Nessun dio in vista... che parli hindi

Ovvero non scrivo quello che penso

Visto che ho appena finito di parlare di Nessun dio in vista, ripesco questo articolo sui nuovi scrittori indiani, pubblicato sulla Repubblica delle Donne in aprile, che parla anche di Altaf Tyrewala.
In breve, descrive i nuovi scrittori indiani in lingua inglese, i nipoti della mezzanotte, trentenni globalizzati con curriculum internazionale, che hanno vissuto a New York, che bloggano 24 ore su 24, ascoltano rock underground e fanno zapping sulla tv satellitare.
Il tutto mi sembra un po' esagerato. O quantomeno generalizzante.

Però mi sono sembrati interessanti alcuni passaggi a proposito dello scrivere in inglese invece che nelle lingue regionali. In uno di questi si accenna a quello di cui parlavo qualche post fa: l'ambiguità di far parlare i personaggi di un romanzo in una lingua che non parlerebbero mai (cioè in inglese), proprio quando la loro lingua "naturale" sarebbe la lingua madre dell'autore.
Altaf Tyrewala dice: "Nella mia testa il macellaio, il panettiere o il rifugiato di Nessun dio in vista, tutti analfabeti, parlavano hindi, e io traducevo contemporaneamente sulla tastiera in inglese. Il che ha dato al linguaggio un ritmo sgangherato, del tutto originale".

Pensi in una lingua e scrivi in un'altra, istantaneamente. Veramente multitasking. Il tutto grazie alla mente globalizzata dai blog e Mtv oppure alla tradizionale complessità indiana?
O a entrambe?

Commenti

  1. ancora più curiosa di leggere e di sentire parlare il macellaio in hindi tradotto in inglese da un *londostano* :)

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  2. ...e magari ritradotto in italiano! Una volta avrei pensato che in tutti questi passaggi qualcosa andasse perso. Ora penso che si', qualcosa va perso, ma forse qualcosa si aggiunge anche...
    se non altro quel ritmo sgangherato che tanto caratterizza Bombay.

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  3. Per quanto mi riguarda, sicuramente ritradotto in italiano! E sicuramente con la speranza che qualcosa si sia aggiunto...
    se non altro felice dell'unico modo di sentire parlare il macellaio hindi di Bombay (o di Mumbai?), che altrimenti non mi avrebbe mai parlato (o non lo avrei mai capito)!

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  4. Sì, verissimo! Se non altro così veniamo a sapere come vive un macellaio analfabeta a Mumbai!

    L'unico dubbio è se il macellaio ha detto veramente quello che voleva dire, oppure se ha detto quello che il trentenne indiano globalizzato gli ha voluto far dire...
    ma l'unica alternativa sarebbe andare a trovarlo e parlagli in hindi... non molto praticabile!

    (fra le due, il macellaio direi che vive a Mumbai, non a Bombay)

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  5. un'altra cosa: ma com'è tutta questa simpatia per il macellaio?
    non eri vegetariana?
    e in India non sono (quasi tutti) vegetariani?

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  6. Ora, il macellaio mi sta simpatico, ma non e' che sia l'unico personaggio che mi piace...
    Comunque, il macellaio in questione e' un macellaio musulmano di polli.
    Forse mi sta simpatico proprio perche' sono vegetariana: lui ammazza i polli per portare dei soldi a casa, ma per esempio non vuole uccidere i topi schifosi che girano per la macelleria, si limita a sbatterli fuori. E poi mangia solo verdura bollita!
    E poi (sorpresone...) il fatto di uccidere qualcuno... (lo scoprirai leggendo il libro).

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  7. ora non resisto dalla curiosità!

