spasso tra diverse classi sociali, situazioni e mentalità, quasi a rappresentare un'India multipla e mai univoca, in cui tutto si intreccia e si amplifica.
Eccoli:
1. il ministro dell'interno dell'Uttar Pradesh, pronto a sacrificare qualsiasi cosa per la sua carriera politica, dal partito a suo figlio (la dignità non la può sacrificare perché non l'ha mai avuta);
2. un funzionario in pensione, arrogante, vile e donnaiolo, ma posseduto dallo spirito di Gandhi;
3. una star del cinema, continuamente assediata dai fan e ossesionata dalla propria immagine;
4. un ladro di telefonini, figlio di una spazzina del tempio, innamorato di chi non dovrebbe neanche guardare da lontano;
5. un aborigeno delle isole Andamane, basso come un pigmeo e tribale fino all'osso (quello che porta appeso al collo);
6. un texano totalmente idiota sbarcato in India, che sembrerebbe uscito da un film dei fratelli Coen.
Le loro strade sono diverse ma si incontreranno tutte, con una pistola alla mano e un movente nel cuore, in una lussuosa villa di Delhi, alla festa per l'assoluzione dall'accusa di omicidio di Vicky Rai, un personaggio con un passato disseminato di crimini ignobili e di una consueta altrettanto ignobile impunità.
Le loro strade sono diverse ma si incontreranno tutte, con una pistola alla mano e un movente nel cuore, in una lussuosa villa di Delhi, alla festa per l'assoluzione dall'accusa di omicidio di Vicky Rai, un personaggio con un passato disseminato di crimini ignobili e di una consueta altrettanto ignobile impunità.
Le 500 pagine scorrono che è un piacere, eppure, dopo le letture di altri recenti libri indiani, le sensazioni di déjà-vu sono state un po' troppo frequenti: il rapporto padrone-servo mi ricordava La tigre bianca, la vita dell'attrice mi ha ricordato Giochi sacri, le telefonate notturne il call centre di Chetan Bhagat, la comunità hijra un racconto dell'antologia India, la sorella sfigurata dall'incidente di Bhopal la storia di Animal e altre che non sto qui a elencare.
Per forza, poi mi sono detta, dell'India "moderna" (se così si può dire, o forse, meglio, dell'immaginario che dell'India moderna si sta creando) è riuscito a infilarci dentro quasi tutto: Bollywood, gli slum, i politici corrotti e mafiosi, Google, i telefonini, il Kashmir, i maoisti, Bhopal, la questione delle popolazioni tribali, il terrorismo, Al-Quaeda, i call centre, e chi più ne ha più ne metta.
Per la critica, è stato quindi facile accusarlo di aver creato personaggi stereotipati e aver trattato troppo superficialmente (se non addirittura ridicolarizzato, aggiungo io) molte questioni delicate per far emergere un'India corrotta e violenta. Il che è assolutamente vero, ma vorrei ben sperare che chi cerca un'analisi politica del conflitto in Kashmir o l'introspezione psicologica dei personaggi, non la venga a cercare qua.
Io penso che non vada preso troppo seriamente: è un libro che nasce per essere un romanzo di successo (non solo perché è dell'autore del Millionaire), è esilarante, ironico, satirico, cattura l'attenzione e descrive duramente l'India e la sua corruzione, la violenza e la certezza che con il denaro si possa comprare tutto.
Per approfondire molte questioni bisognerà cercare altrove. Ma a lui non chiedete niente di più, neanche un confronto con il primogenito e, a parte un finale forse un po' affrettato, vi donerà situazioni divertenti e tragiche, una trama ben costruita e un godibilissimo (e velocissimo) viaggio a zonzo per l'India.
Infatti, sto imparando che qualche volta non bisogna chiedere troppo a un libro. Non ho letto nessuno dei due libri di Swarup, però ne sono incuriosita. Ho avuto reazioni contrastanti per "Slumdog Millionaire" (il film), per certi versi mi è piaciuto e per altri no e non so dov'è il confine. Forse neanche quello è da prendere sul serio, però è difficile quando vengono rese glamour atrocità come la povertà negli slum (e Bhopal nel caso dei Sei Sospetti!). Come se scrivessero libri sulla mafia stereotipati al massimo (e sono sicuro che lo fanno per il mercato americano, quelli sono affascinati dalla mafia!)... non credo che sarebbero bene accolti dalla critica italiana.
