Maximum city - Bombay la città degli eccessi

di Suketu Mehta

Ovvero: tutto su Bombay


Strabiliare con i numeri è facile, quando si parla di India: con un miliardo e trecento milioni di abitanti e con le sue grandi contraddizioni, è facile fare il gioco dei primati mondiali. L'India è sede sia del maggior numero di ingegneri informatici del mondo, sia del maggior numero di persone che vive sotto la soglia di povertà (per esempio, alcuni "numeri che parlano" sono qui, nel blog di Fabio Lucheroni).
Ed è giusto, giustissimo farlo, per dare una proporzione alle cose, per capire l'ordine di grandezza di cui stiamo parlando, e anche per farci capire quanto siano secondari e marginali, a livello mondiale, i nostri piccoli problemi quotidiani, le nostre questioni di vita o di morte.

Questo gioco dei numeri funziona poi ancora meglio con Bombay, una delle città più popolose al mondo, in cui ogni giorno affluiscono migliaia di persone da tutta l'India, in cui, con i suoi quattordici milioni di abitanti (nel 2006, nel frattempo saranno aumentati), presto vivrà più gente che nel continente autraliano. Bombay, Urbs prima in India, come si legge nelle righe iniziali di Maximum city. Bombay, la città degli eccessi, come recita il sottotitolo italiano.

Il pregio di Maximum city, reportage su Bombay e sui suoi abitanti, è saper trasformare questa grossa massa quantitativa di persone, case, soldi, strade, locali, mezzi di trasporto, in storie umane.
Ci sono, tutte queste cifre, qua e là. Per esempio sono impressionanti quelle che riguardano i soldi e il loro valore, diverso a seconda di chi li possiede: impressionante venire a sapere quanto guadagna una ballerina di un locale (tanto) e per quanto (poco) si può ingaggiare un killer per uccidere qualcuno. Quanto al giorno guadagna una mendicante (50 rupie) e quanti multipli di queste 50 rupie si possono spendere in un pomeriggio per una festa di compleanno per i bambini (4000. Multipli, non rupie).

Ma sono le varie storie che ci danno la dimensione umana del tutto, simbolo di una città assurda, ingiusta e profondamente vitale. Prima di tutto la storia dell'autore, che si ritrova a tornare a casa dopo tanti anni vissuti negli Stati Uniti e in Europa. Ci perdiamo così nella sua geografia personale, nelle sue lotte quotidiane per l'affitto e l'idraulico, per la scuola per i figli. Fa parte della sua storia anche andare in giro a intervistare e conoscere i vari personaggi che diventano tanti simboli di un'esistenza multiforme (perché "siamo individualmente multipli"): la sua moneta sono le storie, storie raccontate in cambio di storie rivelate.

Con questa moneta Suketu Mehta, senza mai giudicare nessuno, compra le storie dei membri dello Shiv Sena, il partito nazionalista indù, xenofobo e violento, responsabile dei massacri fra indù e musulmani del 1993, fino ad arrivare all'incontro con il suo leader supremo Bal Thackeray.

Compra storie dalla polizia, le storie dei loro "incontri" (ovvero sparatorie senza superstiti) con le bande criminali, delle loro torture, della loro onestà e della loro corruzione. Storie dalla grande "distilleria di piacere", il mondo di Bollywood che tanto pervade la vita della povera gente. Storie dai locali notturni, dove le ballerine decidono loro, con astuzia e dignità, cosa fare degli uomini che le sognano e le corteggiano. Storie dagli slum, dai marciapiedi dove vivono poeti e immigrati del Bihar giunti in cerca di fortuna. Storie di giainisti che hanno deciso di rinunciare a tutto per seguire un cammino spirituale.

Di tutto questo groviglio di esistenze, di latrine scorche e slum sovraffollati, però l'immagine più bella del libro è forse quella, rassicurante, che io stessa ho sperimentato sui mezzi di Bombay.