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  8. Sono felice che esista un luogo di discussione come questo, che irradia tanta passione per l'argomento! I problemi sulle letterature indiane -- sottolineo il plurale -- sono tanti, non solo letterari (ahinoi!) ma anche molto più prosaici: in primis il fatto che con le opere in lingue orientali le case editrici italiane (e non solo) vengono ad avere un controllo assai limitato sull'opera. In altre parole devono fidarsi di qualcuno che dica che sì, il libro è bello e meritevole, lo giuro, Vostro Onore!, o aspettare qualche volonteroso che lo traduca sperando in una improbabile) pubblicazione. Questi "qualcuno" in Italia non sono tanti, e spesso sono in altre faccende affaccendati. E c'è pure un problema collaterale -- ma non troppo -- che penso tu conosca, Silvia, perché se ho ben capito lavori come redattrice: le case editrici mirano a un prodotto pastorizzato, normalizzato, piallato, smussato, confezionato per un pubblico (clientela?) molto spesso sottostimato, specie in termini di "spirito d'avventura" verso letture considerate impegnative.
    Inoltre: sì, spesso gli autori indiani non inglesizzati evitano di sfornare libri con le tenui speziature e gli esotismi che piacciono a molti e garantiscono una certa vendita, e di sicuro inseriscono nei loro lavori una miriade di riferimenti culturali potenzialmente difficili da cogliere, anche ammettendo una certa tolleranza per il brusio di Ghosh. Spesso gli autori, in particolare quelli hindi, sono crudi, sperimentali, persino astratti, di certo non compiacenti...

    Beh, i temi/problemi sarebbero tanti altri, chissà che non si riesca a parlarne. Direi che una buona base di partenza per capire le radici del problema è la famigerata Minuta Macaulay del 1835. Eccola, meriterebbe una lettura attenta:

    http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00generallinks/macaulay/txt_minute_education_1835.html


    PS: il link di Macaualay viene dal sito di Frances Pritchett, grande studiosa di urdu e affini della Columbia, sito che è una miniera di informazioni di ogni tipo:

    http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00fwp/sitemap.html

    Cari saluti!

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  9. Ti ringrazio per l’interessantissimo commento.
    E ti chiedo scusa se rispondo solo ora.
    Sono d’accordo su quanto dici sul fatto che i libri proposti dalle case editrici sono spesso confezionati in modo che siano digeribili a un pubblico che non si sforzi troppo (sì, lavoro come redattrice in una casa editrice, ma in un ambito un po’ diverso, quello dei libri di testo).
    Fra l’altro, ho scritto a varie case editrici proponendo dei testi che ho letto che ritenevo interessanti (delle letterature in lingue indiane conosco principalmente quella in malayalam, anche se solo in traduzione – anche questi sono molto sperimentali e non compiacenti), non ho mai ottenuto risposte (anche solo per dirmi di no!). E’ anche vero che io non sono nessuno e che leggo solo in traduzione inglese…
    D’altra parte, capisco anche che non è facile fare proposte in un paese in cui, purtroppo, non si legge molto e c’è una grande ignoranza su quello che succede all’estero.
    Grazie per il link (fra l’altro, per una piacevole coincidenza, nei giorni scorsi ho visitato parecchio proprio questo sito per leggermi i ghazal di Ghalib – sono in una fase di innamoramento di Ghalib…).
    Avevo letto il minute di Macaulay molto tempo fa, ma l’ho riletto ora attentamente parola per parola: era veramente intriso di colonialismo! Mi sono segnata alcune frasi: “l’intrinseca superiorità della letteratura occidentale”, “le lingue dell’Europa occidentale hanno reso civile la Russia”, la formazione di “una classe di indiani di sangue e di colore, ma inglesi nei gusti e nelle opinioni”. Anche il paragone ai geroglifici egiziani non è male!
    Non nego però l’importanza che ha avuto l’inglese: senza quello, non sarebbe stato possibile per me conoscere e comunicare con l’India e gli indiani… ma dovrebbe essere una lingua ponte, e non l’unica lingua degna di una letteratura!
    In modo più sottile, anche oggi l’interesse per le letterature indiane (e per tutte le forme d’arte non occidentali) è comunque molto eurocentrico (della serie: leggiamo le letterature indiane, sono cose carine, pittoresche, etniche, folkloristiche, ma la vera letteratura è la nostra…).
    Ora mi fermo, ma spero di continuare a parlare di queste cose. Anzi, mi hai dato lo stimolo per scriverne ancora di più…
    Spero di vederti ancora da queste parti.
    Grazie

