Kanthapura

di Rao Raja

Ovvero il Fontamara indiano
Sono un uomo di silenzio. Le parole emergono da questo silenzio con luce, di luce, e la luce è sacra.

Dopo aver parlato di Anand e di Narayan, mi sento quasi in dovere (chi l'avrebbe mai detto che l'avrei preso come un dovere!) di parlare anche di Rao Raja, il terzo (solo in ordine di apparizione in questo blog) scrittore del trio dei padri fondatori della letteratura indiana moderna in lingua inglese.
Anche lui, anagraficamente (1908-2006), abbraccia quasi tutto il Novecento. Anche lui ha iniziato a scrivere negli anni Trenta, quegli anni fondamentali per l'India, anni degli inglesi, anni di Gandhi, anni del partito del Congresso, anni di lotte e di grandi speranze. Anche lui descrive l'India dei villaggi, delle tradizioni immutabili che si incontrano con le nuove idee. Anche lui, sceglie l'inglese per comunicare.
Le sue storie sono però anche intrise di spiritualità, di religione, di radici profonde che affondano nell'induismo, di quella luce sacra che fa emergere le parole dal silenzio.

Il suo primo libro (e, ahimè, l'unico che ho letto) è Kanthapura, scritto nel 1938 ed ispirato, a detta dell'auore, a Fontamara di Ignazio Silone.
Ambientato a Kanthapura, villaggio immaginario dell'India del sud, è interamente raccontato da una donna, voce narrante e coscienza atavica del villaggio rurale, che conosce tutte le storie, le tradizioni orali basate sui testi sacri, sulle leggende popolari, sui miti religiosi. Voce e anima di un villaggio rigidamente diviso in quartieri corrispondenti alle caste, in cui chi sta con i paria può venir scomunicato perché ha offeso l'ordine divino, in cui l'ordine sociale è garantito dalla perpetrazione del passato.

Villaggio sacro alla dea Kenchamma, dalla cui potenza femminile tutto dipende, potenza ancestrale e conservatrice, ma anche garante dei ritmi naturali del villaggio, delle piogge, dei raccolti, delle cerimonie, dei matrimoni, delle nascite, delle morti. Perché se la natura può sembrare crudele con le sue malattie mortali o con i suoi serpenti assassini, è anche vero che nessun innocente è mai stato toccato da queste disgrazie. E non a caso la moglie del barbiere è morta di colera: "ha partorito un figlio dieci mesi e quattro giorni dopo la morte del marito! Le donne di malaffare muoioni sempre giovani."
Villaggio profondamente religioso nei riti e nelle regole, che non sono solo primitive superstizioni, ma che costituiscono anche la metafisica stessa del villaggio, il senso del tutto.

Se è una donna a narrare, il protagonista del libro è invece Moorthy, un giovanissimo gandhiano di famiglia bramina, che porterà per primo le idee del Mahatma nel villaggio.
Ma forse il vero protogonista è proprio l'intero villaggio, che alla fine sceglie di lottare unito in nome del Mahatama, perché poi anche essere gandhiani rientra in una religione: si va in cerca di conversioni, Gandhi appare in visioni mistiche, ci sono rituali da seguire in grado di accendere il fervore religioso e Gandhi, quale nuova divinità, si mescola alle storie di Rama e Sita e degli dei.

Ma come va letta allora questa storia?
Forse semplicemente come dice Rao Raja nella sua prefazione.
"Può essere raccontata verso il far della sera, quando l'oscurità incomincia ad addensarsi, e nell'acquetarsi improvviso dell'atmosfera e della vita quotidiana le luci si accendono come fiammelle improvvise casa dopo casa, e una nonna, disteso sulla veranda il proprio giaciglio, avrebbe potuto raccontare, a te appena arrivato, la triste storia del suo villaggio."

Commenti

  1. Ho ripreso ora a leggere un po' del tuo blog!
    Non avevo mai, neanche lontanamente sentito parlare di costui (rao raja), eppure vedo che è uno degli scrittori indiani più importanti del Novecento!
    Grazie per avercene parlato!
    Ma troverò mai le sue opere in italiano?

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  2. In effetti è praticamente sconosciuto al pubblico italiano... ma tutti i miei amici indiani, quando hanno saputo che mi interesso di libri indiani, mi hanno chiesto cosa avevo letto di lui!
    In traduzione italiana, esiste appunto Kanthapura, che io ho trovato in biblioteca, e Sulle gradinate del Gange.

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