"Se siete in ritardo per il lavoro, la mattina a Bombay, e arrivate alla stazione proprio quando il treno sta ripartendo, potete correre a fianco dei vagoni gremiti e vedrete molte mani che si allungano per aiutarvi a salire, protendendosi dal treno come petali. Mentre correte lungo la banchina sarete presi su e sull'orlo della porta aperta verrà fatto un minuscolo spazio per i vostri piedi. Il resto sta a voi. [...] Al momento del contatto, non sanno se la mano che si allunga verso di loro appartiene a un indù, a un musulmano o a un cristiano, a un bramino o a un intoccabile. Sanno solo che state cercando di raggiungere la città dell'oro, e tanto basta. Sali a bordo, dicono. Ci stringiamo."

Commenti

  1. :) che bella questa citazione di chiusura, è proprio l'immagine giusta di come l'India fa sempre posto a tutti!

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  2. Ah l'India, quanto mi piacerebbe visitarla...
    Ho letto qualcosa anch'io e sono rimasto assolutamente rapito.
    Complimenti per il tuo blog..molto bello.

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  3. @Sonia: eh, si'... basta stringersi!

    Caro Franz, grazie della visita e del commento! Non posso che augurarti di visitare l'India, un giorno o l'altro. Anche per me questo interesse e' nato leggendo qualcosa e restandone affascinata per sempre!

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  4. penso proprio che cercherò di procurarmelo velocemente .... hai le tue responsabilità!! :-)

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  5. Bene, mi prendo le mie responsabilità!
    Fammi poi sapere come ti è sembrato...

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  6. ho cimnciato a leggerlo e lo trovo molto ma molto interessante ... inoltre spero proprio dipassare da Mumbai in febbraio.
    Adesso ne approfitto per gli auguri di buon 2009!
    Ciao Marco

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  7. Marco, sono contenta che tu l'abbia iniziato e che lo trovi interessante.
    Anche per me questo libro è stato il preludio alla mia visita a Mumbai.
    Salutami Mumbai quando ci vai... io forse ci tornerò questa estate.
    Buon 2009 anche a te!

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  8. Finalmente ieri l’ho finito e mentre leggevo l’ultimo capitolo ho provato a cambiare prospettiva, a pensare agli abitanti degli slum che preferiscono restare li’, protetti dalla comunita’ piuttosto che vivere in un appartamento, e mi sono vista io, sola nel mio appartamento mai veramente grande abbastanza, con la famiglia in Italia quindi nessun via vai di gente, i vicini che se non fosse per qualche fuggevole incontro per le scale non vedrei mai e ho capito di non essere in grado di comprendere, eppure allo stesso tempo, chissa’ come, mi sembrava di capire. Ma io riuscirei a vivere come loro? No, lo so che non ci riuscirei ma questo aspetto della vita negli slum mi mancava. Avevo sempre pensato alla sporcizia, alla poverta’, alla mancanza di spazio, a mille altri aspetti negativi e non ero mai riuscita a cogliere niente di positivo. Le pagine di questo libro sono pervase di vite al limite, sostenute pero’ da una fitta rete di parentele, amicizie, conoscenze…c’e’ un forte altruismo, che faccio sempre piu’ fatica a trovare nella mia realta’. Pero’, Bombay sembra senza speranza, viziata dalla miseria, dalla criminalita’, dalla corruzione, oddio Silvia, tu ci sei stata e dici che non e’ poi cosi’ male e io provo a crederci! Il film che ho visto su Bombay, in effetti, ne mostrava anche gli aspetti positivi e a vederla cosi’ al cinema dava l’idea di essere una citta’ caotica, ma vivibile. E poi, alcuni dei problemi incontrati da Metha al suo arrivo a Bombay li ho avuti pure io qua ad Amburgo, nella “civilissima” Germania! Quando l’anno scorso ho traslocato nel nuovo appartamento mi sono ritrovata co tubi rotti che gettavano acqua ovunque, citofono non funzionante, balcone con crepe…e dopo un anno non e’ stato ancora risolto tutto! Un mio collega trasferitosi da poco a Parigi mi racconta cose simili, se tira l’acqua in bagno rischia di allagare la casa…che sia il destino di tutte le metropoli quello di avere tanti appartamenti trascurati perche’ la richiesta e’ maggiore rispetto all’offerta? Voglio dire, l’abbandono dei villaggi per andare a vivere in citta’ grandi non e’ solo un problema indiano, c’e’ ovunque! Io stessa ho abbandonato la mia bella citta’ di provincia per venire qui e, nonostante qualche difficolta’, resto. Conosco lo stimolo, il desiderio che spinge qualcuno ad andarsene. Perche’ poi pero’, nonostante si provi nostalgia per quello che si e’ lasciato, si fa cosi’ fatica a tornare indietro? Perche’, nonostante la nostalgia del villaggio, Girish continua a ritornare a Bombay? Perche’ si e’ convinti che la citta’ grande dia piu’ possibilita’, e non ci si riesce ad accontentare di quello che gia’ si ha? I personaggi del libro aspirano tutti alla ricchezza, alla fama nel cinema o in campo letterario ed e’ il loro sogno che li ha condotti a Bombay. Pero’, proprio alla fine, come a dimostrazione del fatto che nessuno e’ mai veramente soddisfatto della propria vita, ecco la famiglia gianista che ha realizzato il sogno di benessere di tanti ma decide di lasciare il mondo e, di conseguenza, abbandonare Bombay, la citta’ del peccato. Isomma, questo libro mi ha proprio dato tanto da pensare e sono stata proprio contenta di averlo letto!

