Arundhati Roy
Ovvero la mia prima volta in Kerala (poi ce se sono state tante altre...)
“Gli scrittori pensano di scegliere le loro storie dal mondo. Io mi sto convincendo che sia la vanità a farglielo credere. In realtà è esattamente il contrario. Sono le storie a scegliere gli scrittori. Sono le storie che si rivelano a noi. Ci affidano degli incarichi. Insistono per farsi narrare.”
Così ho letto recentemente in un articolo di Arundhati Roy e penso che, almeno nel suo caso, sia proprio vero.
Ormai sono in molti che invece conoscono la sua, di storia. Arundhati Roy pubblica libri tradotti in tutto il mondo, scrive su diversi giornali europei e americani, partecipa alla maggior parte dei festival letterari in giro per il mondo.
Ma chi è veramente? La sua vita, dal nostro limitato e occidentale punto di vista, si può dividere in due: prima e dopo la vittoria del prestigioso premio letterario inglese Booker Prize nel 1997 grazie al romanzo Il Dio delle Piccole Cose, diventato un un caso letterario e un bestseller tradotto in tutto il mondo.
Se la sua vita dopo questo libro è sicuramente cambiata, poteva in realtà cambiare di più. Lei ha scelto di restare in India, di lottare per le sue battaglie civili e anche di essere arrestata per le sue idee. Nel frattempo ha scritto altri libri, questa volta saggi che testimoniano il suo impegno contro una globalizzazione iniqua, portatrice di sfruttamento e disastri ambientali.
Alla domanda se scriverà invece un altro romanzo, ha spesso risposto che non pensa di scriverne altri. Aveva una storia da raccontare, e basta. A discapito della sua lotta contro la globalizzazione, io però continuo a sperare che abbia ancora voglia, tempo e risorse per scrivere un altro romanzo o che qualche dio delle numerose religioni che popolano l’India la ispiri a scrivere ancora. Oppure che un’altra storia, anche piccola, anche banale, scelga proprio lei per essere narrata.
Questo perché sono affezionata al Dio delle Piccole Cose: è stato il mio primo viaggio in Kerala, terra dell'India del Sud a cui per una serie di vicende personali mi sono legata.
Il Dio delle Piccole Cose, infatti, racconta le vicende di due gemelli, un maschio e una femmina, sullo sfondo del Kerala alla fine anni settanta, in cui convivono intoccabili, comunisti, indù, cattolici, ex-studenti di Oxford, turisti, imprenditori, mendicanti senza braccia, in cui esplode il fenomeno del cinema, delle macchine, dei cortei di protesta, all’interno di una popolazione in lotta con le zanzare e con le piogge.
In questa atmosfera, Arundhati Roy srotola una storia intensa, di cui si intravvedono la conclusione e le motivazioni, in cui la fine si sa già dall’inizio, senza però poterla capire. E l’aspetto più riuscito è proprio l’architettura del romanzo che comprime e dilata i tempi, in modo che il lettore si trovi ad avere a che fare nella stessa pagina con fatti a distanza di giorni o di anni, con salti temporali comunque mai forzati, in quanto legati fra loro appunto dall’importanza delle piccole cose. Piccole cose che al momento possono sembrare solo particolari d’atmosfera e che in realtà nascondono significati preziosi, che si scopriranno dopo, o prima.
Protagonisti della storia sono i due gemelli Estha e Rahel e spesso il punto di vista è il loro, unico, quasi fossero “una rara specie di gemelli siamesi, separati nel corpo, ma con identità fuse insieme”. Due gemelli che si scontrano, bambini, con la voglia di sognare e di prepararsi alla vita, con l’affetto premuroso e scostante della madre in cerca d’amore, con gli entusiasmi dello zio diviso fra gli ideali di democrazia e necessità personali, con la morte della loro cuginetta inglese venuta da Londra, con la crudeltà dell’uomo e della natura. Due gemelli che si rincontrano da adulti, dopo la tragedia, nel grande silenzio del dolore.
Una storia affascinante e magica, forse anche grazie alla forza linguistica, alla torbida sensualità indiana che avvolge le parole e al taglio a metà fra realismo e ipnosi. Leggendo il libro si sente in bocca uno strano sapore: è il sapore del fiume delle ultime pagine, scuro, vischioso, talvolta gonfio di fango, talvolta di noci di cocco e bambù, portatore di vita e di morte. È il sapore di “dolcenausea, come rose vecchie nella brezza”.
Questo è anche il sapore del Dio delle Piccole Cose, un Dio che ha le sembianze di un uomo con un braccio solo che nuota nel mare scuro, che ti stringe a sè col suo unico braccio nella notte salata, con la pelle cosparsa di brividi. Non un Dio solare, sicuro e potente. Il Dio delle Piccole Cose, il Dio della Perdita.
