Gandhi, il film
Ovvero come tirarsi su di morale
Ognuno ha i suoi metodi per sconfiggere la depressione di queste nostre vite insapori che paiono sfuggirci di mano, di questi anni insoddisfatti che viviamo senza motivazione o senza motivo.
Per esempio certe mie amiche vanno a fare shopping. Dicono che sputtanarsi dei soldi in vestiti sia un efficace rimedio contro l'insondabile tristezza cosmica. Io che piuttosto di fare shopping preferirei ricevere delle martellate in testa (e che sono anche un po' tirchia viste le origini genovesi), ho elaborato un altro metodo: guardare Gandhi (il film).
Allora, appena arrivata a casa, ho messo nel lettore dvd il disco dorato e mi sono rivista le mie scene preferite.
"Per questa causa io sono disposto a morire, però... non c'è nessuna causa per la quale io sia disposto a uccidere", dice Ben Kingsley nei panni del giovane Gandhi in Sud Africa.
"Ogni residuo ascendete morale che l'Occidente poteva avere è morto qui oggi: l'India è libera", dice Martin Sheen nei panni del giornalista americano mentre descrive gli indiani che si fanno tranquillamente prendere a bastonate.
Allora uno si riprende: pensa alla grandezza di questo piccolo uomo e gran parte della depressione vola via nel cielo indiano, fra le incitazioni della folla che lo acclama, nei giri della ruota dell'arcolaio con cui si tesseva i vestiti.
Per carità, uno sa che sono cose del passato.
Uno sa che la Bombay dove Gandhi approda in nave non è la Mumbai di oggi.
Uno sa che quella spiaggia dove Gandhi faceva il sale oggi è meta di giovani indiani che vanno lì a gozzovigliare e ubriacarsi. Uno sa che tutta la storia della non-violenza non ha funzionato, prova ne sono i massacri di milioni di persone seguiti all'indipendenza, fino ad arrivare alle nuove violenze di oggi.
Per esempio certe mie amiche vanno a fare shopping. Dicono che sputtanarsi dei soldi in vestiti sia un efficace rimedio contro l'insondabile tristezza cosmica. Io che piuttosto di fare shopping preferirei ricevere delle martellate in testa (e che sono anche un po' tirchia viste le origini genovesi), ho elaborato un altro metodo: guardare Gandhi (il film).
Allora, appena arrivata a casa, ho messo nel lettore dvd il disco dorato e mi sono rivista le mie scene preferite.
"Per questa causa io sono disposto a morire, però... non c'è nessuna causa per la quale io sia disposto a uccidere", dice Ben Kingsley nei panni del giovane Gandhi in Sud Africa.
"Ogni residuo ascendete morale che l'Occidente poteva avere è morto qui oggi: l'India è libera", dice Martin Sheen nei panni del giornalista americano mentre descrive gli indiani che si fanno tranquillamente prendere a bastonate.
Allora uno si riprende: pensa alla grandezza di questo piccolo uomo e gran parte della depressione vola via nel cielo indiano, fra le incitazioni della folla che lo acclama, nei giri della ruota dell'arcolaio con cui si tesseva i vestiti.
Per carità, uno sa che sono cose del passato.
Uno sa che la Bombay dove Gandhi approda in nave non è la Mumbai di oggi.
Uno sa che quella spiaggia dove Gandhi faceva il sale oggi è meta di giovani indiani che vanno lì a gozzovigliare e ubriacarsi. Uno sa che tutta la storia della non-violenza non ha funzionato, prova ne sono i massacri di milioni di persone seguiti all'indipendenza, fino ad arrivare alle nuove violenze di oggi.
Uno sa anche che al giorno d'oggi i gandhiani rimasti, simpatici vecchietti innocui, sono "pezzi d'archeologia", come li ha definiti Prem, il mio amico indiano.
Uno però guardando il film riesce comunque a perdersi in quelle battaglie e in quelle grandi dichiarazioni e gli viene voglia di riprendere in mano l'autobiografia di Gandhi e di rileggerla qua e là, andando avanti e indietro fra le pagine.
Ma nel frattempo, mentre il film diventa libro, anche la sera diventa notte, e quell'uno (chissà chi sarà mai...) si addormenta sognante e felice con quelle pagine fra le mani, quelle pagine che Gandhi aveva chiamato "i miei esperimenti con la Verità".
Ognuno ha i suoi metodi anti-depressivi. Se non altro così si risparmia.
troppe, molte volte questa vita non ci va giu', e te lo dice una che digerisce proprio male di recente
RispondiEliminacrederci e sperare, sempre, questo forse è il segreto che sta alla base di un'azione efficace.
lo proverò anche io il tuo anti depressivo
:)
Fammi sapere se fa effetto anche su di te... e se hai altri metodi alternativi dimmi pure, sono aperta a sperimentazioni e a scambi di ricette!