RispondiEliminaPS: Hai letto "Notte al Call Centre" di Chetan Bhagat? Com'è? Ho letto recentemente un articolo sul Guardian (http://www.guardian.co.uk/books/2010/jan/24/chetan-bhagat-robert-mccrum) a riguardo. Non sapevo che fosse un tale fenomeno di vendite in India (anche se sapevo che lo scrittore più venduto non poteva essere Salman Rushdie o Arundhati Roy!) e nemmeno che dal suo ultimo libro avessere tratto un film (con due superdivi che persino io profana di Bollywood riconosco).
Devo dire che nel libro non è precisamente glamour, più che altro le descrizioni delle atrocità hanno un tono molto satirico (che potrebbe anche essere offensivo, ma sicuramente è meglio di certi toni pietistici o paternalistici).
RispondiEliminaSecondo me il libro (il primo, Le dodici domande) in questo è molto meglio del film, nel senso che ha un tono cinico/comico/satirico anche sulle peggiori disgrazie che rende il tutto molto meno buonista (oppure glamour!), per iniziare dallo stesso protagonista, che non è uno stinco di santo. Ovviamente, manco a dirlo, la storia d'amore nel libro è del tutto secondaria e arriva solo alla fine.
Secondo me poi c'è anche il fatto che si vedono questi film o si leggono questi libri come se fossero rappresentativi di un'intera nazione, mentre andrebbero solo presi come uno dei possibili e molteplici punti di vista, senza che uno si debba sentire responsibile dell'immagine che dà, nel bene e nel male.
Sempre a proposito del Guardian (che ogni tanto mi sembra insopportabilmente snob), dei Sei sospetti dice che è inamissibile che non abbia parlato degli scontri in Gujarat e che non parla delle responsabilità del governo per quanto riguarda il Kashmir. Poi però alla fine lo accusa di aver comunque messo carne al fuoco:
http://www.guardian.co.uk/books/2008/oct/18/vikas-swarup
Se proprio vogliamo fargli le pulci, ci sono anche altri mille tematiche importanti di cui non ha parlato e, appunto, non penso che volesse fare un'analisi accurata della situazione politica, ma solo costruire un bel romanzone da papparsi con gusto.
Non mi sembra neanche che giochi troppo sporco, lo Swarup, in questo senso.
Sì, l'ho letto Una notte al call centre, incuriosita proprio dal fatto che quando sono andata in India lo vedevo veramente ovunque! Anzi, ci volevo scrivere un post (magari lo scriverò).
Non è un capolavoro, anzi, di fatto è un romanzetto, ma comunque è riuscito a scrivere un libro carino e divertente, che ben descrive i giovani e mette in mezzo anche qualche tematica importante. Alla fine c'è una scena bollywoodiana al massimo (non te la dico...), in mezzo al traffico di Delhi.
Fra l'altro, lo Swarup deve aver preso spunto in qualche modo, perché c'è una scena in cui l'americano che chiama il call centre scopre che l'operatore è indiano e non americano e allora lo insulta brutalmente, che è esattamente uguale a quella di Bhagat... (oppure è una cosa talmente comune che è finita in due libri diversi!)
Beh, allora non mi resta che leggerli per dare il mio giudizio, positivo o negativo che sia. E se lo farò, cercherò di non aspettarmi un'analisi politico-sociale dell'India. D'altronde si sa che i fenomeni di vendita non possono essere libri troppo politicamente impegnati, altrimenti non sarebbero così accessibili.
RispondiEliminaI giornalisti del Guardian si prendono molto sul serio, è vero. Però preferisco questi pezzi alle recensioni italiane che sembrano delle quarte di copertina solo più articolate, che non riescono mai ad avere delle opinioni che non sembrino gli "endorsments" e che offrono solo degli apprezzamenti sempre uguali a sè stessi.