“Gli scrittori pensano di scegliere le loro storie dal mondo. Io mi sto convincendo che sia la vanità a farglielo credere. In realtà è esattamente il contrario. Sono le storie a scegliere gli scrittori. Sono le storie che si rivelano a noi. Ci affidano degli incarichi. Insistono per farsi narrare.”
Così ho letto recentemente in un articolo di Arundhati Roy e penso che, almeno nel suo caso, sia proprio vero.
Ormai sono in molti che invece conoscono la sua, di storia. Arundhati Roy pubblica libri tradotti in tutto il mondo, scrive su diversi giornali europei e americani, partecipa alla maggior parte dei festival letterari in giro per il mondo.
Ma chi è veramente? La sua vita, dal nostro limitato e occidentale punto di vista, si può dividere in due: prima e dopo la vittoria del prestigioso premio letterario inglese Booker Prize nel 1997 grazie al romanzo Il Dio delle Piccole Cose, diventato un un caso letterario e un bestseller tradotto in tutto il mondo.
Se la sua vita dopo questo libro è sicuramente cambiata, poteva in realtà cambiare di più. Lei ha scelto di restare in India, di lottare per le sue battaglie civili e anche di essere arrestata per le sue idee. Nel frattempo ha scritto altri libri, questa volta saggi che testimoniano il suo impegno contro una globalizzazione iniqua, portatrice di sfruttamento e disastri ambientali.
Alla domanda se scriverà invece un altro romanzo, ha spesso risposto che non pensa di scriverne altri. Aveva una storia da raccontare, e basta. A discapito della sua lotta contro la globalizzazione, io però continuo a sperare che abbia ancora voglia, tempo e risorse per scrivere un altro romanzo o che qualche dio delle numerose religioni che popolano l’India la ispiri a scrivere ancora. Oppure che un’altra storia, anche piccola, anche banale, scelga proprio lei per essere narrata.
Questo perché sono affezionata al Dio delle Piccole Cose: è stato il mio primo viaggio in Kerala, terra dell'India del Sud a cui per una serie di vicende personali mi sono legata.
Il Dio delle Piccole Cose, infatti, racconta le vicende di due gemelli, un maschio e una femmina, sullo sfondo del Kerala alla fine anni settanta, in cui convivono intoccabili, comunisti, indù, cattolici, ex-studenti di Oxford, turisti, imprenditori, mendicanti senza braccia, in cui esplode il fenomeno del cinema, delle macchine, dei cortei di protesta, all’interno di una popolazione in lotta con le zanzare e con le piogge.
In questa atmosfera, Arundhati Roy srotola una storia intensa, di cui si intravvedono la conclusione e le motivazioni, in cui la fine si sa già dall’inizio, senza però poterla capire. E l’aspetto più riuscito è proprio l’architettura del romanzo che comprime e dilata i tempi, in modo che il lettore si trovi ad avere a che fare nella stessa pagina con fatti a distanza di giorni o di anni, con salti temporali comunque mai forzati, in quanto legati fra loro appunto dall’importanza delle piccole cose. Piccole cose che al momento possono sembrare solo particolari d’atmosfera e che in realtà nascondono significati preziosi, che si scopriranno dopo, o prima.
Protagonisti della storia sono i due gemelli Estha e Rahel e spesso il punto di vista è il loro, unico, quasi fossero “una rara specie di gemelli siamesi, separati nel corpo, ma con identità fuse insieme”. Due gemelli che si scontrano, bambini, con la voglia di sognare e di prepararsi alla vita, con l’affetto premuroso e scostante della madre in cerca d’amore, con gli entusiasmi dello zio diviso fra gli ideali di democrazia e necessità personali, con la morte della loro cuginetta inglese venuta da Londra, con la crudeltà dell’uomo e della natura. Due gemelli che si rincontrano da adulti, dopo la tragedia, nel grande silenzio del dolore.
Una storia affascinante e magica, forse anche grazie alla forza linguistica, alla torbida sensualità indiana che avvolge le parole e al taglio a metà fra realismo e ipnosi. Leggendo il libro si sente in bocca uno strano sapore: è il sapore del fiume delle ultime pagine, scuro, vischioso, talvolta gonfio di fango, talvolta di noci di cocco e bambù, portatore di vita e di morte. È il sapore di “dolcenausea, come rose vecchie nella brezza”.
Questo è anche il sapore del Dio delle Piccole Cose, un Dio che ha le sembianze di un uomo con un braccio solo che nuota nel mare scuro, che ti stringe a sè col suo unico braccio nella notte salata, con la pelle cosparsa di brividi. Non un Dio solare, sicuro e potente. Il Dio delle Piccole Cose, il Dio della Perdita.
adoro il dio delle piccole cose. intelligenza, umorismo, femminilità, senso del giallo. e soprattutto quella strabiliante capacità di immedesimarsi nello sguardo di un bambino, anzi di due bambini.. o arundhati roy ha una formidabile memoria della sua infanzia, o ha doti medianiche. mi ha aperto il mondo degli scrittori indiani contemporanei, ma finora nessuno l'ha battuta (sto leggendo il ragazzo giusto di vikram seth)
RispondiEliminaGrazie mille per il commento.