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  9. cara Karachan
    anche a me questo libro ha dato molto.
    Come ho già detto anche troppe volte, tutto quello che dice Suketu Metha è vero, ma lascia con una sensazione che non rende giustizia agli abitanti della città: secondo me a Bombay prevale proprio il senso di umanità e di tolleranza e non il caos violento e pericoloso, almeno nella vita di tutti i giorni, fra la gente "normale".

    Anche io ero rimasta impressionata dal fatto che la gente negli appartamenti si sentisse sola e che all'inizio finivano a dormire in 10 in una stanza pur avendone altre a disposizione perché se no si sentivano soli.

    Questa dimensione della comunità penso che la stiamo perdendo (se non l'abbiamo già persa), preferendo comodità, privacy, indipendenza e libertà.
    Io in un certo senso invece sono tornata indietro, non "a casa", ma in Italia, perché anche se qui tutto va storto la gente è ancora legata dai vincoli personali e della comunità (almeno ancora per un po', poi finiremo tutti a prenderci a pugni negli occhi...), questa cosa dell'indipendenza e della libertà è meno forte, rispetto per esempio all'Inghilterra.

    Che cosa spinge ad andare nella metropoli? La "città dell'oro", dice Suketha. E a volte per loro tornare indietro, rotti i legami, è molto difficile, tornare da fallito, senza un soldo in tasca.
    (Non c'entra molto, ma mi ricorda Eredi della sconfitta di K. Desai, con il tipo che fa lo schiavo negli Stati Uniti e muore di nostalgia per l'India, ma non ha il coraggio di tornare indietro per non ammettere il suo fallimento).

    Ma è interessante vedere che anche a Bombay comunque si ricreano delle reti di comunità e si riescono a ricreare i legami che si avevano in un villaggio. E questo soprattutto negli slum, paradossalmente dove la gente è più povera.

    Un altro libro interessante, proprio sui rapporti umani in una città come Bombay, é La morte di Vishnu, interamente ambientato nel microcosmo di un condominio a Bombay, che potrebbe per molte cose essere in qualunque città del mondo.

    Ora mi sta venendo nostalgia e quindi vado a vedermi un film indiano!

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  10. ciao, l'immagine che hai tratto dal libro è senza dubbio la più bella. purtoppo però nel complesso ne esce un quadro di una città dove la vita non vale nulla, dove la mafia ti regala un buono omicidio e tu quasi quasi ci fai un pensierino e ti senti più buono nel non utilizzarlo.
    complimenti per il blog. salam angelo

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  11. Ciao Angelo, benevuto da queste parti e grazie!
    Personalmente questo libro mi ha spinto ancora di più ad andare a Bombay, affascinata dai grovigli di una città così complessa e multiforme.

    Ho poi scoperto che la reazione di tutti quelli che leggevano questo libro invece era: "non metterò mai piede a Bombay!"

    In effetti penso che dal libro emerga un'immagine disumana, mentre invece Bombay riesce comunque a essere straordinariamente umana.

    Io però ho visto nel libro anche una sovrapposizione di questi due aspetti: in mezzo a mafia, omicidi, povertà c'è sempre qualcuno che ti tende la mano, che si mantiene onesto, che non dispera.

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