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  10. Cara Silvia,
    Ma certo che bazzico da queste parti, mi sento a casa, e non sono neanche tanto lontano geograficamente. Per la verità credo di essere anche qua e là nei tuoi scaffali con qualche libro che ho tradotto!
    Proporre libri a case editrici è un'impresa titanica e forse donchisciottesca, ma tentar non nuoce... Ormai, comunque, dettano legge gli agenti letterari, che tendono a imporre certe scelte con pressioni non lontane dal ricatto (ti do questo se mi pubblichi quest'altro). Anche per questo ritengo importante il tuo blog, bisogna in qualche modo lottare anche con i nostri piccoli mezzi, fare fronte unico, e il tuo mi sembra un modo gentile, appassionato, luminoso.
    Sì, l'eurocentrismo impera ancora a tutti i livelli, smaccatamente ma anche inconsciamente. Anche qui, occorrono piccole lotte. Per esempio, nelle mie traduzioni impongo i generi originali di hindi e urdu (lingue che a differenza dell'inglese hanno un maschile e un femminile), perché non vedo proprio il motivo -- tanto per fare un esempio -- perché una sari, che è quanto di più femminile esista, in italiano debba diventare UN sari. Si tratta di rispettare una lingua e una cultura nobilissima, credo. Ovviamente bisogna conoscere la lingua di partenza, o quanto meno sapere usare un vocabolario hindi o urdu, che non è cosa semplice, ma credo che occorra impegnarsi. Ahimè, lotta per l'appunto donchisciottesca, ma tengo duro.
    Sono felice della tua passione per Ghalib... i vertici della difficoltà linguistica, e non solo. Ecco uno dei miei distici prediletti:

    Dal raggio del sole apprende rugiada l’arte dell’annientamento/
    E io pure esisto, finché non mi tocchi il favor d’un tuo sguardo.

    Romantico e mistico allo stesso tempo: l'amata o l'Amato?

    Ma oso dire che se t'interessano tutti questi temi un libro molto importante è Crepuscolo a Delhi di Ahmed Ali. Oso con ritegno perché l'ho curato io (ecco, frutto di una di quelle lotte donchisciottesche!), ma è davvero importante, scritto nel 1937, uno dei primi in inglese. Dolorosamente in inglese, aggiungerei, perché non è stata una scelta semplice per l'Autore (madrelingua urdu).

    Se t'interessasse la problematica hindi-urdu, che pure è piuttosto complessa, soprattutto nei risvolti politici (entrambe hanno subito una sorta di processo di "pulizia etnica" in India e Pakistan, e di conseguenza un notevole impoverimento) nonché una panoramica su alcuni scrittori-scrittrici hindi-urdu più o meno contemporanei, avevo scritto tempo fa un noiosissimo articolo per il Manifesto, che metterei volentieri a disposizione. Utilissimo in caso d'insonnia! La mia ignoranza delle tecniche di blog è abissale, e non so bene come muovermi, ma un modo si trova.
    Che post pesante! Prometto che la prossima volta parlo solo delle mie ricette per una buona chai (sì, è femminile!).
    Grazie per l'ospitalità!

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  11. Bene, ora ho scoperto chi sei!
    E anche come permutare correttamente le lettere del tuo nickname! E sì, già prima del tuo commento vivevi anche fra i miei scaffali...
    Crepuscolo a Delhi, appunto, è un altro che vive fra gli scaffali. Ma per il momento più che vivere, vegeta: vista l'enorme fila di libri ancora da leggere e l'esiguo tempo per leggerli, è, poverino, ancora in lista d'attesa. Però dopo questa tua segnalazione, lo farò decisamente passare avanti agli altri!

    D'accordissimo con la traduzione che rispetti i generi delle lingue originali. Se la sari è femminile è giusto sia femminile anche in italiano.
    Mi suona solo un po' strano nei casi in cui in italiano siamo abituati a un genere per una categoria di sostantivi: per esempio, per i nomi delle lingue, che in italiano sono maschili (dire "la marathi" mi suona strano). Ma penso che sia una questione di abitudine.