RispondiEliminaSicuramente il metodo Gandhi dona un po' di forza e speranza a questa vita che spesso non ci va giu'... anche se a volte l'abbiamo costruita noi cosi' (parlo per me!).
di solito è la cioccolata o il gelato che mi tira su :) poco gandhiano come metodo :)
RispondiEliminaIl metodo cioccolata non sarà molto gandhiano... ma in effetti ha i suoi vantaggi immediati!
RispondiEliminaIo invece riguardo le foto. Non sono molto originale :))
RispondiEliminaPerò... la grandezza di quell'insegnamento non può mica essere diminuita dal fatto che oggi gli indiani siano i primi a non osservarla! Non si può, proprio non si può, pensare che sbagliasse, anzi, di fronte alla violenza io sono sempre più convinta delle sue ragioni.
E il pensiero mi corre in un attimo ai monaci birmani e tibetani e al loro sacrificio. Servito a nulla, o a poco nella pratica, ma che da grande, grandissimo esempio.
Quello delle foto è un buon metodo, solo che a volte mi fa scivolare nella nostalgia, quindi nel mio caso va usato con attenzione!
RispondiEliminaE' proprio la grandezza dell'insegnamento e la forza dell'esempio, a confronto con il mondo che va in tutt'altra direzione, che mi consola immensamente!
Trovo bellissimo il metodo antistress, magari fosse una pratica comune!
RispondiEliminaMi piacerebbe che almeno una volta il mondo intero fosse invaso a "reti unificate" a guardare i grandi insegnamenti fondamentali delle grandi menti. Un giorno intero senza telegiornali, quiz, stacchetti, fiction e "grandi" fratelli che riempiono le nostre menti di "vuoto assoluto".
Gandhi per certe menti atrofizzate farà anche un baffo, ma altri potrebbero provare la sensazione del primo respiro di un neonato ... e vivere di dignità.
Ciao Piero,
RispondiEliminabenvenuto da queste parti e grazie per il tuo commento!
Certo che fra i discorsi di Gandhi e ciò che invece le reti unificate di oggi ci propinano, c'è decisamente un abisso.
Io sono un po' scettica sugli effetti concreti che certi insegnamenti possano avere su chi è abituato ad altro (ormai sono disillusa...), ma sarebbe un cambiamento di prospettiva enorme!
Per me riascoltare certi insegnamenti significa ritrovare la speranza nei momenti di buio, in cui tutta la dignità di cui parli sembra non importare a nessuno (e fai conto che già vivo senza tv per evitarmi proprio grandi fratelli e fiction demenziali!)
Ciao Silvia, qualche giorno fà leggevo il blog di Beppe Grillo ed è chiaro che in Italia c'è malcontento. Dopo averne letto diversi, ho lasciato un commento. Visti i tuoi interessi mi piacerebbe avere una tua opinione.
RispondiEliminaQuesto è il link: http://www.facebook.com/home.php?ref=logo#/note.php?note_id=169645689731&ref=mf
cerca il commento di Pietro Bodo.
Caro Pietro (e scusa se prima ti ho chiamato Piero, ma confondo sempre questi due nomi - scusa anche per il ritardo con cui ti rispondo),
RispondiEliminaHo letto i commenti e il tuo commento, penso che il discorso sia lungo e complesso.
Quello che più mi spaventa è che sembra che ci siano due fazioni, due tribù che non comunicano più, e ognuna è diventata autoreferenziale.
Riferendomi al post che citi, da una parte quelli che ce l'hanno con gli immigrati, dall'altra quelli che ce l'hanno con questo governo e si lamentano. E' diventato quasi impossibile comunicare.
(Lo dico mettendomici in mezzo pure io: con la gente che sta "dall'altra parte" non riesco a parlare, eppure penso che bisognerebbe ascoltarne le ragioni invece che chiudersi e lamentarsi)
Sono d'accordo che è difficile informarsi e che l'informazione oggi abbia ormai raggiunto livelli bassissimi...
Per quanto riguarda l'accumulo, io non penso che si possa vietare in assoluto, ma penso che certe situazioni non dovrebbero essere mai raggiunte e che tutti abbiano diritto a un livello minimo sotto il quale non si dovrebbe mai (proprio mai) scendere.
La società dovrebbe spingere nel senso di un miglioramento complessivo e non di un aumento del divario e in questo la cultura (in senso lato) ha un ruolo fondamentale.
Che poi è quello che tu dici: una società basata sui valori e non sul valore.
Ciao