Per la scena in cui un americano insulta l'impiegato che lavora in un call center perché capisce che è indiano... effettivamente in Inghilterra alla mia landlord capitava spesso che non le funzionava il computer e chiamava il call center, che era molto probabilmente in India perché le rispondevano puntualmente con un fortissimo accento indiano che lei faceva davvero fatica a capire (anche perché non capiva niente di computer ed evidentemente il tipo si spazientiva). Essendo una delle cose per cui l'India si sta facendo conoscere, e forse anche motivo di orgoglio per gli indiani (il loro capire ed arricchirsi con la tecnologia, non tanto la presenza di call centre di per sè), è chiaro che scrittori come Swarup o Bhagat ce lo buttino dentro, visto che da quello che ho capito nei loro libri tentano un approccio "All India Novel"!
Ma questo Bhagat scrive in Hindi o in inglese?
Ah ah, se penso al call center indiano mi sbellico sempre dalle risate. cose del tipo : pipo pipo (per dire people) pèpcènt (per dire %)...insomma..uno spasso...ma li ammiro tanto perchè praticamente la nostra stabilità tecnologica dipende in gran parte da loro. Lo sapevate che l'organizzazione telematica di tutti gli aereoporti internazionali è in India? Solo per dirne una.
RispondiEliminaStefania,
RispondiEliminasì, è vero, sicuramente meglio il Guardian delle recensioni italiane, ma a volte, come dici, si prende molto sul serio (e prende tutto il resto molto sul serio)...
La scena del call centre deriva sicuramente da un argomento di cui si vuole parlare in quanto si ritiene che sia attuale, però quando l'ho letta ho pensato: ma che scopiazzatura indegna! è quasi uguale anche negli insulti rivolti agli indiani!
English, english! Scrive in inglese, ma è tradotto anche in hindi e penso pure in altre lngue indiane.
Ecco, secondo me lui non ha tanto l'intento di scrivere una All India Novel, solo di descrivere le vite dei giovani indiani e di essere letto da loro. Ogni tanto ci butta dentro dei discorsi sull'india dei call centre che vende la sua gioventù agli americani per quattro spiccioli di dollari e roba simile. Fra l'altro è abbastanza giovane, 35 anni, il primo romanzo l'ha scritto che aveva 30 anni o giù di lì.
Per farti capire il tipo di romanzo, nel call centre c'è un capo odioso che si prende tutti i meriti, le ragazze sognano di fare le modelle e si tengono a dieta, ci sono uscite con gli amici da pizza hut, le ragazze che si chiudono in bagno a parlare e i ragazzi origliano e simili cose da gggiovani.
Sonia Nepalese,
immagina se dovessero fare un call centre in Italia che risponda ad americani! Faremmo a gara con gli indiani, secondo me, più che per l'accento forse per le frasi sconclusionate. :)
In effetti nei Sei sospetti l'idiota amaricano finisce ad insegnare accento e dizione ai ragazzi del call centre, ma è incapace di rispondere alle telefonate!
Anche io preferisco il Gaurdian.
RispondiEliminaCredo che da oggi, quando sarò giù, immaginerò gli italiani che lavorano per un call center americano..da sbellicarsi
Beh, tanto per fare l'avvocato del diavolo: sul domenicale del Sole e sull'inserto della Stampa escono anche molte recensioni pregevoli. E per fare lo snob -- come quelli del Guardian --, va anche detto a difesa dei critici nostrani che il 95% dei libri indiani contemporanei (in inglese, beninteso) è costruito su quei quattro temi che vanno per la maggiore a seconda delle stagioni -- attualmente slum, funzionari corrotti e corruttele assortite, malavitosi mumbaiti, crimini oscuri, call center-pizzahut ecc, tutto condito con sapienti dosi di sarcasmo-cinismo-ironia-indignazione-ma-non-troppo perché-così-va-il-mondo-yaar, in una bella salsetta gustosa come maionese bianchiccia con prezzemolino sull'insalatona di un ristorante internazionale di Connaught... si capisce che il critico nostrano, per non inimicarsi troppo l'editore che sforna orgoglioso e speranzoso il prodotto fragrante, si limiti a ripetere quello che c'è scritto sulla bandella senza troppi patemi...