    Certo che mi interessa l'articolo sull'hindi-urdu (e in particolar modo sulle questioni politiche). E se hai segnalazioni da fare, articoli da mandare ecc. mi farà molto piacere parlarne qui.
    In particolare, mi piacerebbe tantissimo se ci dicessi qualcosa delle tue esperienze di traduzione.

    Bellissimo il distico di Ghalib.
    Se avessi tempo sufficiente per farlo, mi metterei a studiare l'hindi o l'urdu...

    A presto allora!

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  12. La cosa buffa è che quella di mantenere il genere originale sembra una scelta quasi "politica" -- fortemente osteggiata da tutta una schiera di traduttori e pure di critici, per non parlare deglie ditori --, ma secondo l'Accademia della Crusca:

    “La questione del genere dei nomi stranieri che entrano nella nostra comunicazione corrente segue una regola apparentemente semplice: attribuire il genere che ha la parola corrispondente in italiano, per cui, ad esempio “la hall” (in italiano “sala”), “la mail” (in italiano “la posta”), “il manager” (in italiano “l’uomo d’affari”), ecc. o che ha originariamente nella lingua d’origine (per le lingue come l’italiano che attribuiscono il genere ai sostantivi).”

    Semplice! E' vero che la farina del diavolo va tutta in Crusca, ma...

    Beh, per abituarsi a marathi, hindi, urdu ecc al femminile basta pensare a "lingua" prima del termine: la (lingua) hindi, ecc.

    Ti ringrazio per l'ospitalità (soprattutto nei tuoi scaffali), e cercherò di contribuire in qualsiasi modo.

    Per quanto riguarda le mie esperienze di traduzione sono alquanto schivo, anche perché non è che abbia un metodo particolare o una visione chiara dell'eterno problema. In sintesi credo che sia un po' come nella musica classica: hai una partitura da rispettare, ma sei obbligato a scelte personali per quanto riguarda ritmo, tempo, abbellimenti, interpretazione, altrimenti il risultato è inascoltabile/illeggibile. Purtroppo, nonostante gli sforzi titanici ed encomiabili delle redazioni, escono certe traduzioni... nel campo dell'indianistica, poi, si accumulano tanti strafalcioni da rendermi la lettura quasi insopportabile! E' una bella maledizione, giuro, vorrei gustarmi i libri in italiano, ma... grrrr!

    A proposito di Crepuscolo a Delhi mi preme segnalare un tema d cui si può discutere: per certi versi la realizzazione del libro è l'esatto contrario della teoria del brusio di Ghosh (guai a mettere note, glossari, ecc). Crepuscolo è tutto annotato, c'è un glossario, ci sono due appendici: una sui luoghi citati e una sui personaggi storici (compresi i tanti poeti urdu, con brevi biografie, aneddoti e pure minuscoli esempi dei loro versi). E c'è pure una cartina della Delhi Vecchia, per chi volesse ritrovare i luoghi!
    Ecco, questa è la mia opinione: fornire tutta una serie di materiali (non in modo accademico, spero) utili per capire/approfondire, poi chi vuole può consultarli, e chi non vuole può saltare agevolmente note (rigorosamente a piè di pagina, per carità!), glossari e tutto quanto! Naturalmente dipende dai libri, ma certi senza un minimo apparato risulterebbero abbastanza incomprensibili, o per lo meno non sarebbe possibile gustare numerose sfumature. Dunque le istruzioni per l'uso di Crepuscolo sarebbero: se incappo in qualcosa che non conosco (luoghi, personaggi, termini), probabilmente viene spiegato da qualche parte in fondo al libro!

