La compagnia delle donne
di Khushwant Singh
Ovvero sesso libero e solitudine esistenziale
Ovvero sesso libero e solitudine esistenziale
“Quando un uomo invecchia, i suoi instinti sessuali migrano dal corpo alla testa. Ciò che avrebbe voluto fare da giovane, ma che non ha fatto per mancanza di tensione nervosa, per mancanza di corresponsione o di occasioni, ora lo fa nella sua mente.”
Non è un caso quindi che a 84 anni Khushwant Singh abbia scritto un romanzo il cui protagonista è un uomo alla continua ricerca di donne disponibili. Sulla quarta di copertina è riporata una affermazione di Panorama: “Khushwant Singh è un indiano del Punjab, ma sembra un Bukowsky giovane”. Per fortuna questo romanzo non ha molto a che vedere con Bukowsky, nome troppo spesso usato (e abusato) ogni qual volta si parli di sesso o violenza. È vero che questo romanzo descrive una lunga serie di rapporti sessuali, ma l’analogia finisce qua. Khushawant Singh è molto più cinico, crudele e allo stesso tempo molto più equilibrato e sottile di Bukowsky.
Se devo essere sincera, io non posso fare a meno di provare simpatia per questo sikh ottantenne con barba e turbante. A sentirlo parlare alla televisione indiana, la simpatia si trasforma poi in ammirazione per la sua pungente ironia e il coraggio dei suoi discorsi. In India è una vera e propria celebrità, giornalista prolifico e controveso e scrittore di più di ottanta libri, tutti in inglese (fra l'altro, ho adorato anche il suo romanzo Quel treno per il Pakistan, ambientato all'epoca della partizione).
Qualcosa di suo ci deve essere nel protagonista della Compagnia delle donne, Mohan, un ricco uomo d’affari indiano, laureato a Princeston, con una grande casa a Delhi e una famiglia in frantumi. Subito dopo il suo divorzio dalla moglie decide di mettere un annuncio su un giornale per cercare «relazioni libere da obblighi e vincoli reciproci». Varie donne risponderanno ai suoi annunci, soddisfando così il suo insaziabile appetito sessuale.
Ogni donna appartiene a un mondo diverso: la timida (ma in fondo non più di tanto) insegnante, la moglie antipatica e petulante, la disinibita massaggiatrice di Goa, l’ambasciatrice cingalese sicura di sé e senza remore.
Mohan sembra non innamorarsi mai e, nonostante le dichiarazioni poco prima degli addii, sa benissimo di illudersi quando pensa che tali relazioni possano durare. Tutte vanno come sono venute e ben poco sembra cambiare veramente nel protagonista, che guarda con un velo di cinismo la vita e ciò che gli accade.
Khushwant Singh scrive con maestria e con grande abilità, sa bilanciare bene la narrazione, alternando la voce in prima persona del protagonista con quella in terza persona dello scrittore. Tutto in ordine rigorosamente non cronologico, con un lungo flashback in prima persona sulla sua iniziazione sessuale negli Stati Uniti.
Alla fine, è la voce dello scrittore che racconta l’epilogo, tanto inaspettato quanto ineluttabile. C’è un profondo senso di freddezza in questo finale, di precisione, di determinazione che dopo tanti incontri sessuali spiazza il lettore ma riesce a sembrare naturale. Freddezza che si unisce, se possibile, incredibilmente e incompatibilemente, a compassione.
Dopo tante donne, dopo tanti incontri, rapporti, esplorazioni ed esperienze, infatti, Mohan rimarrà totalmente solo e sarà da solo a scegliere il suo destino. Perché, alla fine, nessuna donna può bastare, se non si basta a se stessi.
Non è un caso quindi che a 84 anni Khushwant Singh abbia scritto un romanzo il cui protagonista è un uomo alla continua ricerca di donne disponibili. Sulla quarta di copertina è riporata una affermazione di Panorama: “Khushwant Singh è un indiano del Punjab, ma sembra un Bukowsky giovane”. Per fortuna questo romanzo non ha molto a che vedere con Bukowsky, nome troppo spesso usato (e abusato) ogni qual volta si parli di sesso o violenza. È vero che questo romanzo descrive una lunga serie di rapporti sessuali, ma l’analogia finisce qua. Khushawant Singh è molto più cinico, crudele e allo stesso tempo molto più equilibrato e sottile di Bukowsky.
Se devo essere sincera, io non posso fare a meno di provare simpatia per questo sikh ottantenne con barba e turbante. A sentirlo parlare alla televisione indiana, la simpatia si trasforma poi in ammirazione per la sua pungente ironia e il coraggio dei suoi discorsi. In India è una vera e propria celebrità, giornalista prolifico e controveso e scrittore di più di ottanta libri, tutti in inglese (fra l'altro, ho adorato anche il suo romanzo Quel treno per il Pakistan, ambientato all'epoca della partizione).