RispondiEliminaCarissimo Giri,
RispondiEliminafantastico! Mentre scrivevi il tuo commento, stavo proprio scrivendo un post su questi temi che ricorrono in continuazione. Devo dire che il libro di Swarup riesce più degli altri a infilare tutto questo in un solo libro!
Secondo me il Guardian è spesso troppo serioso e i critici italiani troppo accondiscendenti (generalizzo, ovviamente).
Secondo me ci sono meriti nei Sei sospetti & Co., e anche difetti. Poi ogni libro in realtà è diverso e, anche se tratta gli stessi argomenti, può essere più o meno riuscito.
Ciao!
@Silvia: proprio in quel senso si tratta di All India Novel secondo, perché vogliono buttarci dentro tutto quello che ora va di moda associato all'India!
RispondiElimina@Giri Mandi: il domenicale del Sole 24 ore non l'ho mai letto, ma è vero che l'inserto tuttolibri de La Stampa è l'unico che si salva. ma anche lì, a mio parere, si soffermano troppo sulle vecchie glorie della letteratura europe, a ed italiana in particolare, come se non le conoscessimo già abbastanza. Facendo questo resta poco spazio per i libri in uscita. E non è che sia tutto da buttare quello che esce adesso!
Eh, il domenicale del Sole -- testata di per sé abbastanza sgradevole -- per quanto decaduto rimane forse quanto di meglio offra il mercato. Poi la critica sui giornali segue di pari passo la tendenza del mercato editoriale, che è senza dubbio verso l'appiattimento e la mercificazione. Spero proprio che non sia tutto da buttare! personalmente mi pare che i libri meglio curati e più interessanti escano per realtà editoriali piccole piccole. Per quanto riguarda l'India, è certo che amiamo alla follia la cultura del Subcontinente nelle sue molteplici manifestazioni, ma questo non dovrebbe impedirci un atteggiamento critico -- se non vigile! -- su tutto ciò che esce. In altre parole non è detto che se un libro parla d'India o è scritto da un indiano valga necessariamente la pena di leggerlo. E di sicuro gli scrittori indiani (si fa per dire, visto che spesso vivono da anni in nazioni più "confortevoli")seguono la tendenza mondiale, che è di produrre roba standardizzata, seguendo quelle correnti (gli "ingredienti") che secondo gli editori (e ancor peggio: secondo gli agenti letterari) favoriscono se non garantiscono una dose accettabile di successo di vendite globale. Se ne avessero voglia, ma per ovvi motivi non è così, molti scrittori italiani di piccolo-medio successo potrebbero raccontare dei contratti capestro e dello strapotere che esercitano gli editor delle case editrici sulle loro opere... e il capestro qui si riferisce non solo alle condizioni economiche (anche) ma al contenuto stesso dei loro scritti. Funziona così in tutto il mondo, oggidì. Ciao!
RispondiEliminaStefania,
RispondiEliminastiamo forse accomunando due libri che in realtà non andrebbero paragonati. Sono entrambi "alla moda" e entrambi sono scritti per vendere svagonate di copie.
Quello di Bhagat le vuole vendere soprattutto in India e quindi mette cose alla moda, che piacciono ai giovani indiani, ma ne ignora molte che invece stuzzicano l'immaginario occidentale.
La storia dei call centre non è necessariamente "indiana" (pure Virzì ci ha fatto un film!), mentre Swarup cerca di presentare l'India in tutte le sue forme che dopo il Millionaire riecheggeno nel nostro immaginario.
Per questo, secondo me, non va preso troppo sul serio come rappresentazione dell'india.
Giri Mandi Stellare, polo della notte,
sono d'accordo che non bisogna prendere tutto per buono solo per il fatto che è indiano e che le leggi del mercato letterario globale corrono unicamente dietro alle vendite. Sicuramente io ho un pregiuzio positivo nei confronti degli indiani!