    Per quanto riguarda le (tante) poesie urdu presenti in Crepuscolo sono andato a pescare gli originali e mi sono servito di quelli, e non tanto della traduzione inglese dell'Autore. Un altro dei miei vezzi è di tradurre se possibile le ghazal in rima, o almeno secondo schemi metrici definiti, perché così sono gli originali, e non è del tutto impossibile ricrearli in italiano. Parlando di poesia indiana tradizionale -- ma anche di musica, pittura ecc -- va tenuto conto che certi presupposti estetici sono molto diversi rispetto ai nostri, e forma, suono, abbellimenti (alamkara) hanno un'importanza fondamentale.
    Insomma, puoi capire che è stato un lavoro enorme e controproducente dal punto di vista economico, ma ogni tanto va pur fatto!

    Ah! Ed eccoti un rimbrotto! Nella recensione di Bypass della Saraogi non citi il nome della traduttrice, che è la mia amata guru Mariola Offredi, una delle maggiori esperte mondiali di hindi. Donna straordinaria! Perciò esigo, pretendo e reclamo (bonariamente) una menzione d'onore per Mariola, perché è forse l'unico romanzo tradotto in italiano direttamente dalla hindi (beh, non l'unico tradotto, ma l'unico pubblicato da una casa editrice ben distribuita), e se non fosse stato per la benemerita Offredi...

    Provo a mandarti l'articolo alla mail del tuo blog, è lunghetto e pesantuccio, vedi un po' come gestirlo e se è il caso di divulgarlo.

    Ciao, e buone giornate piovose!

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  13. Come prima cosa devo dire che hai perfettamente ragione a rimbrottare, ho subito posto rimedio come meglio ho potuto menzionando Mariola Offredi, ingiustamente ignorata dalla mia trascuratezza.
    Il tuo rimbrotto dovrebbe essere forse generalizzato, in quanto non ho mai menzionato nessun traduttore (cosa piuttosto spiacevole per un traduttore, immagino...). Qui non so bene come porre rimedio.

    Ancora non mi suona, la lingua al femminile, ma mi ci sto lentamente abituando!

    Per quanto riguarda glossario si'/glossario no, secondo me molto dipende dal libro. Nel caso di Ghosh, per esempio, e' lui stesso a non volerlo perche' ha scritto quel che ha scritto volendo (anche) dare una sensazione di rumore di fondo e di contaminazione linguistica. E' forse un caso estremo, ma fa parte di una scelta d'autore.
    Per altri libri note e glossario possono essere utili perche' altrimenti il lettore non capirebbe granche' (da quel che dici, sembra il caso di Crepuscolo).

    Penso che ci dovrebbe essere un sottile equilibrio fra il farsi trasportare dalla storia e la comprensione di quello che si legge. Ovviamente questo equilibrio lo puo' trovare solo il lettore, ed e' diverso da persona a persona.
    Certo, dandogli il glossario gli si suggerisce di andare a cercare le parole che non conosce (e di interrompere cosi' la lettura), dicendogli implicitamente che altrimenti non capira' bene proprio tutto. Negarglielo, significa obbligarlo a non capire quando magari lui rimane dubbioso.

    Per gli apparati, io sono una che li legge sempre e comunque tutti dalla prima riga all'ultima, ma nella maggior parte dei libri che ho letto suonano spesso un po' accademici (sono sicura che i tuoi non sono cosi'), da libro "da studiare" e non da leggere.

    Comunque, se mi fai finire prima il Pankaj Mishra che sto leggendo, subito dopo mi butto su Crepuscolo (oramai sta scalpitando negli scaffali, anzi si e' gia' catapultato qui sul divano) e ti dico meglio di cosa ne penso di questo aspetto nel caso specifico, visto che in un certo senso e' l'estremo opposto di Ghosh.

    Eri schivo a parlare delle tue esperienze di traduzione, ma poi in realta' ne hai parlato... tradurre l'urdu dall'originale, sottolineare sfumature difficilmente riconoscibili, aiutare il piu' possibile il lettore a orientarsi in strade sconosciute...

    A presto, sull'interessantissimo articolo ti dico per email!

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  14. Massì, alla fine ho parlato di traduzioni proprio perché Crepuscolo è un caso limite, così denso di apparati... mi pareva uno spunto utile di discussione, e infatti... Diciamo che sono schivo sulle questioni propriamente tecniche, perché non ho una "teoria della traduzione" o un metodo, mentre c'è chi ci scrive libri e tiene conferenze.