RispondiEliminaAnche per me la bravura di Arundhati Roy è eccezionale in questo romanzo, che mi ha conquistato subito, e portato in quel Kerala descritto nel libro qualche mese dopo.
Quali altri autori indiani hai letto?
Non penso che Arundhati Roy sia imbattibile, forse lo è nel suo stile. Ma ci sono anche tanti, tantissimi libri "indiani" che semplicemente non sono confrontabili con questo perché hanno stili e obiettivi completamente diversi.
Comunque Il Dio delle Piccole Cose rimane unico...
desai, divakaruni, rushdie, sidhwa. e adesso vikram seth, il ragazzo giusto mi piace abbastanza ma faccio un po' fatica ad andare avanti.. mi sono piaciuti molto invece "due vite" e "autostop per l'himalaya". ma finora solo la roy mi ha colpito al cuore e avvinto completamente. questione di gusti, la lettura è così!
RispondiEliminaCerto, è soprattutto questione di gusti!
RispondiEliminaIl ragazzo giusto è il classico "mattone", ma siccome a me i mattoni piacciono, mi è piaciuto molto. Invece per esempio due vite mi è piaciuto meno, ho trovato i personaggi troppo "costretti" dalla sua ricerca storica.
Se ti capita, fra i vari scrittori VIP indiani, ti consiglio vivamente anche Ghosh.
Poi fammi sapere quando/se arrivi in fondo al Ragazzo giusto... ma spero di avere i tuoi commenti anche prima!
due vite mi è piaciuto forse perchè tratta temi che conosco e che mi toccano. la germania e i tedeschi, la seconda guerra mondiale, i matrimoni misti. l'ho sentito molto vero, e anche tenero e indulgentemente ironico. sto arrivando in fondo al ragazzo giusto e un po' mi dispiace, penso che quando lo finirò mi sentirò orfana... certi personaggi sono strepitosi, ti sembra di conoscerli da sempre. mi piace molto anche come seth costruisce le scene sottolineando un particolare che le rende vive e intuibili.. a volte sembra di stare al cinema. a momenti è un po' prolisso e noioso, soprattutto se non si è amanti delle sottigliezze politiche, ma leggendolo si ha la sensazione di conoscere un po' meglio l'india
RispondiEliminaIo in "Due vite" (che ho letto dopo Il ragazzo giusto), ho sentito i personaggi meno vivi, più filtrati, invece nel Ragazzo giusto anche io ho avuto la sensazione di fare parte in prima persona della storia: i personaggi divetano familiari come fratelli e sorelle, e alla fine, come dici tu, dispiace lasciarli.
RispondiEliminaLe descrizione delle candidature politiche e degli spogli elettorali sono forse un po' prolisse, ma penso che restituiscano un'idea di cosa devono essere state le elezioni per l'India, nei primi anni di indipendenza e democrazia.
Ciao!
Questo è uno dei miei romanzi indiani preferiti, insieme a "Chiara Luce del Giorno" della Desai. Anch'io spero che cambi idea e che ricominci a scrivere narrativa, anche se devo dire che non è malaccio neanche come giornalista! :-)
RispondiEliminaAnche per me Il Dio delle Piccole Cose e Chiara luce del giorno stanno molto in alto in classifica!
RispondiEliminaUn bel libro.
RispondiEliminaLa descrizione dei paesaggi e degli odori del Kerala mi ha molto colpita; anche se non posso dire con certezza che siano veritieri, visto che andrò solo quest'estate a visitare i luoghi raccontati..
Personalmente ho ritenuto interessante poter leggere di uno spaccato culturale un po' differente dal solito quale quello degli indiani cristiani-ortodossi.
Alcuni personaggi sono molto ben costruiti come Ammu, Baby Kochamma, Velutha e Sophie Mol; i gemelli sono veramente ben delineati durante la fase dell'infanzia, mentre ritengo un po' forzata e poco credibile la fine che gli vien fatta fare....
Nel complesso ritengo il romanzo fruitore di bellissime atmosfere, anche se forse avevo delle aspettative ancora più alte...
Su quanto sia veriterio, ne ho parlato molto quando ero in Kerala con diverse persone che abitano là e devo dire che c'è una netta spaccatura: alcuni dicono che non è per niente veritiero, altri che descrive esattamente quella che è la loro vita in Kerala (quest'ultimi sono soprattutto donne!).
RispondiEliminaSono giunta a questa conclusione: o lo si ama o lo si odia.