Secondo me però vale la pena capire come collocare i libri che escono: per esempio, questo libro si può leggere tranquillamente, fatto chiaro che non è un capolavoro letterario ma che è un buon libro di intrattenimento (ogni tanto ci sta anche quello!).
Ammetto che in realtà aspiro a leggere tutto, anche le schifezze, per capire come gira il vento.
Certo che ormai con questo tipo di racconti ho raggiunto il livello della saturazione...
Sai cosa vuol dire questo, però? Che ora riattacco con i libri malayalam, dove le leggi del mercato globale ancora non valgono...
@Slvia: Ok, io intanto mi sono comprata "Le dodici domande" per farmi un'idea come scrive questo Swarup e anche in attesa del Salone internazionale del libro. Forse leggendolo capirò anche se il Millionaire mi è piaciuto o meno.
RispondiEliminaA proposito, chi/che cosa mi consigli degli altri invitati al salone? Anita Nair e Altaf Tyrewala per esempio?
Stefania,
RispondiEliminaAnita Nair a me non piace per niente, ma so che al resto del mondo piace moltissimo. Io trovo i suoi personaggi banali e superficiali.
Niente a che vedere con l'altra Anita.
Di Altaf Tyerewala ho letto Nessun dio in vista e alcuni racconti. Nessun dio si infila anche lui nella corrente di "storie metropolitane mumbaite". A me è piaciuto perché è pieno di un'energia che ricalca quella delle strade di Bombay. Alla fine è anche lui un po' superficiale, ma se non altro è originale e alla fine ne vale la pena, quindi te lo consiglio.
Poi, di Tishani Doshi ho letto un solo racconto (sempre dalla raccolta India), che non mi ha entusiasmato più di tanto.
Di Kiran Nagarkar ho or ora iniziato a leggere Ravan & Eddie, ti dirò presto!
A proposito, ho appena finito Agenzia matrimoniale. Confesso che non è malvagio, ma dopo lui e I sei sospetti mi è venuta una voglia pazzesca di leggermi dei mattoni pesantissimi di filosofia teoretica o di fisica delle particelle per compensare questi libri leggieri leggieri (con la i).
@Silvia: Ahahah, è vero che troppi romanzi leggieri (con la i) fanno venir voglia di leggersi qualcosa di più pesante.
RispondiEliminaQuindi in fin fine al Salone del Libro l'indiano più "letterario" e sicuramente pregievole sarà Anita Desai. Solo lei vale tre o quattro degli altri scrittori presenti.
A proposito, su Chetan Bhagat sulla Stampa se non l'hai già letto:
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=&ID_sezione=201&sezione=Che+libro+fa...
Grazie mille, non l'avevo letto.
RispondiEliminaNon mi è chiaro a cosa "serva" leggersi Una notte al call centre, forse mi è sfuggito qualcosa!
A proposito, l'altro autore presente a Torino (Tarun Tejpal, di cui non ho letto nessun romanzo) è il direttore di Tehelka, la rivista di cui si parla nell'articolo.
Ciao a tutti. L'ho letto. Mi è piaciuto. Concordo su tutto: ci sono molti déjà-vu, è stereotipato, non approfondisce niente, è anche un po' troppo furbetto...
RispondiEliminaPerò è un bel librone di 500 pagine che ti sa appassionare e tenere incollato, ti fa quasi affezionare a certi personaggi e ti accompagna sù e giù per tutta l'India. E scusate se è poco! Un saluto a tutti
Ciao Scoronconcolo!
RispondiEliminaGrazie per il tuo punto di vista (che è simile al mio).
Nel frattempo sono passati circa sei mesi da quando ho finito i Sei sospetti. Ora mi posso chiedere: cosa mi è rimasto?
Niente!
O meglio, delle Cose Che Contano, delle Cose Durature e Importanti (mo' scrivo come nel Dio delle piccole cose, tutto maiuscolo), Niente!
Però ho il ricordo di un libro divertente, abile a intrattenere, sicuramente furbo (non necessariamente furbetto), che consiglierei volentieri a chi magari cerca una lettura estiva sull'India (e non ha ancora letto libri simili), con tanti flash veloci sulle sue mille realtà.