    Mah, in fondo il glossario se ne sta buono buono là in fondo, non dà fastidio a nessuno, e non è che implichi un'ignoranza di chi legge... secondo me dovrebbe dare qualche informazione gustosa o inedita in più, assolutamente facoltativa... e magari raddrizzare qualche torto, nel senso che ho visti tanti glossari sballati e approssimativi (e lo stesso vale per certe notacce del traduttore!)

    Ecco, le note sono un discorso a parte, io le evito il più possibile, e, confesso, tendo a risolvere nel testo, quindi eliminando anche qualche indianismo secondo me di troppo. Dipende molto dai libri, a volte non serve nulla, ma nell'ultimo che ho tradotto, una meravigliosa saga di cui magari parlerò, ci sono tanti materiali interessantissimi in lingua originale, non tradotti, e spesso non viene specificata la fonte: brandelli di Upanishad, ballate di cantastorie, poesie urdu, poeti anglofoni come T.S. Eliot... di tutto e di più! Ecco, sarà perché sono curioso ma a me fa piacere sapere che un certo pezzetto viene da una certa Upanishad, e sapere cosa significa... o leggere la traduzione di qualche verso di poesia urdu... o capire che la tal dei tali era una cantante di film degli anni '40, o un'autrice di teatro d'avanguardia... devo anche dire che certi autori indiani hanno scritto i loro romanzi senza pensare che sarebbero stati tradotti in occidente, perciò spesso i riferimenti alla loro cultura sono molto più "criptici" per i non-indiani... un aiutino può servire.

    Non vorrei avere caricato di eccessive aspettative Crepuscolo! Comunque, al di là di apparati e problemi vari è un libro importante e direi anche misconosciuto, non poteva non apparire nel blog!

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  15. Ovviamente non penserai di farla franca e di non dirci di quale saga stai parlando...
    Certo, in questo caso le note possono essere d'aiuto e anche suggerire riferimenti altrimenti incomprensibili. Se l'autore indiano pensava di dire qualcosa che tutti potessero capire in quanto indiani e invece cambiando paese si perde il riferimento, e' giusto fornire qualcosa per la comprensione.
    Quindi, si', dipende dai libri e secondo me in molti casi potrebbe essere una scelta quasi d'autore.
    Ma anche gli autori sono molto diversi gli uni dagli altri: chi si disinteressa totalemente delle traduzioni, che ti pianta una gran casino per una virgola non tradotta!

    Dell'aspetto tecnico o teorico della traduzione, in verita' neanche a me interessa piu' di tanto, mi interessano di piu' le cose che dici tu, o magari il rapporto che tu hai instaurato con il testo o con l'autore o con l'immaginario lettore... o la cartina di Delhi che hai ricostruito!

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  16. Che piacevole sorpresa imbattersi in questo blog tra una ricerca e l'altra.. Sono altrettanto piacevolmente sorpresa che si stia discutendo a proposito del genere dei termini stranieri nelle traduzioni italiane, in quanto aspirante traduttrice e in quanto laureanda con una tesi sulla letteratura indiana in inglese!
    Proprio nel racconto che ho tradotto (di Amit Chaudhuri) mi sono imbattuta nel termine a cui Giri Mandi faceva riferimento, sari. Sono fortemente convinta della mia scelta a favore del genere femminile nella traduzione, così come del glossario e di note esplicative. Credo che l'editoria italiana tenda molto facilmente a sottovalutare il lettore italiano: personalmete non ho mai considerato fastidioso l'essere "disturbata" da note e glossari, anzi, senza questi supporti la mia lattura sarebbe stata decisamente disattenta e incompleta.