Qualcosa di suo ci deve essere nel protagonista della Compagnia delle donne, Mohan, un ricco uomo d’affari indiano, laureato a Princeston, con una grande casa a Delhi e una famiglia in frantumi. Subito dopo il suo divorzio dalla moglie decide di mettere un annuncio su un giornale per cercare «relazioni libere da obblighi e vincoli reciproci». Varie donne risponderanno ai suoi annunci, soddisfando così il suo insaziabile appetito sessuale.
Ogni donna appartiene a un mondo diverso: la timida (ma in fondo non più di tanto) insegnante, la moglie antipatica e petulante, la disinibita massaggiatrice di Goa, l’ambasciatrice cingalese sicura di sé e senza remore.
Mohan sembra non innamorarsi mai e, nonostante le dichiarazioni poco prima degli addii, sa benissimo di illudersi quando pensa che tali relazioni possano durare. Tutte vanno come sono venute e ben poco sembra cambiare veramente nel protagonista, che guarda con un velo di cinismo la vita e ciò che gli accade.
Khushwant Singh scrive con maestria e con grande abilità, sa bilanciare bene la narrazione, alternando la voce in prima persona del protagonista con quella in terza persona dello scrittore. Tutto in ordine rigorosamente non cronologico, con un lungo flashback in prima persona sulla sua iniziazione sessuale negli Stati Uniti.
Alla fine, è la voce dello scrittore che racconta l’epilogo, tanto inaspettato quanto ineluttabile. C’è un profondo senso di freddezza in questo finale, di precisione, di determinazione che dopo tanti incontri sessuali spiazza il lettore ma riesce a sembrare naturale. Freddezza che si unisce, se possibile, incredibilmente e incompatibilemente, a compassione.
Dopo tante donne, dopo tanti incontri, rapporti, esplorazioni ed esperienze, infatti, Mohan rimarrà totalmente solo e sarà da solo a scegliere il suo destino. Perché, alla fine, nessuna donna può bastare, se non si basta a se stessi.
Silvia, che scoperta! Sei davvero una rivelazione! Solo ora sono andato sul tuo blog, dopo averti risposto a proposito di Adiga e....non posso crederci, il tuo libro preferito e il tuo film preferito sono gli stessi miei...nn mi cpaita spesso...e poi Khsuhwant Sinh. potre parlartene per ore, visto che sono uno studioso di sikhismo e , fra l'altro, ho scritto la prefazione e il glossario di quello che a mio avviso resta il suo romanzo migliore, cioè Train to Pakistan (in italiano Quel treno per il Pakistan, Marsilio).
RispondiEliminaBeh, ma che diavolo aspettiamo a scriverci?
Marco
Mi fa piacere e mi conforta che ci sia qualcuno dall'altra parte dello schermo del computer che abbia i miei stessi gusti e interessi.
RispondiEliminaOrmai nel mondo "reale" la cosa più carina che mi dicono è che ho gusti un po' "di nicchia". Per questo mi sono rifugiata in questo blog.
Khushwant Singh lo trovo assolutamente dirompente. Di lui ho letto solo i romanzi pubblicati in italiano (Delhi, la compagnia delle donne e Quel treno, se sai che ce ne sono altri fammi sapere...). Mi è piaciuto tantissimo Quel treno per il Pakistan, che, anche se non gli ho mai dedicato un post tutto suo, aleggia qua e là per il blog (e infatti nei giorni scorsi pensavo proprio di parlarne diffusamente). Mi è piaciuto molto, moltissimo. Crudo e commovente insieme. E quindi ho letto anche la tua prefazione!
E a proposito di sikhismo, prima o poi vorrei leggere la sua (di K. Singh) Storia dei sikh.
Io sono sempre qua, scriviamoci, scriviamoci!
No, in italiano non c'è altro di K.S., ma io ho anhche, naturalmente (visto che ho scritot un libro di storia dle sikh) anche il suo saggio in due voll., e le sue collected short stories.
RispondiEliminaPeccato che il film tratto da Train to Pakistan non sia assolutamente all'altezza del libro.
Quanto alla storia dei gusti di nicchia...è una vita che mi sfottono per questo, dicendo che sono un snob. me ne infischio.
raccontami di te e del tuo amore per l'India (magari continuiamo questa converazione via mail, chè non credo interessi tutti)
M
Io spero sempre che queste discussioni interessino anche altre persone e mi piace molto che siano "pubbliche"... ma ben venga scriverci (anche) per email. Forse sono canali diversi per dire la stessa cosa in modo diverso o cose diverse nello stesso modo!
RispondiEliminaComunque il mio amore per l'india e' nato esattamente nel maggio 2002. Prima non sapevo praticamente niente. Poi ho letto i Figli della mezzanotte. Folgorazione. E allora poi ho anche letto Il dio delle piccole cose e mentre lo leggevo mi ha scritto un ragazzo del Kerala, che voleva scambiare idee sulla letteratura italiana e indiana. Da li' ho iniziato a leggere i libri malayalam che mi mandava, lo sono andata a trovare e tutto il resto, fra alti e bassi, e' seguito.
E tu? Dimmi del libro sul sikhismo!