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  17. Cara Sarah,
    grazie del tuo commento e di aver condiviso la tua esperienza di traduzione!
    Quale racconto di Amit Chaudhuri hai tradotto? Lui mi piace molto, e se non sbaglio non è mai stato tradotto in italiano.
    In generale, a me non piacciono troppe note nel testo, neanche a piè pagina, perché alla fine le leggo e perdo il ritmo della lettura. Ricordo ancora quei testi scolastici in cui c'erano due righe di testo e tutta la pagina di note! E´ un po' distruggere l'interesse per la lettura (so che è un caso estremo e che i libri di narrativa non sono così, ma da allora non ho grande simpatia per le note).
    Ma penso che tutto dipenda dai libri, dagli autori, e dall'equilibrio che si instaura nella lettura. E se sono alla fine del libro non fanno male, alla fine io leggo sempre tutto...
    Pensa che nonostante io sia interessatissima alla letturatura indiana, vado a cercarmi le parole nel glossario solo in casi estremi, se proprio non capisco il senso di quello che leggo (2-3 volte nella lettura di un intero libro, ma più spesso non lo guardo neanche). Non riesco a voltare pagina e poi tornare indietro. Spesso imparo le parole dal contesto. Può essere che invece lo legga alla fine, se c'è qualche parola che mi incuriosisce.
    Poi in genere vado a fare delle ricerche sulle cose mi hanno interessato (ma solo una volta finito un libro): situazione storica, luoghi geografici, personaggi reali e immaginari, poesie citate, origine dei termini. Sono tante, e imprevedibili, le cose che mi vado a ricercare, spesso sarebbe un altro libro da scrivere!
    Bene, spero che tornerai da queste parti... a presto!

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  18. Si è esatto, purtroppo non è mai stato tradotto in italiano! Ho tradotto "White Lies", da "Real Time: stories and a reminiscence", lo hai letto anche tu?
    Per quanto riguarda le note credo sia un fatto un po' soggettivo: spesso, almeno per quanto mi riguarda, perdo il ritmo della lettura più rimuginando e interrogandomi sul significato di un termine o di un riferimento culturale che non comprendo, piuttosto che fermandomi per un secondo a dare uno sguardo alle note.
    Sono però d'accordo con te sul fatto che non debbano essere troppo invadenti e distrarre il lettore con una specie di metastoria. Lo scopo della nota è quello di agevolare per quanto possibile la lettura, non certo quello di distrarre da essa.
    Personalmente ho preferito inserire poche note secondo me essenziali (se hai letto il racconto ricorderai che ci sono tantissimi riferimenti alla musica classica indiana), nella speranza che oltre a chiarire alcuni dettagli possano stimolare il lettore (se mai la mia traduzione ne avrà uno!) a fare ulteriori ricerche, proprio come fai tu.

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  19. Di Amit Chaudhuri ho letto solo "Freedom songs" (è uno dei numerosi libri di cui mi riprometto di parlare qui, prima o poi...).
    Beh, se vuoi, a me non dispiacerebbe leggere la tua traduzione (vedi che una lettrice l'hai trovata), se e quando vuoi.
    Ma non offenderti se salto qualche nota mentre leggo (scherzo)!

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  20. Figurati! Certo che non mi offendo! Soprattutto perché è a mia prima traduzione "ufficiale"! Io la manderei volentieri, ma non so come funziona con diritti e cose del genere...sai, essendo inedito! Pensavo di proporlo a qualche rivista oppure di tradurre per conto mio l'intera raccolta e proporla a un editore..

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  21. Mi farebbe piacere leggerlo, ma, sì, hai ragione, essendo inedito non dovresti mandarlo al primo (alla prima) che capita... a meno che tu non ti fidi ciecamente di me (ma perché mai dovresti fidarti di una sconosciuta trovata su un blog?).

    Spero veramente che prima o poi qualcuno pubblichi Amit Chaudhuri... quando ho proposto qualche autore indiano a qualche editore non mi hanno mai risposto (non ho capito perché nella casa editrice dove lavoro io se non rispondo immediatamente a proposte editoriali deliranti vengo licenziata, mentre nelle altre no...)
    Comunque speriamo!
    (ma prima di tradurla tutta, prova a contattare prima un editore: se sono interessati, un racconto di esempio dovrebbe bastare)

    RispondiElimina

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